Interlex n. 218
Stando alle cronache dell’operazione che ha coinvolto siti internet dai nomi blasfemi, agli inquirenti sarebbero stati necessari ben venti mesi per rintracciare gli intestatari dei nomi a dominio. Un’affermazione che solletica certamente la curiosità di chi si occupa di computer forensic. E che ben sa quanto complesse possano essere le indagini che coinvolgono la rete.
Curiosità ulteriormente alimentata dal tono quasi miracolistico adottato dai commentatori, come l’incolpevole giornalista che, sulle pagine romane di Repubblica del 10 scorso riferisce dell’impiego dei “migliori esperti informatici, che sono risusciti a individuare l’internet protocol,… un lavoro lungo e delicato… Da qui è partita una ulteriore sofisticata ricerca con metodi come il trace route, il visual route e il ping”.
A questo punto, la curiosità cede il passo ad un misto di incredulità e fastidio. Per il modo superficiale e poco informato (peculiare, peraltro, dell’articolistica di largo consumo) con il quale si affrontano temi complessi come le indagini informatiche.
Quasi due anni, software sofisticati e uomini particolarmente abili. Questo, si dice, è stato necessario “mettere in campo” per scovare i presunti colpevoli.
Ma facciamo due conti.
L’intestatario di un nome a dominio si trova nei vari database dei registrar. Dai quali si viene a conoscenza anche dei DNS – e quindi del provider – che ospita il dominio.
Tempo: 10 minuti (se la connessione è lenta).
La verifica dell’IP corrispondente ad un dominio si trova effettuando un ping o un traceroute (comandi tutt’altro che esoterici, presenti addirittura in Windows 98).
Tempo: 5 minuti.
Il provider assegnatario dell’IP si trova interrogando il database pubblico del RIPE (per l’Europa) o dell’ARIN (per gli USA).
Tempo: 10 minuti.
Il totale del tempo richiesto da questa sequenza di operazioni è 25 minuti. Anche a voler largheggiare, raddoppiando i tempi, possiamo calcolare un’ora piena.
Per arrivare a venti mesi, ne mancano ancora 19, oltre a 29 giorni e 23 ore.
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