TRIBUNALE DI MODENA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Modena –II Sezione Civile,
riunito in Camera di Consiglio in persona dei sigg.ri
1) – dr. GUIDO STANZANI – Presidente
2) – dr. ALBERTO ROVATTI – Giudice
3) – dr. MICHELE CIFARELLI – Giudice rel.
ha emesso la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta col n° 3156/00 al Ruolo Generale e vertente
TRA
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del Presidente legale rappresentante Enzo Cardi, elettivamente domiciliata in Modena presso lo studio dell’avv. Rolando Pini, che la rappresenta e difende unitamente agli avv.Valerio Tavormina, Marcello Molè ed Andrea Sandulli del foro di Roma in virtù di mandato a margine dell’atto di citazione; -ATTRICE-
E
XX , elettivamente domiciliato in Modena presso lo studio degli avv. Loredana Gazzetti e Giorgio Borelli, che lo rappresentano e difendono in virtù di mandato in calce alla comparsa di costituzione;
NAMING AUTHORITY ITALIANA, in persona del Presidente legale rappresentante Claudio Allocchio, elettivamente domiciliata in Modena presso lo studio dell’avv. Maurizio Riguzzi, che la rappresenta e difende unitamente agli avv.Enzo Fogliani e Pieremilio Sammarco del foro di Roma e Patrizio Menchetti del foro di Lucca, in virtù di mandato in calce alla copi notificata dell’atto di citazione;
CONSIGLIO NAZIONALE delle RICERCHE, in persona del legale rappresentante in carica, ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna e presso i suoi uffici domiciliata; -CONVENUTI-
P.M. in sede -NON INTERVENUTO-
Oggetto: contraffazione, nullità marchi, concorrenza sleale ed altro
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Avendo XX registrato per Internet quali propri nomi a dominio bancoposta.it, vaglia.it e raccomandata.it, Poste Italiane s.p.a. agiva dinanzi a questo Tribunale onde ottenere tutela in via cautelare ante causam. L’istanza veniva accolta in sede di reclamo, ove si vietava a XX l’impiego dei termini in questione quali domain names dei propri siti Internet, disponendosene l’immediata chiusura.
Con atto di citazione notificato in data 9-10 ottobre 2000, Poste Italiane s.p.a. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Modena XX –in proprio e quale titolare della Discovogue- la Namig Authority Italiana, la Registration Authory Italiana ed il Consiglio Nazionale delle Ricerche (tutte parti già evocate in sede cautelare, ove era stata ulteriormente citata la Got.it, quale intermediaria del XX nella registrazione dei siti in questione), rassegnando conclusioni sostanzialmente conformi a quelle riportate in epigrafe, tranne che per l’estensione a tutti i convenuti della condanna al risarcimento dei danni di cui al capo a) di dette conclusioni, in sede di p.c. ribadita soltanto nei confronti del XX.
In sintesi l’attrice, premesso di aver in corso la registrazione del marchio “bancoposta” e di avere in preuso nazionale i marchi “vaglia” e “raccomandata”, sosteneva che l’altrui registrazione in Internet di tali locuzioni come propri nomi a dominio costituisse sia contraffazione di marchio, sia concorrenza sleale sotto tutti i profili normativi, sia illecito ordinario.
XX , costituitosi in giudizio, rassegnava conclusioni sostanzialmente corrispondenti a quelle riportate in epigrafe -tranne quelle iniziali relative ad una presunta nullità della citazione, aggiunte in sede di precisazione delle conclusioni- deducendo, in sintesi, l’inidoneità di tali parole ad essere registrate quali marchi e l’assenza di un rapporto di concorrenzialità.
Le altre parti si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto delle domande spiegate nei rispettivi confronti.
Comunicati gli atti al P.M. –che non riteneva di intervenire in giudizio- in relazione alla riconvenzionale di nullità del marchio “bancoposta” proposta da XX e risolte alcune questioni inerenti la cautela in atto, di cui è inutile dar conto in questa sede, il G.I. riteneva di provocare l’immediata decisione della causa senza alcun approfondimento istruttorio, sicchè essa, sulle conclusioni delle parti come in epigrafe trascritte, scaduti in data 9 aprile 2004 i termini concessi ex art.190 cpc, veniva rimessa al collegio per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Non è superfluo precisare che le parti convenute in causa sono, oltre alla Naming Authority Italiana:
a) XX . Nell’ordinamento giuridico italiano, infatti, non esiste una soggettività giuridica dell’impresa individuale scissa da quella del suo titolare, che risulta pertanto unico soggetto giuridico sia in quanto persona, che in quanto imprenditore. Non ha senso, quindi, differenziare la qualità soggettiva di costui in relazione all’uno od all’altro aspetto del suo essere centro d’imputazione d’interessi giuridici, né tantomeno sollevare rilievi in rito che si fondano sull’esistenza di due distinte identità soggettive: XX è in quanto tale parte unica del processo, sia (per citare i termini utilizzati in causa) in proprio, sia in quanto titolare dell’impresa individuale denominata Discovogue. Tutte le questioni pregiudiziali poste dal XX e fondate su tale erronea duplicità della sua partecipazione al giudizio vanno quindi disattese;
b) il Consiglio Nazionale delle Ricerche, essendo la Registration Authority Italiana una semplice articolazione interna delle attività ad esso affidate, priva di autonoma personalità giuridica.
2) L’eccezione di incompetenza territoriale del giudice adito, per essere competente il Tribunale di Bologna in virtù della regola del c.detto “foro erariale” di cui agli artt. 25 cpc e 6 R.D. n°1611/33, sollevata dal XX in ragione della contemporanea evocazione in giudizio, da parte dell’attrice, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, non merita accoglimento.
