di Andrea Monti – Computer Programming n.76/1999
Nonostante il fatto che il commercio elettronico sia – al momento – più un oggetto per organizzare convegni e fare soldi sugli applicativi, che una reale opportunità di guadagno per gli operatori tradizionali, è fuori discussione che nel mondo dei computer ci sia una “controtendenza” nemmeno troppo strana da spiegarsi. Morale: usare la Rete per vendere informatica non è poi così strano, o difficile…
L’idea di scrivere questo articolo mi è stata suggerita da un lettore che mi ha rivolto alcune domande essendo un po’ perplesso sulla possibilità di commercializzare del software tramite la Rete. Come dargli torto? Su tutto ciò che riguarda Internet, il rapporto segnale/rumore è talmente sfavorevole al primo che non c’è da stupirsi se persino operatori del settore IT non si rendono immediatamente conto di come stanno effettivamente le cose.
Considerazioni personali a parte, veniamo al pratico e cominciamo ad analizzare i vari passi da fare per raggiungere l’obiettivo.
Lo faccio sul web…
La cosa più ovvia è pensare di distribuire il programma tramite internet.
Se questa è la scelta allora è fondamentale regolamentare correttamente la modalità di distribuzione;
le possibilità sono infatti diverse: consentire il download di una demo, diffondere una versione shareware oppure una beta o ancora una light edition.
A seconda della scelta è necessario predisporre un’apposita licenza d’uso che regoli innanzi tutto le modalità di distribuzione del programma, con particolare riferimento alla sua inclusione in CD, raccolte di link e quant’altro, per evitare che qualcuno – come è successo nel caso di cui ho scritto il mese scorso – consegua un vantaggio economico (incremento delle vendite di una rivista, vendita di raccolte tematiche ecc.) a vostra insaputa e senza che gli utenti interessati vengano sul vostro sito scoprendo magari altre applicazioni che potrebbero interessare.
A seconda del tipo di clientela cui è destinato il programma bisognerà valutare l’opportunità di consentire – come ad esempio fa Netscape – l’utilizzo gratuito per determinate categorie come studenti, associazioni no-profit e via discorrendo. Ovviamente questo non vale per quegli applicativi da utilizzarsi in ambiti professionali – calcoli ingegneristici, analisi mediche, macchine a controllo numerico, tanto per fare un esempio – che escludono di base qualsiasi impiego “casalingo”. Altra scelta pressocchè obbligata – questa volta a prescindere dal tipo di programma distribuito – è quella di offrire tramite web il supporto tecnico (patch ed eventuali aggiornamenti), da sottoporre alla stessa licenza d’uso di cui sopra.
…o con la posta?
Un’alternativa radicalmente opposta è quella di usare la rete per raccogliere gli ordini e poi spedire tramite posta o corriere il pacchetto, con maggiori costi ma con qualche vantaggio – come vedremo – legato alla possibilità per il cliente di dimostrare la legittimità dell’acquisto e per voi di evitare contestazioni di natura fiscale.
In questo caso il web, se proprio volete usarlo, potrà servire ad esempio per fornire specifiche tecniche, prezzi e modalità di acquisto, fermo restando che analoghi obiettivi possono essere raggiunti tramite la posta elettronica, né più né meno come fanno i “cultori” del telemarketing che vi inondano l’ufficio prima di fax e ora di spamJ
Il cliente ha sempre ragione(?)
Quale che sia la soluzione prescelta, dovrete fare attenzione al fatto che – trattandosi di vendite concluse al di fuori dei locali commerciali – al vostro cliente spetta per legge un diritto di recesso non inferiore a sette giorni dal ricevimento del programma; ciò significa che entro una settimana il cliente è libero di comunicarvi la sua volontà di non utilizzare il software (dichiarando di averlo cancellato da ogni supporto) e quindi di richiedervi indietro le somme. E’ bene specificare che questo discorso vale soltanto se il vostro cliente non è un soggetto che svolge attività commerciale, perché in quest’ultimo caso si applicano le regole correnti.
Poiché uno dei problemi più frequenti che tendono a manifestarsi nelle vendite a distanza (internet compresa) è quello della divergenza fra ciò che è stato ordinato e ciò che effettivamente vi è stato recapitato, a scanso di equivoci – e per non sprecare tempo e soldi in controversie inutili – il consiglio che posso dare è quello di abbondare in informazioni. In altri termini il potenziale cliente non deve poter dire cose tipo “ma questo non c’era scritto!” oppure “ma non era chiaro se il programma girava anche su quest’altra piattaforma”.
Un’altra cosa da tenere presente è che la commercializzazione di un programma tramite download implica – di regola – l’assoluta mancanza di un qualsiasi “supporto originale” e quindi la difficoltà di dimostrare la legittimità del programma scaricato.
