Non è la prima volta che Repubblica dispone “in esclusiva” di informazioni provenienti da Wikileaks e che abbia, ovviamente, il diritto se non il dovere di pubblicarle.
E’ una regola sacra dell’informazione, infatti, che quando un’informazione diventa disponibile, non importa da dove arriva. Puo’ essere pubblicata.
Guardiamo la cosa da un altro angolo.
Se i giornali hanno comprato (ora e allora) queste informazioni vuol dire che Wikileaks sa di poter guadagnare sulle azioni illegali di chi ruba segreti, pur senza “commissionare” i “furti”. E chi “compra” i file in questione sa che possono essere di provenienza illecita.
Mettersi nelle condizioni di non sapere chi consegna i file significa deliberatamente “guardare dall’altra parte” mentre qualcuno fa una “spaccata” e ruba i Rolex. E comprare i Rolex dal “distratto” venditore che si è messo nelle condizioni di non sapere da dove arrivano gli orologi può non essere una buona idea.
Come qualificare il comportamento dei giornali? Concorso? Associazione? Ricettazione? Istigazione a delinquere con dolo eventuale?
La risposta è estremamente delicata perché potrebbe significare un pesante colpo alla libertà di stampa.
Da un lato, un giornalista ha il diritto di non rivelare le proprie fonti. E dunque il segreto lo protegge (seppur non in modo assoluto) dalle “irregolarità” con le quali sono state procurate le informazioni.
Ma quando, come nel caso di Wikileaks, le fonti prossime di un’informazione sono pubbliche, si può far finta di ignorare che quelle più remote sono frutto di un atto illecito?
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