Se è vero, infatti, che il C.N.R. gode dell’assistenza legale obbligatoria dell’Avvocatura dello Stato (dapprima in forza del R.D. n°779/1940, poi ex art.21 del D. L. L. n°82/45, ed ora ex art.15 co.7 del D. Lgs n°127 del 4 giugno 2003, che ha in gran parte sostituito il D. lgs. n°19 del 30 gennaio 1999, a sua volta in gran parte sostitutivo del D. L. L. n°82/45), è altrettanto indiscusso che esso sia un ente pubblico non economico, dotato di formale personalità giuridica distinta da quella dello stato, essendo tale distinta soggettività, già affermata nell’art.1 del D. L. L. n°82/45 e comunque ritenuta nella vigenza di tale normativa dalla Cassazione (si veda, per tutte, Cass., sez.U., sent. n°8533 del 21 agosto 1990), testualmente affermata sia nell’art.1 del D. Lgs n°19/99, vigente all’epoca d’introduzione della presente causa (ove il C.N.R. viene definito “ente nazionale di ricerca” con “personalità giuridica di diritto pubblico”, dotata di un “ordinamento autonomo”) sia nell’art.2 del recente D. Lgs n°127/03 (che lo definisce “ente pubblico nazionale”, con “personalità giuridica di diritto pubblico”, che gode di “autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa, patrimoniale e contabile” e si dota di un “ordinamento autonomo”).
Ciò posto, è pacifico in giurisprudenza che “le particolari disposizioni in materia di foro erariale…si applicano alle sole controversie nelle quali sia parte un’amministrazione dello stato” e “non sono pertanto estensibili alle controversie nelle quali siano parte altri enti che, pur rappresentati e difesi in giudizio dall’Avvocatura, abbiano soggettività giuridica formalmente distinta dallo Stato” (così Cass., sez.I, sent. n°7956 del 25 agosto 1997. Nei medesimi sensi Cass., sez.I, sent. n°6450 del 8 luglio 1994, Cass., sez.U., sent. n°3573 del 25 marzo 1993 nonché, ancor prima, Cass. nn°4150/78, 4852/81, 6858/83 e 4080/85).
Tale essendo il caso del C.N.R., va pertanto esclusa l’applicazione, nei suoi confronti, delle regole del foro erariale, con conseguente rigetto dell’eccezione.
3) Tutte le questioni riproposte dal XX che riguardano la cautela concessa ante causam non vanno trattate, essendo destinate ad essere comunque assorbite e superate dalla decisione del merito da rendersi in questa sede.
4) Got.it non è parte necessaria del presente giudizio di merito. La sua mancata evocazione in causa, pertanto, già in astratto all’effetto d’inefficacia del cautelare ante causam pronunciato nei suoi confronti (in concreto, peraltro, tale parte è stata evocata in detto procedimento, ma non ha subito alcuna pronuncia), non accoppia anche un’efficacia invalidante della citazione, come dedotto dal XX.
5) Non può seriamente mettersi in dubbio la legittimazione attiva delle Poste Italiane in ordine alle domande proposte nei confronti del XX per aver nelle more del giudizio trasferito i servizi internet ad altra società, stante il chiaro disposto dell’art.111 co.1° c.p.c.
6) Passando all’esame del merito, è il caso di premettere che Internet è una rete telematica mondiale, articolata in vari nodi nazionali e locali, cui i singoli utenti accedono attraverso la rete telefonica collegata al computer. Per rendersi accessibili agli altrui collegamenti, è necessario individualizzare il “sito” del proprio computer attraverso un codice di identificazione (c.detto indirizzo IP, Internet Protocol) costituito da una data combinazione di gruppi di numeri divisi da punti. Per facilitare i collegamenti, ciascuno di tali indirizzi viene affiancato da uno (e uno solo) c.detto indirizzo DNS (Domain Name System), rappresentato da una combinazione di lettere in grado di formare parole di senso compiuto, che costituisce l’elemento necessario e sufficiente al singolo utente per realizzare la connessione con quel particolare sito (provvedendo l’apposito software a convertire automaticamente l’indirizzo DNS nell’indirizzo IP, unico riconoscibile dalle macchine).
Gli indirizzi DNS si compongono di due parti. Il c.detto top level domain (TLD), che è composto da due o tre lettere poste all’estrema destra, dopo un punto, che identificano l’area tematica o geografica del sito. I TLD esistono in numero limitato per le aree tematiche (il più famoso è .com , che designa le attività commerciali), mentre molte aree geografiche hanno il proprio TLD identificativo (per l’Italia è .it). Il TLD è la parte di indirizzo che non è scelta dall’utente, ma gli viene assegnata al momento della registrazione.
Il c.detto second level domain si trova, invece, sulla sinistra, ed è una espressione alfabetica liberamente scelta dall’utente (entro il limite tecnico rappresentato dal numero dei caratteri, che non deve essere superiore a 21), costituendo pertanto il vero momento identificativo del sito.
Tale meccanismo è diventato uno standard generale, garantito da un sistema di registrazione dei nomi che, nato in America, si è poi articolato nel mondo attraverso la creazione di varie autorità di registrazione locali, che adottano procedure simili per l’assegnazione, definite da autonomi organismi collaterali. In Italia, il regolamento di registrazione è stabilito dalla Naming Authority italiana (Na), mentre la Registration Autorithy italiana (Ra) è l’organismo responsabile dell’assegnazione dei nomi –tutti aventi il TLD .it- e della tenuta dei relativi registri. Il principio cardine dell’assegnazione dei DNS è la regola del “first came, first served”, in forza del quale l’autorità assegna il nome al primo utente che ne fa richiesta, senza svolgere alcun preventivo controllo di interferenza con altrui diritti di privativa discendenti dalla legge.
