di Andrea Monti – originariamente pubblicato da Infosec.News
E’ passata praticamente sotto silenzio, in Italia, l’intervista rilasciata a Fox News da Li-Meng Yan una virologa di Hong Kong fuggita negli USA per fornire la propria versione sul modo in cui il governo cinese ha gestito la comunicazione sulla pandemia. (https://www.foxnews.com/world/chinese-virologist-coronavirus-cover-up-flee-hong-kong-whistleblower ). Le rivelazioni della virologa sono sostanzialmente allineate alle posizioni dell’amministrazione statunitense: la Cina sapeva, la Cina ha taciuto, la Cina ha imposto la consegna del silenzio a tutti coloro che avevano informazioni sul Coronavirus. Ci sono, tuttavia, diverse questioni che dal punto di vista dell’analisi di contesto “non tornano”.
In primo luogo, consideriamo la provenienza della dissidente: il dr. Yang non è cinese ma di Hong Kong, campo di battaglia di elezione per la Cold War II fra USA e Cina, con gli Stati Uniti che hanno esplicitamente preso posizione a favore dei movimenti non filocinesi.
In secondo luogo c’è la questione “prove”. Anche in questo caso, come in quello delle dichiarazioni del Segretario di Stato americano Pompeo (https://www.infosec.news/2020/05/03/news/strategie/chi-di-psyop-ferisce-di-psyop-perisce/) e dell’ex-capo del MI6, Sir Dearlove, siamo di fronte a dichiarazioni non supportate da fatti, ma dalla richiesta di un atto di fede. Come i suoi predecessori, anche il dr. Yan, infatti, afferma di “credere” che il governo cinese abbia impedito la circolazione tempestiva delle informazioni sul Coronavirus, ma non fornisce alcun elemento concreto e verificabile. La virologa si limita a citare una sua ricerca non ufficiale che avrebbe condotto su richiesta di un suo superiore e che sarebbe consistita nell’inviare messaggi a colleghi che operavano nella Repubblica Popolare Cinese. Nessuna analisi diretta, dunque, ma solo opinioni basate su comunicazioni via WeChat (l’applicazione di instant messaging utilizzata in Cina, i cui dati sono a disposizione del governo ogni volta che la sicurezza nazionale lo richiede). Nessuna cartella clinica, nessun referto, nessuna bozza di articolo scientifico. Le prove si riducono a una schermata a favore di telecamera (minuto 1:53 dell’intervista) che documenterebbe un contatto con qualcuno all’interno del Center for Disease Control and Prevention cinese. L’intervista qualifica il Coronavirus come il “più grande disastro della storia umana” (5:07) –il che è evidentemente falso- e contiene (5:09) anche accuse di coinvolgimento di uno scienziato dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nella messa a tacere dei fatti (circostanza “indipendente” utile a supportare la scelta americana di uscire dall’ente internazionale).
In terzo luogo, c’è la questione del “come” il dr. Yan sia riuscita a scappare da Hong Kong senza che le autorità cinesi la bloccassero. Prima di tutto, è abbastanza inverosimile che l’attività del dr. Yan sia passata inosservata, se non altro perché è ragionevole pensare che i medici con i quali avrebbe corrisposto, tutti localizzati in Cina, da un lato fossero strettamente controllati e dall’altro, non avendo certo interesse a finire nelle mani dei servizi di sicurezza, avrebbero potuto segnalare alle autorità l’attività della virologa per non essere loro stessi accusati.
Ciò premesso, la dr. Yan dichiara di essere riuscita a scappare senza che le autorità cinesi se ne accorgessero grazie all’aiuto di un blogger che dagli USA la avrebbe avvertita di un pericolo imminente (7:13) e di un political exile group (8:21). Anche in questo caso è lecito avanzare qualche dubbio su queste affermazioni. A tutto voler concedere, l’esfiltrazione da Hong Kong sarà piuttosto stata possibile grazie all’intervento della CIA o dei Consular Services.
Infine, è curiosa la presenza di due funzionari del FBI che “accolgono” la dr.ssa Yan all’arrivo per interrogarla e sequestrarle il cellulare, considerato che la sua partenza da Hong Kong sarebbe avvenuta in incognito, come un qualunque turista. Ed è contradditoria la dichiarazione della dissidente (9:08) che di fronte a funzionari del governo degli Stati Uniti si pone il problema se dire loro o meno il motivo del suo viaggio. Immancabili anche le notizie sulle rappresaglie che il governo cinese avrebbe attivato (11:20) e che rendono inverosimile pensare che il FBI la lasci circolare a piede libero, se veramente il dr. Yan fosse rischio vita.
L’intervista si conclude con dichiarazioni generiche sulla potenzialità infettiva del Coronavirus e sul rischio che rappresenta. Non si parla di utilizzo del Coronavirus come arma biologica, ma il contesto sembrerebbe suggerirlo.Complessivamente, e non da ultimo per il fatto che sia stata rilasciata ad un’emittente filogovernativa, l’intervista della dr.ssa Yan solleva più interrogativi che certezze. Sembra, infatti, più la trama di un B-movie di spionaggio che una rivelazione di fatti destinati ad alterare gli equilibri della politica mondiale.
Insomma, avrà anche detto la verità, ma lo ha fatto malissimo. E sarà per questa debolezza intrinseca che limita la “spendibilità” mediatica del personaggio che di questa vicenda non si è parlato granché.
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