di Andrea Monti PC Professionale n.113
La diffamazione, cioè l’offesa all’onore e all’altrui reputazione, è sicuramente uno degli illeciti (anche penali) che la cui commissione sembra essere stata “agevolata” più di altri dalla diffusione della rete. In effetti, la disponibilità di servizi come mailing list, newsgroup, “bacheche” di inserzioni, chatroom, siti web consente con una certa facilità la diffusione di “carinerie noon richieste” su persone, aziende e istituzioni. Che sistematicamente reagiscono invocando a propria difesa non la diffamazione semplice, ma quella commessa “a mezzo stampa”, sulla base proprio dell’equiparazione fra un sito web e la carta stampata.
La differenza fondamentale fra le due figure di reato sta nel fatto che la seconda prevede una automatica forma di responsabilità per il direttore responsabile (appunto) che non ha esercitato il dovuto controllo sui contenuti del giornale. Il che, applicato alla rete, significherebbe considerare il provider (sicuramente più “dotato” sotto il profilo economico) quale sistematico responsabile per le “intemperanze” dei singoli utenti.
Nonostante questa posizione sia stata sponsorizzata da più parti, non ha praticamente trovato grande seguito nelle aule di giustizia, per le ragioni molto ben sintetizzate dal provvedimento del Tribunale di Oristano.
Il caso riguardava la denuncia di un avvocato che si riteneva diffamato dalla pubblicazione su Geocities, prima e Tripod, poi, di un dossier relativo ad una presunta speculazione edilizia.
A prescindere dal merito della questione, è interessante analizzare il ragionamento che ha condotto il magistrato ad escludere la configurabilità della diffamazione a mezzo stampa.
In primo luogo, scrive il giudice le norme considerate non possano essere applicate alla diffamazione commessa attraverso Internet, mezzo di diffusione delle informazioni del tutto peculiare, al quale, vertendo in materia penale, non può essere estesa in via analogica la disciplina dettata per la stampa o la radio o la televisione.
Questo perché la nozione di “stampato” contenuta nel codice fa riferimento a tutte le riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisicochimici, nozione della quale non fa sicuramente parte la “riproduzione digitale” (pagina web). Nè, ritiene il giudice, si può parlare di analogia con l’emittenza radiotelevisiva, perché l’internet funziona con tecnologie differenti.
Questa sentenza è molto importante perchè sintetizza molto bene le ragioni tecnico\giuridiche per le quali non si può pensare di equiparare auitomaticamente la diffusione di pagine web alla pubblicazione di un giornale, ma come sempre succede nel campo della legge, esiste un’eccezione alla regola: quella delle testate telematiche.
Già a partire dal novembre del 1997 il Tribunale di Roma aveva ammesso la registrazione di una testata giornalistica interamente ed esclusivamente diffusa sulla rete, e su questa scia si sono posizionati in seguito molti altri fori.
Grazie a queste decisioni è dunque possibile tirare una linea abbastanza netta fra ciò che deve essere assoggettato alla legge sulla stampa e cosa no.
In pratica, se un web è registrato come testata giornalistica allora gode sia dei vantaggi derivanti da questa “condizione” sia degli oneri, compresa quindi la possibilità di vedersi “tirato in ballo” per diffamazione.
Viceversa, tutto il resto non è da considerare “stampa” e dunque gli unici responsabili per eventuali fatti illeciti saranno soltanto gli autori materiali, mentre il provider potrebbe essere coinvolto solo dimostrando che sapeva della presenza dei documenti “incriminati” sui propri server.
Ma questa è un’altra storia.
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