Ciò posto, è chiaro che compito del giudice non è quello di arretrare di fronte ad un fenomeno in continua espansione, retto da propri principi di funzionamento e con caratteristiche uniche e, fino a poco tempo fa, inimmaginabili (una per tutte: la delocalizzazione, per cui ogni “sito” risulta accessibile da ogni parte del mondo); è necessario, al contrario, occuparsi della sua collocazione giuridica, utilizzando gli ordinari strumenti esegetici al fine di verificare ogni possibile interferenza con la legislazione interna di riferimento che, nella specie, è in primo luogo quella relativa alla privativa ed alla concorrenza.
6.1) In relazione alla legislazione di tutela dei marchi e dei segni distintivi, occorre quindi porsi l’astratto problema della catalogazione del DNS; il che significa chiedersi innanzitutto se esso costituisca in qualche modo un segno distintivo (assimilabile ad un marchio di fatto, ad una ditta di fatto, ad una insegna, o individuabile come segno atipico), in quanto tale soggetto all’altrui aggressione per violazione della privativa, ovvero costituisca qualcosa d’altro, estraneo all’applicazione della disciplina qui in considerazione -ci si riferisce, in particolare, a quella teoria che individua nel DNS semplicemente l’indirizzo del computer collegato alla rete (vedi Trib.Firenze, ord. 29 giugno 2000).
In realtà, ove si consideri che l’elemento qualificante del DNS –ovvero il second level domain- viene ad essere arbitrariamente stabilito dall’utente (ed ha quindi ben poco in comune con l’indirizzo, che certo non è oggetto di scelta), non può seriamente dubitarsi dell’appartenza del domain name alla categoria dei segni distintivi, di cui possiede tutte le caratteristiche peculiari, vale a dire la natura di rappresentazione grafica (nella specie denominativa) prescelta dal titolare allo scopo di far riconoscere la propria attività rispetto agli altri.
Che, poi, esso debba ricondursi ad una piuttosto che ad altra categoria di segni, al fine che qui occupa, poco importa (questo giudice, sia detto per inciso, propende per l’assimilazione all’insegna, perché svolge l’identica funzione di contraddistinguere il luogo –virtuale- in cui l’imprenditore offre i propri prodotti o servizi al pubblico, consentendone al contempo il reperimento e l’individuazione rispetto ai concorrenti), poiché, così classificato, comunque il domain name non si sottrae al rispetto delle regole dettate in materia, in virtù del principio di unicità dei segni distintivi.
6.2) In rapporto alla disciplina della concorrenza, vengono necessariamente in rilievo le peculiarità proprie di internet, che determinano le seguenti opzioni intepretative:
a) in primo luogo, il rapporto di concorrenza va verificato non solo rispetto al segmento di mercato relativo ai prodotti e servizi offerti in via diretta dalle imprese attraverso la rete, ma anche rispetto allo specifico mercato della raccolta pubblicitaria proprio della rete. In effetti, è notorio che ciascun sito internet, oltre ad essere utilizzato per la promozione e la vendita dei prodotti e servizi del titolare, ha un’ontologica attitudine a veicolare informazioni pubblicitarie di terzi nei confronti dei visitatori del sito. Esiste, pertanto, su internet, uno specifico mercato, in cui la clientela è costituita da imprese terze rispetto al titolare del sito, disposte a pagare a costui un corrispettivo per la diffusione della propria pubblicità nei confronti dei visitatori del sito, in quanto produttrici di prodotti o servizi potenzialmente collocabili presso costoro; corrispettivo la cui entità è notoriamente funzione del numero dei c.detti “click” (cioè, delle operazioni svolte da ogni utente all’interno del sito -a partire da quella che consente l’ingresso in esso, fino a quella che determina l’uscita dal sito- attraverso l’uso del “mouse”, che a tal fine vengono esattamente conteggiate, essendo ciò consentito dall’esistenza di software in grado di rilevarle con precisione) e quindi del numero dei visitatori. In tal senso, può dirsi che ciascun sito internet funziona anche come una televisione monotematica o un prodotto editoriale di settore, che vendono spazi pubblicitari alle imprese che annoverano fra i propri potenziali clienti gli utenti della prima o i lettori della seconda, praticando prezzi proporzionati alla loro diffusione;
b) ciò determina la necessità di una verifica supplementare e peculiare del rapporto di concorrenza, che può esistere rispetto al mercato pubblicitario specifico –oltre che in aggiunta- anche in assenza di diretta concorrenza sui prodotti e servizi offerti. Per fare un esempio, fra un commerciante di automobili ed un editore di una rivista di storia dell’automobile non è ipotizzabile alcuna concorrenza nel mercato “reale”; sul mercato “virtuale”, invece, entrambi si rivolgerebbero ad una fascia d’utenza almeno parzialmente coincidente e quindi ad un identico mercato pubblicitario, e conseguentemente andrebbero considerati rispetto a questo concorrenti;
