Tribunale di Roma – Sez. I Civile
Ordinanza 9 marzo 2000
Carpoint vs Microsoft
Presidente dr. Deodato
Relatore dr. Budetta
PREMESSO.
Che con ricorso del 6 ottobre 1999 Carpoint S.p.A., con sede legale in Italia, titolare del marchio registrato ” Carpoint ” e di un sito web sulla rete Internet ” Carpoint.it “, deduceva che Microsoft Corporation, con sede legale negli Stati Uniti, aveva aperto un sito web su Internet all’interno della propria rete ” msn ” (Microsoft Network) con il nome di dominio ” carpoint.msn.com “, all’interno del quale svolgeva attività di intermediazione nella compravendita di autovetture e attività connesse, oltre che di informazione sulle novità del mondo dell’auto, valendosi del marchio ” Carpoint “, e che tale attività costituiva contraffazione del marchio Carpoint di cui essa ricorrente era titolare in Italia, oltre che un uso illecito del cal. domain norme, vale a dire dell’indirizzo sulla rete internet (sito web), onde chiedeva ex art. 63 l.m. e 700 cod. proc. civ. inibirsi alla Microsoft Corporation l’uso in qualsiasi forma del marchio Carpoint all’interno della rete Internet e anche all’interno dei i propri nomi di dominio per Internet;
Che la società resistente eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice italiano e nel merito la infondatezza del ricorso;
Che con ordinanza del 2 febbraio 2000 veniva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice italiano sulla domanda cautelare;
Che con atto depositato in data 11 febbraio 2000 proponeva reclamo avverso l’ordinanza Carpoint S.p.A., deducendo la sussistenza della giurisdizione italiana ai sensi dell’art. 10 legge n. 218/1995 e dell’art. 56 l.m., ed insistendo nell’accoglimento del ricorso;
Che Microsoft Corporation, costituitasi anche in sede di reclamo, insisteva per la conferma dell’ordinanza impugnata, deducendo la infondatezza dei motivi di reclamo,
Che i procuratori delle parti sono comparai dinanzi a questo Collegio in data 25 febbraio 2000 concludendo e riportandosi ai propri scritti
OSSERVA.
– Ai sensi dell’art. 10 della legge n. 218/95 e dell’art. 669 ter cod. proc. civ.; la giurisdizione italiana, in materia cautelare, sussiste quando il provvedimento deve essere eseguito in Italia o quando il giudice italiano ha giurisdizione nel merito. Nel caso in esame, essendo pacifico che il provvedimento non deve essere eseguito in Italia, occorre valutare se sussista la giurisdizione italiana nel merito. Ai sensi dell’art. 3 della legge n. 218/95 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del cod. proc. civ., ” e negli altri casi in cui è prevista dalla legge “. L’art. 56, comma 1, l.m. (come sostituito dall’art. 53 del d.lgs. 4 dicembre 1992), non espressamente abrogato da norme successive e norma speciale in materia di marchi, stabilisce che ” le azioni in materia di marchi già registrati o in corso di registrazione e le azioni in materia di marchi registrati presso l’Organizzazione mondiale della proprietà individuale di Ginevra, relativamente ai loro effetti nel territorio dello Stato, ai propongono davanti all’autorità giudiziaria dello Stato, qualunque sia la cittadinanza, il domicilio o la residenza delle parti
– Occorre verificare dunque, essendo la questione di merito relativa alla contraffazione di marchio, se alla stregua di tale norma si aia in presenza di uno dei casi in cui ” la giurisprudenza italiana è prevista dalla legge ” (ai sensi dell’art. 3, comma 1, 1, cit.). Parte resistente ha infatti sostenuto la abrogazione implicita della norma a seguito della entrata in vigore della legge n. 218/1995, e che per il richiamo alla Convenzione di Bruxelles contenuto nel comma 2 delI’art. 3 cit. nelle materie regolate da questa, debba farsi esclusivo riferimento ai criteri di collegamento ivi indicati, e nella specie alla norma che in materia di responsabilità extracontrattuale indica come criterio di collegamento il luogo in cui si è verificato l’evento dannoso (e che nel caso in esame non sarebbe il territorio italiano). È evidente che il richiamo ai criteri aggiuntivi indicati – per relationem alla Convenzione di Bruxelles – al comma 2 dell’art. 3 cit. assume rilievo solo ove ai ritenga abrogata la norma speciale dell’art. 56 l.m., altrimenti la fattispecie sarebbe regolata dal comma 1 del suddetto articolo, quale ipotesi di giurisdizione italiana prevista espressamente dalla legge (rientrante quindi negli ” altri casi previsti dalla legge “).
