Ancora una volta la Legge di Warhol si è dimostrata corretta e dunque anche la subcultura dei prepper —appassionati (a volte al limite del fanatismo) di sopravvivenza, che si preparano per apocalissi di qualsiasi tipo— ha avuto i propri quindici minuti di celebrità grazie al video della commissaria europea alle crisi che mostra il contenuto della “borsa da sopravvivenza” che si porterebbe appresso.
Una percezione superficiale del concetto di crisi
Mettendo da parte le analisi sulla (meta) comunicazione di un contenuto del genere, in termini fattuali anche non avendo superato l’addestramento del Gruppo operativo incursori della Marina o frequentato il corso ‘NBC’ (nucleare, batteriologico, chimico) della Scuola interforze, basta avere fatto qualche anno negli scout o essere appassionati di montagna per essere consapevoli che non basta avere qualche strumento nello zaino per cavarsela in caso di problemi perché bisogna essere anche abituati ad utilizzarli (siero antivipera, insegna).Inoltre, come sanno le persone che sono sopravvissute anche a un “banale” serio incidente automobilistico, in una situazione di vera crisi è molto difficile mantenere la calma e comportarsi in modo razionale quando tutto il mondo attorno sta crollando.
In altre parole, è vero che Rambo con un coltello militare tipo il Randall 18 e un po’ di cotone è riuscito a sfuggire al cattivo sceriffo Teasle fino a quando non ha deciso di arrendersi al colonnello Trautman. Ma lui era Rambo, ed era il personaggio di un film.
Il video della commissaria —che, peraltro, non fa capire se sia stato diffuso a titolo personale o meno, anche se su Youtube appare sul canale ufficiale della Commissione— oltre alla inconsapevolezza di cosa significhi operare in condizioni estreme, manca anche del riferimento all’importanza di dotarsi strumenti di comunicazione alternativi, oltre alla capacità e alla possibilità di usarli. Veramente, quando il cielo sta crollando, tutto ciò che serve per sopravvivere 72 ore è un powerbank per caricare uno smartphone?
L’importanza degli strumenti di comunicazione a bassa tecnologia
A stretto rigore, il video non parla di guerra, ma vista la narrativa del momento, una per tutte quella della brochure svedese recentemente diffusa che utilizza espressamente la parola war, è difficile pensare che si riferisca a catastrofi naturali o incidenti di altra natura. Per questa ragione è ragionevole analizzarlo nell’ottica di un ipotetico conflitto,
L’esperienza della Seconda Guerra ha mostrato l’importanza della capacità di costruire apparati di comunicazione a bassa tecnologia e la lettura di Der Totale Widerstand, il libro maledetto, ma divenuto un classico del settore, scritto nel 1958 da un ufficiale dell’esercito svizzero per aiutare i cittadini in caso di invasione sovietica, dimostrano quanta distanza ci sia fra la realtà e i “suggerimenti” sull’importanza di avere uno smartphone carico (peraltro: se nel frattempo finiscono i giga come si fa?) offerti dal video della signora Lahbib.
Già allora, la complessità di dover gestire un sistema di comunicazioni in caso di attacco o invasione di un nemico richiedeva la creazione di una rete clandestina (non solo fatta di apparati) per far circolare informazioni, dal momento che avere un ricetrasmettitore che non parla con nessuno è semplicemente inutile. Peraltro, tornando ad oggi, il sovraccarico di fine anno delle reti mobili non è un evento così distante nel tempo, e persino la UE si è resa conto che anche solo in caso di catastrofi naturali le reti mobili non sono necessariamente affidabili o disponibili.
Le complicazioni attuali
Oggi, la situazione è resa ancora più complicata dal fatto che gli strumenti per la signalintelligence (l’analisi delle comunicazioni nello spettro radio e nel traffico di rete) e il jamming —l’isolamento delle stazioni trasmittenti e riceventi— sono estremamente più sofisticati di allora. Dunque, oggi, non è detto che un cellulare sia l’unico strumento da utilizzare, e, d’altra parte, gestire un network clandestino di comunicazioni, per esempio basate su reti mesh, non è esattamente semplicissimo.
Inoltre, come ha dimostrato il conflitto russo-ucraino, sistemi di telecomunicazioni e centrali elettriche (necessarie a farli funzionare) sono in cima alla lista dei bersagli da colpire in campo avversario.
Dunque, sul presupposto (tutto da dimostrare) che in 72 ore le forze armate o le strutture di pubblica sicurezza possano intervenire per ristabilire un minimo di ordine —o la protezione civile possa arrivare a prestare soccorso— la capacità di tenere in piedi un minimo sistema di comunicazione richiederebbe avere la disponibilità di un generatore di corrente a energia solare, antenne da collegare a qualche computer, capacità di comunicare anche non in chiaro, altre stazioni con le quali interagire…insomma, tutto il repertorio tecnologico che in alcuni ambiti della cultura hacker è studiato e praticato da sempre.
La (in)dipendenza dalla schiavitù elettronica
Se un merito ha il video della commissaria europea, nella sua sottovalutazione degli aspetti tecnologici, è quello di avere dimostrato quanto diamo per scontata la disponibilità dell’ecosistema digitale e quanto siamo inconsapevoli delle conseguenze anche solo della sua compromissione, per non parlare della usa totale messa fuori uso.
È chiaro che non è pensabile tornare ai segnali di fumo o all’uso degli aquiloni per comunicare a distanza perché un giorno le BTS dei cellulari potrebbero essere abbattute. Ma è altrettanto chiaro che se veramente dobbiamo prepararci a una guerra, serve un addestramento continuo e diffuso su cosa si può realisticamente fare per comunicare, ma soprattutto dovrebbero essere sviluppate infrastrutture e sistemi alternativi in affiancamento alle reti di radioamatori che tanto hanno contribuito durante catastrofi e altri eventi drammatici.
Se proprio dobbiamo ragionare da questa prospettiva, allora, oltre a dotarsi dello zainetto survival si dovrebbero rimettere in discussione le politiche sul controllo degli strumenti di comunicazione e sulle limitazioni che la UE vorrebbe imporre con il client side scanning allo sviluppo di software per la messaggistica sicura come Signal e sulla crittografia.
Perché specie in caso di guerra — pardon, di crisi— “il nemico ti ascolta”.
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