c) con riferimento alle specifiche ipotesi di concorrenza sleale, partendo da quella di cui alla prima ipotesi dell’art.2598 n°1 c.c., la costante affermazione giurisprudenziale, secondo cui “la configurabilità della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 1 c.c. postula un ‘quid pluris’ rispetto alla mera contraffazione del marchio, consistente nel requisito della confondibilità, in concreto, dei prodotti, che non è invece necessario al fine dell’esercizio dell’azione di contraffazione, per il quale è sufficiente la mera confondibilità tra i segni” (così, ex multis, Cass., sez.I, sent. n°9617 del 25 settembre 1998), va senz’altro ribadita. Essa, però, rispetto alla concorrenza sul mercato della raccolta pubblicitaria di internet, si atteggia in maniera peculiare, poichè occorre considerare che, come detto, tale mercato è funzione della tipologia e del numero degli utenti del sito, che per lo più si determinano a visitarlo in base al contenuto ipotizzabile in rapporto al significato corrente del domain name e vengono conteggiati anche in base al semplice accesso alla pagina iniziale del sito, pur se seguito da immediato recesso. Ad esempio, se un utente di internet è interessato ad acquisire notizie su armi da sparo a lungo raggio e non conosce direttamente il nome del sito che gli possa offrire tali notizie, proverà ad effettuare una ricerca casuale, o affidandosi ad uno dei tanti motori di ricerca esistenti in rete, che svolgono la funzione di rinvenire i siti di cui si conoscono parti del DNS, digitando ad esempio la parola “fucili”, o –se appena un po’ più esperto- digitando direttamente tale parola quale DNS, seguita da un punto e da uno dei vari TLD utilizzabili – .it, .com, etc. In entrambi i casi troverà un sito denominato “fucili.it” ove, per il solo fatto del collegamento, diventerà un contatto spendibile sul mercato pubblicitario dal titolare del sito -anche se, nella specie, costui fosse un imprenditore di nome Fucili, che commercializzi tutt’altro genere di prodotti. Analogamente –e l’esempio è più pertinente- una persona interessata all’acquisto di un’automobile potrà, nella sua ricerca casuale, imbattersi in siti in cui effettivamente si commercializzano veicoli, ma anche in altri che si occupano di storia dell’automobile, ovvero che offrono la funzione di ricerca di siti in materia di automobili, etc., tutti in concorrenza fra loro rispetto al mercato pubblicitario informatico indirizzato all’utenza interessata alle automobili, cui praticano prezzi in ragione dei contatti ricevuti.
E’ evidente, pertanto, che rispetto al mercato in questione, la concreta confondibilità richiesta dall’art.2598 n°1 prima parte cc può determinarsi per la sola esistenza del sito identificato con il nome di dominio, a prescindere dal fatto che nel suo contenuto si riportino specificazioni atte a differenziare senza dubbio la propria offerta informatica rispetto a quella del concorrente, poichè il segno identificativo del sito –cioè il suo domain name- ha già in se il potere di attrazione dell’utenza in funzione della quale le risorse pubblicitarie vengono destinate. Rispetto a tale mercato, in altre parole, il sito ha funzione di contenitore del prodotto, e non v’è dubbio che anche nel mercato “reale” l’identità del contenitore, e quindi del segno che esso incarna o dei segni che su di esso sono riprodotti, rende concreto il rischio confusorio anche in presenza di una diversificazione, anche notevole, dei prodotti che in essi siano contenuti, ma che non siano –come il contenuto del sito- immediatamente percepibili dal potenziale acquirente prima ed a prescindere dal contenitore;
d) una volta determinato come sopra l’ambito di operatività dell’art.2598 n°1 prima parte c.c., in relazione alla mera registrazione di un nome a dominio resta ben poco spazio operativo alle altre ipotesi legali di concorrenza sleale. Poichè, infatti, il domain name va ascritto alla categoria dei segni distintivi, ove esso non interferisca con l’ambito di tutela degli altrui segni deve escludersi in radice la possibilità che con esso possa realizzarsi una delle altre ipotesi di concorrenza sleale disciplinate dalla legge (salva la marginale ipotesi di un domain name in sè denigratorio, che cioè esprima un significato di discredito del concorrente, come potrebbe essere un sito denominato posteitalianeinefficienti.it), che tutte presuppongono l’adozione di mezzi od il compimento di atti diversi ed ulteriori rispetto all’appropriazione degli altrui segni; ipotesi (quali la concorrenza confusoria realizzata con “qualsiasi altro mezzo”, l’appropriazione di pregi, la violazione dei doveri di correttezza professionale, ed anche l’imitazione servile, ove si consideri il sito quale prodotto o servizio offerto al mercato della pubblicità informatica) ordinariamente realizzabili anche in internet attraverso uno specifico contenuto del sito, ma non attraverso la semplice adozione di un determinato nome di dominio.
6.3) Resta infine da chiarire che l’attività di c.detto cybersquatting –cioè la registrazione in proprio di domain names potenzialmente oggetto dell’altrui interesse, al solo fine di rivendita all’interessato- allo stato della attuale legislazione italiana, o costituisce condotta interferente con l’altrui privativa in materia di nomi o segni distintivi, ex l.m., ed allora è in detti ambiti che va sanzionata; o non interferisce con altrui segni proteggibili, ed allora deve considerarsi lecita, posto che:
-per un verso, essa non può -in sè- sanzionarsi ex art.2598 cc, non potendo già in astratto considerarsi in rapporto di concorrenza chi svolga esclusivamente l’attività (da considerarsi ovviamente imprenditoriale) di rivendita di nomi a dominio rispetto a chi eserciti altra attività, pur se potenzialmente incrementabile attraverso l’uso della rete informatica e, in particolare, di un sito caratterizzato da quel domain name oggetto dell’altrui registrazione;
-per altro verso, essa neppure può ricondursi ad un caso di ordinario illecito aquiliano, ex art.2043 cc, in quanto, nell’attuale assenza di norme di legge che ritengano in sè illecita detta condotta, tale altrui registrazione deve ritenersi consentita, a nulla rilevando il divieto a tal fine previsto nelle regole di naming, che non hanno attitudine a qualificarla quale illecito sul piano dell’ordinamento generale.
7) Fatte queste necessarie premesse, occorre partitamente occuparsi delle varie domande proposte in causa.
8) Azione di contraffazione e riconvenzionale di nullità del marchio.
