Il testo italiano del Regolamento generale sulla protezione dei dati personali contiene un clamoroso errore di traduzione.
Il considerando n. 4 del testo inglese dice che
The right to the protection of personal data is not an absolute right
che si traduce come “il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto” (enfasi aggiunta).
Ma nella versione italiana del Regolamento, la frase diventa:
Il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta
“Diritto” e “prerogativa” sono due concetti profondamente diversi e, come insegna l’art. 12 delle Preleggi
Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore.
Quindi la traduzione italiana del Regolamento è sbagliata e c’è da augurarsi che chi lo applicherà – Garante dei dati personali prima di tutti – sia consapevole di questa divergenza.
Se infatti, a differenza della privacy, il trattamento dei dati personali NON è un diritto assoluto, la sua applicazione pratica è molto più limitata perché nell’opera di bilanciamento degli interessi protetti, quelli presidiati dai diritti fondamentali devono necessariamente prevalere.
Possibly Related Posts:
- Chatbot troppo umani, i rischi che corriamo
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?
- Webscraping e Dataset AI: se il fine è di interesse pubblico non c’è violazione di copyright
- Perché Apple ha ritirato la causa contro la società israeliana dietro lo spyware Pegasus?
- Le sanzioni UE ad Apple e Google aprono un altro fronte nella guerra contro Big Tech (e incrinano quello interno)