Copyright – Mytech – Mondadori 8 settembre 2000
Da quando – 15 dicembre 1999 – sono venuti meno i limiti soggettivi (oggi chiunque può avere un indirizzo internet) e numerici (i titolari di partita Iva possono registrare quanti domini vogliono) alla registrazione dei domini, il fenomeno dell’accaparramento in malafede di nomi noti – da parte di speculatori disinvolti – è finito sempre più spesso nelle aule di giustizia e sulle pagine dei giornali.
La Naming Authority – l’ente che “fa le regole” per i domini .it – non poteva rimanere insensibile a questa situazione e dunque ha modificato (lo scorso 15 agosto) nuovamente le regole di naming, introducendo dei correttivi che consentono di “smascherare” gli accaparratori in malafede. Nel frattempo – quando la polemica era al calor bianco – anche il
Governo, nella persona del Sottosegretario all’innovazione tecnologica, On. Stefano Passigli, aveva abbozzato in fretta e furia un disegno di legge che in modo confuso e alquanto superficiale cercava di “mettere ordine” in una materia così delicata. Ma ad oggi, mentre le nuove regole di naming sono operative, di quel disegno di legge si è persa traccia e memoria.
Contro il cibersquatting
Prima del 15 agosto se una persona veniva “scippata” del dominio di interesse, aveva sostanzialmente tre possibilità: cedere al “ricatto” e “comprare” a caro prezzo il dominio; rivolgersi alla magistratura; oppure azionare l’arbitrato (facoltativo) previsto dalle regole di naming.
Le nuove regole hanno introdotto un’altra possibilità per rientrare in possesso del dominio perduto. Premesso che per i casi dubbi o complessi il ricorso all’autorità giudiziaria è sempre preferibile (pensate a una ipotetica causa fra “Ferrari Auto” e “Ferrari Spumanti” per il dominio “ferrari.it”), per le situazioni conclamate è ora disponibile una procedura amministrativa di trasferimento “coatto” dall’originario assegnatario al contestante.
Come funziona
La procedura si attiva dietro richiesta di chi contesta il dominio e viene attuata da appositi “enti conduttori” (controllati dal Presidente della Naming Authority e dei quali parleremo nel prossimo articolo), la cui scelta spetta al ricorrente.
L’esito di questi giudizi non è definitivo: se una delle parti non è d’accordo con il parere espresso dal “comitato dei saggi” incaricato di decidere della questione, può sempre rivolgersi alla magistratura o – se ricorrono gli estremi – all’arbitrato. Lo scopo di questa procedura è comunque quello di avere una specie di “filtro” che “trattenga” tutte le controversie relative a registrazioni palesemente in malafede. In effetti, se un soggetto viene “condannato” in questa sede, difficilmente rischierà tempo e soldi (parecchi) per rivolgersi all’autorità giudiziaria.
Quando si applica la Procedura
Perché un dominio sia sottoposto alla Procedura e dunque il ricorrente possa ottenerne il trasferimento, è necessario che siano valide le seguenti tre condizioni:
a) il dominio dev’essere identico o tale da indurre confusione rispetto al nome e cognome del contestante oppure rispetto a un marchio su cui egli vanti diritti
b) l’attuale assegnatario (il “resistente”) non deve avere alcun diritto o titolo in relazione al dominio contestato
c) il dominio dev’essere stato registrato e dev’essere usato in malafede
La procedura amministrativa di riassegnazione non può essere sempre attivata; non può esserlo nel caso in cui sia già pendente – per il dominio contestato – un giudizio davanti alla magistratura o al collegio arbitrale.
Analogamente, se in pendenza della procedura viene ad istaurarsi un giudizio davanti al giudice ordinario o l’arbitrato, essa non può che estinguersi.
Quanto costa
Per concludere, uno sguardo ai costi (peraltro a totale carico del contestante). Secondo l’art. 16.12 delle nuove regole, questi non possono essere inferiori a 774.508 lire – 400 euro (più Iva, se dovuta).
Nel rispetto di tale norma, gli enti conduttori hanno la facoltà di fissare i prezzi. Ad oggi, solo uno degli enti abilitati – E-solv – ha già pubblicato le proprie tariffe.
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