La domanda riconvenzionale di nullità è stata espressamente proposta nei soli confronti del marchio “bancoposta”; ma anche l’azione di contraffazione ai sensi del R.D. n°929/42 (c.detta legge marchi, o l.m.) è in astratto concepibile soltanto rispetto a tale segno, che è l’unico per cui Poste Italiane spa ha richiesto la formale registrazione del marchio, essendo pacifico che i marchi di fatto –quali sarebbero, secondo prospettazione, “vaglia” e “raccomandata”- non godono della tutela speciale della l.m., ma soltanto di quella generale di cui all’art.2598 n°1 c.c.
In realtà, non risulta in causa che per tale segno sia stata rilasciata la registrazione richiesta con la domanda del 1998: non solo non è stata infatti offerta alcuna prova in proposito, ma le parti, fin nelle difese finali, hanno continuato a sviluppare le proprie contrapposte argomentazioni rispetto ad una fattispecie di marchio in corso di registrazione.
Stando così le cose, entrambe tali domande vanno dichiarate improcedibili.
Invero, con riferimento all’azione di contraffazione, se dal coacervo degli artt.56, 61 e 63 l.m. si comprende che, sul piano processuale, l’azione di contraffazione è proponibile dal titolare di marchio in corso di registrazione, è per altro verso evidente che, sul piano sostanziale, tale normativa conferisce il diritto di esclusiva tutelabile solo a seguito della registrazione, sia pure con effetto ex tunc dalla domanda (artt.2 e 4 l.m.). La registrazione, pertanto, deve considerarsi condizione dell’azione di contraffazione e, in quanto tale, deve sussistere al momento della decisione, a pena di improcedibilità della domanda. Né è possibile disporre la sospensione del presente processo, ex art.295 cpc, in attesa del rilascio della registrazione, poiché tale norma –sia nell’originaria formulazione, che a maggior ragione nell’attuale, introdotta dall’art.35 della legge n°353/90 a partire dal 1 gennaio 1993- consente la sospensione soltanto in caso di pregiudizialità derivante da giudizio (anche amministrativo), essendo invece escluso il ricorso a tale potere in rapporto alla pendenza di un procedimento amministrativo non giurisdizionale, qual è quello di rilascio della registrazione del marchio (giurisprudenza pacifica: vedi, ex multis, Cass., sez.lav., sent. n°5093 del 19 agosto 1986, n°8536 del 19 novembre 1987 e n°3278 del 20 aprile 1990; sez.I, sent. n°466 del 26 gennaio 1990; sez.II, sent. n°15115 del 22 novembre 2000).
Analogamente, è chiaro che l’azione di nullità, del pari proponibile contro un marchio in attesa di registrazione, stante il chiaro e generale disposto dell’art.56 l.m., è a sua volta condizionata nella procedibilità al sopravvenuto rilascio della registrazione medesima al momento della decisione.
9) Azione di concorrenza sleale
Tale domanda è stata proposta dall’attrice in relazione a tutti e tre i segni in questione, e sotto ogni profilo contemplato dall’art.2598 cc.
9.1) In diritto, occorre premettere che “in tema di concorrenza sleale, presupposto indefettibile della fattispecie di illecito prevista dall’art. 2598 c.c. è la sussistenza di una effettiva situazione concorrenziale tra soggetti economici, il cui obiettivo consiste nella conquista di una maggiore clientela a danno del concorrente. Ne consegue che la comunanza di clientela -data non già dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti delle due imprese, bensì dall’insieme dei consumatori che sentono il medesimo bisogno di mercato, e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare- è elemento costitutivo di detta fattispecie, la cui assenza impedisce ogni concorrenza……Peraltro, la sussistenza della predetta comunanza di clientela va verificato anche in una prospettiva potenziale, dovendosi, al riguardo, esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e, quindi, su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini o succedanei rispetto a quelli attualmente offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale” (giurisprudenza pacifica: così Cass., sez.I, sent. n°1617 del 14 febbraio 2000).
9.2) Ciò premesso, Poste Italiane e XX , anche se svolgono attività primarie del tutto divergenti, vanno considerati in rapporto di concorrenza rispetto allo specifico mercato della raccolta della pubblicità su internet.
Se, infatti, pare evidente che il XX ha registrato i nomi a dominio per cui è causa allo scopo principale di rivenderli a Poste Italiane (risulta in atti che egli ha infatti registrato vari domini oggetto di potenziale interesse di terzi, pubblicando sul suo sito www.clic.it una fantomatica “borsa top-domini” con i prezzi di rivendita -vedi doc.20 di parte attrice-, e quindi è agevole individuare nella rivendita dei siti il suo primario interesse commerciale), o quantomeno di negoziare con essa un rapporto di collaborazione informatica, muovendo dalla posizione di forza derivante dalla registrazione dei siti in questione (si veda la lettera 10 maggio 2000 inviata dal XX alle Poste Italiane e da questa prodotta quale doc.12 del fascicolo cautelare), tuttavia risulta che lo stesso ha fin dall’inizio indirizzato il sito “bancoposta.it” allo svolgimento di attività di ausilio e consulenza nell’utilizzo del servizio bancoposta, invitando gli utenti a richiedergli informazioni all’indirizzo e-mail info@bancoposta.it (vedi pagina dimostrativa, prodotta da entrambe le parti). Risultando inoltre che analoga operazione il XX ha svolto in relazione al sito bonifico.it (vedi doc.22 di parte attrice), è agevole ritenere che costui, tramontata l’ipotesi di accordi con le Poste ed in assenza della sua reazione giudiziaria, avrebbe sviluppato l’attività preannunciata e realizzato analoghe operazioni per gli altri siti vaglia.it e raccomandata.it, oggetto di sospensione cautelare nella fase pre-dimostrativa –in cui la pagina iniziale riporta solo l’indicazione “attivazione imminente”, unita al nome del suo titolare (v.doc. 9 e 10 di parte attrice).