Il problema non è affatto teorico, perché già ora è possibile acquistare software in questo modo: tanto per fare un esempio, poco tempo fa ho acquistato un software crittografico, un off-line browser e un programma per Internet Telephony. Bene: le uniche cose che mi sono state fornite dai venditori sono dei messaggi di e-mail dove c’è scritto il numero d’ordine, la data, il tipo di bene acquistato e via discorrendo; ma se qualcuno mi chiede di dimostrare che non si tratta di copie abusive come faccio, considerando che dei semplici messaggi di e-mail non hanno valore e che l’estratto conto della carta di credito non mi dice che cosa ho comprato, ma solo quanto ho speso?
Certo, dovrei contattare il venditore (sempre che non sia fallito o scomparso nel frattempo), chiedergli – magari dopo anni – se si ricorda che tanto tempo fa mi ha venduto un programma e se si di rilasciare una dichiarazione giurata che mi eviti la condanna. Nel frattempo il mio studio sarà stato paralizzato a tempo indeterminato dal sequestro del computer, del monitor, delle tende della finestra e dell’umidificatore di ambiente…
Scherzi a parte è opportuno prevedere o l’invio di un documento cartaceo (la licenza vera e propria) allegata alla fattura in modo da scongiurare simili incidenti di percorso, mentre gli appassionati di crittografia potranno organizzare un sistema basato sulla firma digitale (che in caso di controversie offre qualche garanzia di essere presa in considerazione dal giudice).
Modalità, forma e documentazione del pagamento
Chiariamo subito una questione: a meno di non “lavorare” con l’estero non siete obbligati ad utilizzare la carta di credito, ma potete ricorrere al tradizionale contrassegno o – nel caso della commercializzazione via rete – con un meccanismo che prevede l’invio della ricevuta di vaglia, bonifici e quant’altro, a seguito del quale viene consentito il download o inviato un codice di sblocco (se avete rilasciato il programma in versione parzialemnte funzionante).
Dal punto di vista fiscale – anche se non è il mio settore – posso dire che un buon commercialista dovrebbe essere in grado di gestire l’intero progetto. Per l’Italia non vedo grosse difficoltà e anche per i clienti stranieri tutto sommato non dovrebbe esistere nulla di irrisolvibile, perché le attività economiche internazionali si facevano da prima che arrivasse la Rete (ma va’??) e quindi i problemi sono già noti.
Il ruolo del provider
Qualche perplessità può sorgere invece in relazione al rapporto con il provider che vi fornisce l’housing oppure l’hosting per realizzare il vostro progetto (sempre che non abbiate deciso di essere provider di voi stessi).
Le ipotesi sono tantissime: l’utente non riesce a scaricare il software perché il server è zavorrato, la procedura che gestisce l’ordine addebita somme errate al cliente, l’ordine non risulta mai inviato, un crash del sistema rende irrimediabilmente inutilizzabili tutte le informazioni relative alla vostra attività… Fino ad oggi tutti questi eventi (peraltro ben noti a chiunque abbia passato anche solo pochissimo tempo on-line) vedevano il provider sostanzialmente estraneo al rapporto venditore-cliente. In altri termini – in caso di controversie – il cliente intanto richiede al venditore il risarcimento dei danni salvo poi l’eventuale diritto di quest’ultimo di farsi risarcire dal fornitore di servizi per la sua incapacità.
Si, campa cavallo!
Per fortuna (o per sfortuna, dipende dai punti di vista) le cose stanno per cambiare; una recente proposta di direttiva approvata lo scorso novembre ridisegna drasticamente lo schema dei rapporti fra soggetti che operano nel settore dell’e-commerce. Quando la nuova normativa entrerà in vigore (non ci sono ancora date ufficiali) il provider che intenderà porsi quale intermediario nell’offerta di servizi commerciali dovrà da un lato fornire certe garanzie e dall’altro assumersi certe responsabilità.
Tutto questo per dire che nella vostra attività di distribuzione on-line non sarà più indifferente il tipo di fornitore al quale vi appoggerete, per cui al di là degli anglicismi di maniera e degli specchietti per le allodole messi su da qualche aspirante “esperto” di comunicazione ci saranno dei canoni ben precisi da seguire. Ovviamente non sarete obbligati a ricorrere necessariamente a questo tipo di provider, ma se poi qualcosa va storto potreste pentirvi di non averlo fatto (per inciso, non possiedo aziende di questo – e di nessun altro – tipoJ)
Conclusioni
Ovviamente l’argomento è molto complesso e non è pensabile esaurirlo nelle poche righe di questo articolo; spero piuttosto di avere dato qualche spunto utile per orientare le vostre attività, fermo restando che – se dovessero emergere questioni particolari o interessanti – nulla vieta di farne oggetto di un prossimo articolo.
…ah, dimenticavo, buon 1999!
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