Orbene, deve in primo luogo escluderai che tale norma aia stata abrogata dall’art: 16.4 della Convenzione di Bruxelles, poiché tale ultima norma, sia pure in una interpretazione estensiva, riguarda le azioni aventi ad oggetto la registrazione, la validità di un marchio o la rivendicazione di un diritto di priorità derivante da un deposito anteriore effettuato in base ad una convenzione internazionale, e dunque non le azioni di contraffazione del marchio.
Parte resistente deduce tuttavia che l’art. 56 l.m. costituirebbe una mera applicazione dell’art. 4 n.2 cod. proc. civ., cosicché l’abrogazione di questa norma (ex art. 73 legge n. 218/1995 in coordinamento con l’art. 3 della convenzione di Bruxelles) avrebbe comportato anche l’abrogazione dell’art. 56 suddetto. Il disposto dell’abrogato art. 4 n. 2 cod. proc. civ. prevedeva che ” lo straniero può essere convenuto davanti ai giudici della Repubblica se la domanda riguarda beni esistenti nella Repubblica… oppure obbligazioni quivi sorte o da eseguirai “: sul presupposto che il marchio è un bene immateriale, si riteneva che la norma che riconosceva la giurisdizione del giudice italiano sulle azioni di tutela di marchi italiani fosse applicazione di tale principio. Tuttavia, l’art. 73 della legge n. 218/1995 indica in modo espresso una serie di disposizioni abrogate, tra cui non rientra quella in esame, per cui deve farsi riferimento al disposto generale dell’art. 15 delle preleggi, alla cui stregua le leggi non sono abrogate che da leggi posteriori per dichiarazione espressa del legislatore o per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti o perché la nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore.
Nel caso in esame, non vi è stata abrogazione espressa; non vi è abrogazione a seguito di nuova regolazione dell’intera materia, in quanto è la stessa nuova legge, all’ari. 3, comma 1, ad affermare che sussiste la giurisdizione italiana ” negli altri casi in cui è prevista dalla legge “, e che dunque fa salve norme speciali preesistenti; non vi è incompatibilità sostanziale, in quanto non è impossibile la contemporanea applicazione della legge n. 218/1995 e dell’ari. 56 l.m. (cfr. sul criterio dell’impossibilità di applicazione contemporanea come criterio che identifica l’incompatibilità, Cass. n. 1760/1995).
Dunque, sussiste in materia di contraffazione di marchio la giurisdizione del giudice italiano, ai sensi dell’ari. 56 l.m., alla cui stregua, a prescindere dalla cittadinanza, domicilio, residenza delle parti in causa, sulle azioni in materia di marchi registrati (o in corso di registrazione) in Italia, nonché di marchi internazionali in relazione agli effetti prodotti in Italia, il giudice italiano ha giurisdizione esclusiva.