Tanto basta per ritenere già realizzata la particolare specie di concorrenza di cui si è parlato in precedenza. Dovendo infatti, il rapporto di concorrenza valutarsi a livello potenziale, “in relazione ad una possibile estensione o espansione nel futuro dell’attività imprenditoriale, purché in termini di rilevante probabilità”, tenendo conto anche delle “attività preparatorie all’esercizio dell’impresa, quando si pongano in essere fatti diretti a dare inizio all’attività produttiva, costituenti manifestazione di attività imprenditoriale in fase organizzativa” (così Cass., sez.I, sent. n°10728 del 15 dicembre 1994), è evidente la ricorrenza di tale rapporto nella specie, stante il probabile futuro sviluppo dei siti in questione da parte del XX in termini di offerta di ausilio e consulenza in tema di servizi di bancoposta, vaglia e raccomandata, cui va assegnata una chiara attitudine all’intercettazione dell’utenza interessata a detti servizi e, quindi, di quel segmento del mercato intenzionato a pubblicizzare su internet i propri prodotti e servizi presso tale tipologia di utenza, evidentemente condivisa con Poste Italiane. Tali siti, in prospettiva, si rivolgono dunque allo stesso mercato pubblicitario interessato ai prodotti informatici dell’attrice e, quindi, il rapporto di concorrenza sussiste.
9.3) Occorre pertanto passare all’analisi delle singole fattispecie di concorrenza sleale denunciate, a partire da quella confusoria per interferenza fra segni distintivi, di cui all’art.2598 n°1 cc, che va riguardata non soltanto in rapporto a “vaglia” e raccomandata”, espressamente dedotti in causa quali marchi di fatto in preuso nazionale, ma anche in rapporto a “bancoposta”, per cui è stata invece formalmente chiesta tutela -anche ex art.2598 cc- quale marchio assimilato a quello registrato, sulla scorta di una prospettazione fattuale che invece (in attuazione del principio processuale secondo cui spetta al giudice il compito di qualificare correttamente la fattispecie sottoposta al suo esame) ne importa la riqualificazione giuridica negli identici termini di marchio non registrato in preuso nazionale.
A tal proposito, premesso che non è qui in discussione il fatto che Poste Italiane (e prima ancora i suoi danti causa) ha effettivamente preusato i tre segni denominativi suddetti a livello nazionale, occorre considerare che il marchio di fatto può ricevere la suddetta tutela -ove ricorrano gli ulteriori presupposti di legge e, segnatamente, il rischio confusorio- soltanto ove esso goda di una astratta attitudine alla registrazione e, quindi, possieda tutti i requisiti a tal fine richiesti dalla legge, primo fra tutti la capacità distintiva (si vedano, ex multis, Cass., sez.I, sentt. n°5462 del 20 ottobre 1982, n°3224 del 1 aprile 1994 e n°91 del 8 gennaio 1998): non a caso, infatti, l’art.2598 cc parla di segni “distintivi”, mentre gli artt.2569 e 2571 cc, così come l’art.9 l.m., parlano di “marchi non registrati”, con ciò chiaramente riferendosi a segni registrabili quali marchi.
Nell’indagine che qui occupa, occorre dunque verificare se i segni per cui si chiede tutela siano astrattamente registrabili quali marchi; il che significa stabilire se essi non ricadano nei divieti di legge e in particolare -per quello che qui interessa- nell’art.18 l.m., secondo cui “non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa…..b) i segni costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o servizi o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono…”.
9.3.1) Il segno denominativo “bancoposta” possiede tale astratta attitudine alla registrazione quale marchio.
In effetti, tale locuzione è stata creata dal legislatore (limitando la ricerca storica a partire dal secondo dopoguerra, essa si rinviene già nell’art.17 del DPR n°542 del 1953, e viene poi via via utilizzata in varie leggi) per definire l’insieme dei servizi di natura bancaria e parabancaria offerti dall’Amministrazione delle Poste e poi dai suoi successori –dapprima Ente Poste, ed ora Poste Italiane s.p.a. In particolare, l’art.100 del Codice Postale adottato col DPR n°156/73, intitolato “servizi di bancoposta” –che apre il libro terzo interamente dedicato alle regole di tali servizi– raggruppava sotto tale locuzione unitaria le attività di emissione e pagamento dei vaglia, riscossione dei crediti, conti correnti, libretti di risparmio e buoni postali fruttiferi, chiarendo che a detti servizi si applicavano le disposizioni dell’art.27 co.2°, destinate ai servizi accessori dell’Amministrazione Postale, ovvero ai servizi diversi da raccolta, trasporto e distribuzione di corrispondenza e pacchi. Tali servizi accessori di natura bancaria sono rimasti poi estranei all’applicazione del D. Lgs. n°261/99, che in attuazione della direttiva 97/67/CE e della legge delega n°448/98 ha definito il concetto di servizio postale universale (che comprende tutta l’attività di raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione di invii postali –cioè corrispondenza, libri, cataloghi, giornali, periodici e merci prive di valore commerciale- fino a 2 kg e pacchi fino a 20 kg, nonché i servizi relativi agli invii raccomandati od assicurati)-, introducendo tra l’altro i principi della concorrenza, diacronica in relazione al servizio postale universale (che resta affidato ad un solo fornitore per tutto il territorio nazionale –che, in sede di prima attuazione, è Poste Italiane spa, per non oltre 15 anni-, che però non sarà in futuro necessariamente quello attuale), e sincronica in relazione ai servizi non rientranti nel servizio universale –che possono essere offerti da chi riceva l’apposita autorizzazione generale del Ministero delle comunicazioni- ed ai singoli servizi del servizio universale non riservati al suo fornitore –che possono essere offerti anche da chi ottenga il rilascio di apposita licenza individuale.
