Interlex n.302
Valore probatorio: a volte la firma non è necessaria
di Andrea Monti – 18.11.04
Alcune novità contenute nello schema di decreto legislativo “Codice dell’amministrazioni digitale” suggeriscono un breve approfondimento degli aspetti relativi al valore probatorio dei documenti informatici.
L’ingestibile livello di confusione raggiunto dalle interpretazioni della normativa sulla firma digitale, ulteriormente accresciuto dalle estemporaneità delle decisioni cuneesi, suggerisce di rileggere la teoria generale del documento per cercare di rimettere ordine nelle categorie giuridiche in questione.
Documento – si legge nel “Lessico di diritto civile” – è una cosa idonea a rappresentare un fatto giuridicamente rilevante (C.M. Bianca, S. Patti, G. Patti Lessico di diritto civile Milano 1995 p. 298). Ricordano gli autori che solitamente “documento si nasce” ma lo si può anche diventare. Come nel caso di oggetti originariamente destinati ad altra funzione ma che racchiudono … dati e segni in grado di servire quali elementi su cui fondare il giudizio sull’esistenza di un fatto giuridicamente rilevante.
Le componenti che definiscono un documento in senso giuridico sono tradizionalmente individuate nell’autografia e nella sottoscrizione. Come è noto l’autografia non è elemento essenziale del documento (che può essere, infatti, stampato, scritto a macchina o vergato altrimenti); ma anche la sottoscrizione – elemento spesso presente – non è indispensabile per attribuire lo status di documento alla “cosa” in questione. Gli artt. 2707 (carte e registri domestici), 2708 (annotazioni su altri documenti) e 2709 (scritture contabili) del Codice civile, infatti, considerano “documento” anche supporti fisici, privi di sottoscrizione, ma comunque contenenti fatti giuridicamente rilevanti.
Per riassumere, dunque, il documento può essere:
– autografo e sottoscritto;
– autografo e non sottoscritto;
– creato meccanicamente (dove per “meccanicamente” si intende, per estensione, anche la creazione di un file)e sottoscritto;
– creato meccanicamente e non sottoscritto.
E’ importante rilevare che tutti e quattro i casi descritti rientrano nella categoria “documento”, ma ciascuno ha – come è noto – una diversa validità ed efficacia probatoria.
Rispetto alla classificazione tradizionale appena enunciata, la disciplina del documento informatico ha introdotto, fin dai tempi del DPR 513/97, una distinzione fra “documento valido e rilevante ad ogni effetto di legge” (quello firmato digitalmente) e “riproduzione meccanica” apprezzabile dal giudice (tutto ciò che digitalmente firmato non è). Anche le incarnazioni successive della disciplina di settore non hanno tenuto conto della cosa e si sono esibite in ragguardevoli contorsioni per “trovare un posto” alle firme elettroniche leggere stabilendo che “documento” è quello con firma forte, mentre tutto il resto – purché firmato anche “leggermente – non è “documento” ma non può essere privato ex se di valore probatorio. Ciò che non è firmato è, infine, “riproduzione meccanica”.
Lo schema di decreto legislativo “Codice delle amministrazioni digitali” ritiene di risolvere la questione con la seguente tripartizione:
– documento informatico con firma qualificata, equiparato al documento tradizionale sottoscritto (art. 18, c. 2);
– documento informatico con firma “debole”, rimesso alla libera valutazione del giudice (art. 18, c. 1);
– documento non firmato, equiparato alla riproduzione meccanica, con una piccola integrazione all’art. 2172 c.c. (art. 20, c. 1).
Ma, come abbiamo visto, documento autografo e non sottoscritto o creato meccanicamente e non sottoscritto, sono documenti a tutti gli effetti, a certe condizioni hanno anche una efficacia probatoria e non sono certamente assimilabili alle riproduzioni meccaniche. E dunque nemmeno il recente codice delle amministrazioni digitali ha affrontato compiutamente in termini sistematici la questione conservando una incomprensibile asimmetria nella disciplina civilistica del documento e del relativo valore probatorio.
Sarebbe molto semplice, applicando lo schema già in vigore, stabilire che un file è comunque documento (“salvando” i casi di cui agli articoli 2707, 2708, 2709), attribuendogli valore probatorio in funzione della presenza di una sottoscrizione informatica oggettivamente imputabile all’autore apparente o – in assenza di sottoscrizione – del riconoscimento effettuato in giudizio dalla parte contro la quale lo si produce.
In questo schema, le copie dei documenti informatici ricevute a mezzo posta elettronica sono qualificabili come “riproduzioni meccaniche” e come tali soggette alla nota disciplina probatoria.
In sintesi, per concludere, il legislatore avrebbe potuto limitarsi a definire i requisiti che consentono di imputare oggettivamente un documento (informatico) al suo autore, lasciando in piedi il sistema tradizionale, ovvero introducendo nello schema di codice specifici riferimenti agli artt. 2027 e seguenti e alle altre norme che fanno riferimento alla “forma” del documento. Il che, oltre a evitare le estemporaneità delle decisioni di cui all’inizio, avrebbe evitato di andare a incrinare uno dei pochi settori del diritto che ancora “tiene”.
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