E’ comunque opportuno rilevare, in riferimento alle eccezioni della resistente sulla giurisdizione, che la norma suddetta, peraltro modificata di recente con il d.lgs. 4 dicembre 1992, e dunque successivamente alla legge di attuazione della Convenzione di Bruxelles, neppure sarebbe in incompatibile contrasto con il disposto dell’ari. 5, comma 2 della Convenzione di Bruxelles richiamato dall’ari. 3 della legge n. 218/1995, atteso che, alla luce della interpretazione elaborata dalla Corte di Giustizia con una sentenza (sent. 30 novembre 1976 nella causa 21/76 Handelskwerkerij G.J. Bier B.V. c. Mines del Potasse d’Alsace), volta a dirimere i contrasti interpretativi insorti in riferimento al ” luogo dell’evento dannoso ” nei casi di dissociazione tra luogo di commissione dell’azione’ e luogo dove se ne verificano le conseguenze dannose, ha sancito nel sistema della convenzione il ” principio della ubiquità “, affermando che ” qualora il luogo in cui avviene il fatto implicante un’eventuale responsabilità da delitto o quasi delitto non coincida con il luogo in cui tale fatto ha causato un danno, l’espressione ” luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto “, nell’art. 5, comma 3 della Convenzione va inteso nel senso che essa si riferisce tanto al luogo ove è insorto il danno quanto al luogo ove si è verificato l’evento generatore dello stesso. Ne consegue che il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, sia dinanzi al giudice del luogo ove è insorto il danno, sia dinanzi a quello del luogo ove si è verificato l’evento dannoso ” (vale. a dire ove la lesione dell’interesse tutelato si realizza). Tale impostazione, alla quale la Corte di Cassazione si era già adeguata (Casa., Sez. Un., 22 giugno,1990,,n. 6330, Cass., Sez. Un., 4 gennaio 1993, n. 1, Cass., Sez. Un., 28 ottobre 1993, n. 10704), e che è stata anche più di recente ribadita dalla Corte di giustizia (seni. 19 settembre 1995 causa C364793 Marinari c. Lloyd’s Bank plc e Zubaidi Trading company), indurrebbe comunque a fondare la giurisdizione italiana, avendo assunto il ricorrente la lesione del marchio tutelato in Italia, e quindi ivi essendosi realizzata la (eventuale) lesione dell’interessato tutelato.
Nel merito, la domanda cautelare è stata proposta ai sensi dell’art. 63 legge marchi, così come modificato dall’art. 9 del d.lgs. 9 marzo 1996, n. 198. . La società reclamante (tra i maggiori concessionari per la vendita di autovetture Ford in Europa), operante nel campo della vendita di autoveicoli nuovi, e nella mediazione dell’usato, titolare del marchio registrato ” Carpoint ” e del domain name del sito Internet ” carpoint.it “, lamenta che la Microsoft Corporation, con sede nello stato di New York, ha aperto au Internet un sito Web nell’ambito della propria rete ” msn ” (Microsoft Network) con il domain name “carpoint.msn.com “, al cui interno svolge attività di intermediazione nella vendita di veicoli nuovi e usati, oltre che servizi di informazione sulle relative caratteristiche tecniche e modalità di acquisto. La società reclamante lamenta quindi che l’uso del segno ” Carpoint posto in essere da Microsoft Corporation sulla rete Internet costituisca sia contraffazione del proprio marchio ” Carpoint ” ai sensi dell’art. 11 l marchi, sia un uso illecito del nome di dominio, vale a dire dell’indirizzo sulla rete internet (sito Web). La questione controversa è dunque se aia stata realizzata una lesione del marchio registrato in Italia ” Carpoint”, attraverso l’utilizzo di un domain trame, con le caratteristiche sopra indicate, da parte di società titolare dello stesso marchio in una diversa nazione.
È opportuno premettere che, all’interno della rete Internet, il singolo utente (o meglio la singola macchina) ha un indirizzo noto appunto come domain trame, costituito da una parte ” individualizzante ” scelta dall’utente (cal. server) e da una abbreviazione che ne descrive il tipo (com individua organizzazioni commerciali), oppure lo stato di appartenenza (.it individua l’Italia). Per le caratteristiche tecniche della relativa assegnazione, un dato indirizzo può essere registrato a nome di un unico soggetto che lo usa. L’autorità designata assegna il nome sulla base della mera priorità temporale della richiesta (cal. principio ” first come, first served”), e sulla base di un controllo che ha per oggetto solo la eventuale preesistenza di domini identici e ignora il potenziale conflitto con marchi protetti. La conseguenza di questo sistema è che in rete non possono esservi siti con nomi uguali. In linea di principio, come già ritenuto da quasi tutta la giurisprudenza di merito che si è pronunciata in casi analoghi (Trib. Verona 25 maggio 1999, Trib. Padova 14 dicembre 1998, Trib. Bari 18 giugno 1998, in Foro it., 1999,1, 3062; Trib. Roma 2 agosto 1997, Trib. Milano 22 luglio 1997, Trib. Milano 10 giugno 1997, in Foro it., 1998, I, 923; Trib. Modena, 23 ottobre 1996, in Foro il., 1997, I, 2316; per un’ampia rassegna di analoga giurisprudenza di diverse giurisdizioni v. Foro it., 1999, I, 3063, e IV, 415; contra, Trib. Bari 24 luglio 1996, in Foro it. 1997, I, 2316) il ” domain name ” può reputarsi come segno distintivo, ove utilizzato da un imprenditore, suscettibile di entrare in conflitto oltre che con altri ” domain names ” eventualmente simili, anche con altri segni tipici quali in particolare il marchio e, nel caso di conflitto, può richiedersi l’inibitoria prevista dall’art. 63 leggi marchi: pur tenendo conto della peculiare natura e funzione tecnica, il domain name non può ritenersi solo un mero indirizzo elettronico o casella poetale, ove utilizzato in connessione allo svolgimento di una attività economica, dove assume anche una funzione di individuazione della attività economica connessa.