Detti servizi, invece, in attuazione della medesima delega, sono stati nuovamente regolamentati con il D.P.R. n°144/01, ove risulta ancor meglio esplicitato che con la locuzione “bancoposta” si designa quell’insieme di attività (comprendente la raccolta di risparmio tra il pubblico come definita dall’art.11 co.1° del T.U. bancario, la raccolta del risparmio postale, i servizi a pagamento di cui all’art.1 co.2° lett. f) nn°4 e 5 del T.U. bancario, il servizio di intermediazione in cambi, la promozione ed il collocamento presso il pubblico di finanziamenti concessi da banche ed intermediari finanziari abilitati ed i servizi d’investimento ed accessori previsti dall’art.1 co.5° lett. b, c ed e e 1, co.6°, lett.a, b, d, e, f, e g del T.U. finanza) svolte esclusivamente da Poste Italiane spa, senza necessità di iscrizione in albi ed elenchi, rispetto alle quali Poste è equiparata alle banche italiane, anche ai fini dell’applicazione delle norme dei TT.UU. bancario e della finanza.
In definitiva, la locuzione “bancoposta” non costituisce denominazione generica di un servizio, ma rappresenta il nome specifico di quell’insieme di servizi di natura bancaria svolti dapprima dall’Amministrazione postale ed ora da Poste Italiane spa, del tutto estranei al processo di liberalizzazione che interessa i servizi postali primari.
Non v’è pertanto alcun conflitto con il divieto posto dall’art.18 l.m., che è volto ad impedire l’appropriazione individuale quale marchio della denominazione generica di un prodotto o di un servizio al chiaro scopo di permettere ad ogni concorrente di utilizzarla per definire quel prodotto e quel servizio, laddove nella specie, invece, la denominazione “bancoposta” individua (da sempre) un complesso di attività caratterizzate oggettivamente dalla natura bancaria e soggettivamente dal fatto di poter essere svolte esclusivamente (dall’Amministrazione postale ed ora) da Poste Italiane spa., ed è quindi per questa segno denominativo dotato di altissima capacità distintiva.
Precisato che nella fattispecie che qui occupa è superfluo qualificare tale segno come “forte” o “debole”, visto che il conflitto è in essere con un segno denominativo assolutamente identico, ovvero con il second level domain “bancoposta” (è pacifico, infatti, che anche i marchi deboli ricevono tutela contro l’usurpazione, ovvero contro la ripetizione pedissequa del segno), e chiarito che il preuso proprio non distrugge la novità del segno ai fini della sua registrazione quale marchio, come espressamente detto dall’art.17 1b ultima parte l.m., deve pertanto concludersi nel senso della astratta registrabilità quale marchio del segno denominativo “bancoposta” da parte dell’attrice e, quindi, della sua tutelabilità ex art.2598 n°1 prima parte cc quale marchio di fatto in preuso nazionale.
Tale tutela va in concreto effettivamente apprestata, poiché, per quanto detto al precedente punto 6.2.c), il rischio confusorio ulteriormente richiesto da tale norma si determina per effetto della mera esistenza dell’altrui sito identificato con il nome di dominio interferente con il segno da proteggere, in sè idoneo ad intercettare gli utenti interessati a tale servizio e quindi a sviare la pubblicità ad essi destinata.
9.3.2) La locuzione “raccomandata” non può invece ritenersi munita di astratta attitudine alla registrazione quale marchio.
Tale parola, infatti, che è polisenso, nel suo significato tecnico costituisce da sempre la denominazione generica di un prodotto postale –e per traslato del relativo servizio- costituito da corrispondenza che, dietro pagamento di oneri aggiuntivi, viene garantita forfettariamente dai rischi di smarrimento e per la quale il mittente riceve prova documentale della consegna all’ufficio postale e, a richiesta, dell’effettivo inoltro al destinatario.
Detto prodotto, o servizio, è stato con il D.Lgs n°261/99 –ove viene chiamato “invio raccomandato”- ricompreso nel servizio universale ma, nella parte non oggetto della riserva di cui all’art.4 co.1° e 5°, liberalizzato, nei limiti dell’art.5.
In definitiva, “raccomandata” costituisce la denominazione generica di un prodotto, e del relativo servizio, che può essere oggi in parte offerto al pubblico anche da soggetti diversi da Poste Italiane. La sua registrabilità quale marchio –e quindi la sua tutelabilità quale marchio di fatto- va pertanto esclusa in base al disposto dell’art.18 l.m., che come detto inibisce l’appropriazione individuale di tali denominazioni generiche, laddove esse siano patrimonio comune degli operatori commerciali in regime di concorrenza.
Né pare possibile assegnare comunque al marchio di fatto capacità distintiva –e, quindi, attitudine alla registrazione- in base al c.detto secondary meaning (come consentito dal chiaro disposto dell’art.19 l.m.), poiché il fatto –che si può dare per ammesso- che nell’opinione pubblica il termine “raccomandata” abbia nel tempo finito per identificare il prodotto ed il relativo servizio offerto dall’Amministrazione postale e dai suoi aventi causa, a cagione del regime di monopolio esistente, risulta ormai vanificato dalla liberalizzazione introdotta dalla legge, che ha determinato la perdita della capacità distintiva acquisita sul campo dal segno e la sua retrocessione alla primigenia natura di denominazione generica di un prodotto o servizio soggetto a concorrenza –in altre parole, all’acquisto di capacità distintiva per effetto del secondary meaning indotto dal legislatore monopolista, è seguita la perdita di tale nuova capacità per volgarizzazione determinata dal legislatore liberista.
