Le notizie sulle reazioni allergiche al vaccino sono pericolose, per questo servirebbe un cambio di strategia nella comunicazione
di Andrea Monti – Originariamente pubblicato da Infosec.News
Dopo il paziente inglese , altre persone (due infermieri di un ospedale in Alaska) hanno subito una reazione allergica molto forte nel giro di dieci minuti dalla somministrazione del vaccino.
La notizia, di per sé non dovrebbe fare notizia perché qualsiasi vaccino può avere degli effetti collaterali e, come ho scritto in un altro articolo , è semplicemente sbagliato pensare che la somministrazione di un vaccino, come di qualsiasi farmaco, non possa avere conseguenze che vanno dal fastidioso al letale. Rispetto al caso specifico del vaccino Pfizer, poi, non essendo un esperto, mi astengo da qualsiasi considerazione tecnica, e aspetto di leggere qualche studio scientifico che approfondisca l’argomento.
Nella frenetica e disinteressata pro vaccino, tuttavia, il sistema informazione sta paradossalmente rinforzando le tesi di complottisti e politici che, per varie ragioni, si oppongono alla somministrazione del vaccino. Quanto più, infatti, i “buoni” si ostinano acriticamente ad affermare che il “vaccino è sicuro”, tanto più ogni singola (e inevitabile) reazione avversa di tipo medico ne produce tante altre di tipo informativo, rinforzando la convinzione che il vaccino Pfizer sia pericoloso.
Il punto è, come detto, che il vaccino è pericoloso ed è normale che lo sia. Basta andare a leggere quali sono state le conseguenze di quello sul vaiolo per farsi un’idea.
Quello che manca sul serio, per via del suo sviluppo in emergenza, è sapere quanto è pericoloso nel breve, ma anche nel medio e lungo periodo.
Solo il tempo risponderà a queste domande. Quindi è sbagliato (o inutile) cercare di convincere le persone a vaccinarsi utilizzando il principio di autorità, la legge dell’apocrifo Goebbels, o la seconda legge della propaganda, secondo la quale complicando abbastanza una bugia, tutti la prenderanno per vera .
La fretta imposta dai governi alle aziende farmaceutiche (e l’interesse di queste ultime ad arrivare prima delle loro concorrenti) ha provocato un’anticipazione dei tempi di rilascio del vaccino. Questo significa che, ad oggi, se escludiamo i dati dei trial clinici, altre informazioni sulla sicurezza del vaccino potranno arrivare solo ed esclusivamente dalla sua somministrazione sul campo.
Tutto si riduce, dunque, a sperare di essere dalla parte giusta della curva statistica e ad accettare il fatto che, come si dice a Roma, a chi tocca, nun se ‘ngrugna. Certo, più facile a dirsi che a farsi perché nessuno vorrebbe trovarsi dalla parte sbagliata della curva in questione, ma è inevitabile.
Una strategia di comunicazione più rispondente alla realtà, dunque, sarebbe quella di puntare sulla solidarietà e sull’assunzione di un rischio individuale, per il bene collettivo. E un modo per sostenere concretamente questa strategia potrebbe essere istituire un fondo per il sostegno alle “vittime dei vaccini” e alle famiglie delle persone che, per salvare il Paese, ci hanno rimesso vita e salute, invece di dare soldi per monopattini e diavolerie elettroniche.
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