In concreto, occorre dunque valutare, sulla base dei principi generali in materia di tutela del marchio, se nella specie sussiste conflitto e possibilità di confusione tra il domain name ” carpoint.msn.com “, un altro domain name “carpoint.it “, ed il marchio ” Carpoint ” dell’azienda che ne è titolare. A tale proposito, occorre considerare che l’art. 1 del r.d. n. 929/1942, sostituito dall’art. 1 del d.lgs. 4 dicembre 1992, n. 480 e, successivamente dall’art. 1 del d.lgs. 19 marzo 1996, n. 198, come è noto, assegna al titolare del marchio la facoltà di farne uso esclusivo e di vietare a terzi di usare: a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui è stato usato o registrato; b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, ore a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità tra i prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di confusione tra i due segni; c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi non affini, ove il marchio registrato goda nello Stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
Nel caso in esame, deve escludersi la sussistenza dell’ipotesi sub a) in quanto, per le considerazioni più sopra svolte a riguardo della attribuzione del domain nome, non vi è ” identità ” tra il domain name ” carpoint.msn.com “utilizzato dalla Microsoft, il domain name ” carpoint.it ” utilizzato dalla società ricorrente, né, tantomeno, tra il primo e il marchio Carpoint della reclamante. Deve anche escludersi l’ipotesi sub c), in quanto non è stato né provato né dedotto che il marchio Carpoint goda in Italia di rinomanza e, tantomeno, che la Microsoft, società di assoluto rilievo mondiale, possa trarre indebitamente vantaggio dall’uso del marchio. Deve invece esaminarsi l’ipotesi sub b). L’identità di servizi tra la società ricorrente ed il ramo dell’attività della società resistente che utilizza il sito “carpoint.msn.com ” è esclusa dalla stessa società ricorrente, la quale ha chiarito che l’attività di essa ricorrente ècostituita dalla ” vendita di autovetture ” Ford in Italia ed ha rilevato che ” sul sito Carpoint, Microsoft non presta intermediazione per consegne di autovetture in Italia “; è dunque pacifico che l’intermediazione di Carpoint statunitense ha ad oggetto la consegna di autovetture di concessionarie statunitensi, laddove l’attività di Carpoint italiana è limitata a concessionarie italiane. Deve valutarsi invece se, per la indubbia affinità tra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di confusione tra i due segni: sussiste infatti contraffazione soltanto nell’ipotesi in cui la affinità sia tale da poter indurre il pubblico a ritenere che vi sia un qualche collegamento (quanto alla fonte di provenienza) tra l’uno e l’altro servizio (cal. ” rischio di associazione Nel caso di specie, questo rischio non sussiste: premesso che, secondo giurisprudenza costante, la valutazione della confondibilità deve tener conto della capacità di discernimento media dei consumatori, è da escludere che i destinatari dei servizi e prodotti di Carpoint italiana possano confondere il sito Carpoint Microsoft, sì da ritenerlo come appartenente alla società italiana (o emanazione di questa). Nella valutazione della concreta sussistenza di tali rischi, anche solo sotto l’aspetto del fumus, assumono rilievo le circostanze in cui la confusione dovrebbe realizzarsi. Il sito ” carpoint.msn.com” è un sito esclusivamente in lingua inglese, con l’indicazione dei prezzi in divisa USA, l’indicazione delle tasse da applicare in quel paese, consigli sui servizi finanziari ed assicurativi americani, con la lista di tutti gli uffici USA; per accedere alle informazioni sulle auto disponibili occorre indicare una residenza ed il codice di avviamento poetale USA. L’affinità di servizi (entrambi i siti consentono di acquisire informazioni circa la vendita di vetture e le caratteristiche delle stesse) non comporta, quindi, per il pubblico alcun rischio di confusione, in quanto attraverso il sito americano è possibile avere informazioni sull’acquisto di autovetture esclusivamente negli USA ed in commercio in quello Stato, mentre la società italiana esercita attività di compravendita di autovetture esclusivamente in Italia. La circostanza che, essendo molte vetture in commercio sia in Italia che negli USA, alcune informazioni dello stesso genere vengono fornite su entrambi i siti, non comporta la confondibilità di segni distintivi utilizzati per attività svolte in continenti diversi e destinate, tendenzialmente, a soggetti diversi. Peraltro, è sintomatico che nonostante ff lungo tempo intercorso dall’epoca della utilizzazione da parte di Microsoft del sito web in oggetto (il sito è stato reso operativo dal 17 luglio 1996) nessun episodio specifico di confusione si aia verificato, mentre gli stessi esempi indicati dalla società ricorrente evidenziano che il rischio di confusione non riguarda né il pubblico in generale, né gli utenti di Internet in generale, ma solo situazioni particolari (” European Delivers “) acquisto di auto con consegna in Europa; acquisto di auto da parte di un europeo a favore di un residente negli Usa) che, in quanto tali, non sono idonee ad integrare i requisiti previsti dall’art. 1 lett. B) della legge marchi. A ciò deve aggiungerai che la denominazione Carpoint (” punto auto “, in inglese) adottata dalla società reclamante, e utilizzata da Microsoft per il sito web, è peraltro in diretta aderenza concettuale con l’attività cui inerisce, per cui deve ritenersi rientrare nella categoria dei marchi qualificati ” deboli “, tutelabili solo se riprodotti integralmente o imitati in modo prossimo (mentre anche lievi modifiche sono idonee ad escludere la contraffazione), e per i quali il giudizio di confondibilità deve essere effettuato con criteri meno rigorosi, (per tutte Cass. n. 1724/1994, Cass. n. 5924/1996).
La società ricorrente deduce inoltre che l’uso pubblicitario del marchio Carpoint in Italia sarebbe sufficiente a costituire una violazione del diritto al marchio, per il disposto dell’art. 1, comma 2, l.m.: invero, la norma vieta l’utilizzazione del. segno ” nella pubblicità ” nelle ipotesi previste dal comma 1 che, per quanto detto, non sussistono. Neppure appare fondata, sia pure in questa sede di sommaria cognizione, la domanda, proposta in via subordinata da Carpoint S.p.A., relativa all’accertamento della attività di Microsoft come atti di ” preparatoria della contraffazione “, atteso che la circostanza dedotta dalla ricorrente della avvenuta presentazione, da parte della resistente società, della domanda di registrazione del marchio Carpoint in sede comunitaria, anche valutata unitamente alle altre circostanze sopra indicate, non è a tal fine sufficiente, trattandosi dell’esercizio di una attività in sé legittima, salvo ogni giudizio di merito in quella sede; né le dichiarazioni di intenti relative alle prospettive della società resistente sono, allo stato, sufficienti a rendere apprezzabile l’attualità di una ” attività preparatoria ” della contraffazione.
Alla luce delle considerazioni svolte, in riforma dell’ordinanza impugnata, deve essere respinto nel merito il ricorso proposto da Carpoint S.p.A., nei confronti di Microsoft Corporation.
Tenuto conto della natura della complessità e della novità delle questioni controverse, sussistono giusti motivi per compensare le spese del procedimento.
P.Q.M.
Visto l’art. 669 terdecies cod. proc. civ., in riforma dell’ordinanza emessa il 2 febbraio 2000 dal giudice designato al termine del procedimento cautelare proposto, prima dell’inizio della causa di merito, da Carpoint S.p.A. nei confronti di Microsoft Corporation,
rigetta il ricorso e
compensa tra le parti le spese del procedimento.
Roma, 9 marzo 2000
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