Atteso ciò, l’attrice non può ricevere tutela invocando la locuzione “raccomandata” quale proprio segno distintivo.
9.3.3) La locuzione “vaglia” ancor meno può considerarsi segno distintivo tutelabile, perché esso costituisce la denominazione generica di ogni titolo di credito destinato a trasferire fondi da un luogo ad un altro, laddove i prodotti offerti da Poste Italiane ascrivibili a tale categoria vengono da sempre definiti con la locuzione composta “vaglia postali” -così era intitolato il capo I del libro Terzo del codice del 1973, tale era la dizione contenuta nel titolo dell’art.104 di tale codice, che li definiva, e tale è la locuzione ora utilizzata negli artt.5 e 6 del D.P.R. n°144/01-, in modo da contraddistinguerli dalle altre specie di vaglia –bancari (art.87 ss legge ass.) e cambiari (art.100 ss legge camb.).
In tal caso, dunque, ex art.18 l.m. la tutela va ancor più radicalmente esclusa, non essendo certo consentito a chi offra un prodotto di ottenere protezione sulla denominazione del genere cui esso appartiene quale specie.
9.4) Per quanto detto al precedente punto 6.2), è escluso che possano rinvenirsi, nella semplice adozione delle parole “raccomandata” e “vaglia” quali nomi di dominio, profili di concorrenza sleale diversi da quello testè vagliato, una volta negato qualsiasi diritto di privativa dell’attrice su tali locuzioni; e poiché i siti muniti di tali domain names non sono mai stati sviluppati dal XX, né è possibile ipotizzarne un probabile futuro sviluppo in termini confliggenti con le altre regole della corretta concorrenza, va esclusa, rispetto ad essi, ogni tutela richiesta da Poste Italiane spa ex artt.2598 cc.
10) azione ex art.2043 cc
L’attrice, infine, ha dedotto che l’altrui registrazione dei tre siti in questione sarebbe comunque ascrivibile ad ordinario illecito aquiliano, siccome effettuato in violazione di vari divieti normativi.
Orbene, premesso che tale domanda in relazione al sito bancoposta.it è da ritenersi assorbita dall’accoglimento della domanda ex art.2598 cc, rispetto alla quale non presenta alcun profilo di autonomia teleologica, in relazione ai siti raccomandata.it e vaglia.it, richiamato quanto detto al precedente punto 6.3) in ordine alla liceità dell’attività di cybersquatting in sé considerata, l’assunto non può essere affatto condiviso, in quanto:
-l’adozione di tali locuzioni quali domain names non può dirsi in conflitto con le normative in materia bancaria e di intermediazione finanziaria, che riservano a determinate categorie le attività in questione, certo non svolte dal XX. In particolare, tale adozione non confligge con il disposto dell’art.133 del T.U. bancario, poiché né “vaglia” –che è termine generico relativo a vari titoli di credito, non necessariamente bancari- né tantomeno “raccomandata” –che nulla ha a che fare con l’attività bancaria- possono considerarsi “locuzioni idonee a trarre in inganno sulla legittimazione allo svolgimento dell’attività bancaria”;
-come detto, il servizio degli invii raccomandati non è più riservato a Poste Italiane. In ogni caso, l’apertura del sito raccomandata.it da parte del XX non può dirsi necessariamente propedeutica allo svolgimento del relativo servizio;
-il generico richiamo alla legge sulla privacy risulta francamente incomprensibile;
-esclusa la valenza distintiva dei segni denominativi in questione, non v’è spazio per la fattispecie dell’art.473 c.p., né può rinvenirsi nell’adozione di essi quali domain names un uso di mezzi fraudolenti ex art.513 c.p.;
-anche il richiamo alle norme in materia di pubblicità ingannevole è fuori luogo, posto che i nomi di dominio non costituiscono messaggi pubblicitari, nel senso definito dall’art.2 del D. Lgs n°74/92;
-infine, nell’altrui appropriazione di tali nomi di dominio non è rinvenibile alcuna diffamazione in danno dell’attrice, né tantomeno attitudine a lederne nome, immagine o identità.
11) In definitiva, la domanda principale proposta dall’attrice va accolta soltanto in relazione al domain name “bancoposta.it”, individuandosi nella registrazione del relativo sito da parte del XX un caso di concorrenza sleale confusoria ex art.2598 n°1 prima parte c.c.
12) Pronunce conseguenti
a) Il rigetto di ogni domanda relativa ai siti “raccomandata.it” e “vaglia.it” determina l’immediata perdita d’efficacia del provvedimento cautelare ante causam ad essi riferito, che va qui dichiarato, ex art.669 novies co.3° c.p.c. Conseguentemente, la Registration Authority (ora chiamata “Registro del ccTLD it”, o semplicemente “Registro”) dovrà provvedere all’immediato ripristino dell’assegnazione al XX –come del resto previsto dalla regola di naming 12.1.
b) In relazione a detto rigetto, non è possibile accogliere la riconvenzionale risarcitoria avanzata dal XX -anche ex art.96 cpc-, posto che costui ne ha richiesto la liquidazione equitativa (e non anche la pronuncia generica) senza offrire alcun elemento su cui fondare la relativa condanna, come avrebbe dovuto (si veda, ex multis, la recente Cass., sez. II, sent. n°2874 del 26 febbraio 2003, secondo cui “il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa presuppone che la parte interessata fornisca non solo la prova dell’esistenza ontologica del danno e dell’impossibilità di provarlo nel suo preciso ammontare, ma anche gli elementi probatori ed i dati di fatto che ne consentano la determinazione”).
c) L’accoglimento della domanda ex art.2598 cc in relazione al sito bancoposta.it impone, in primo luogo, ex art.2599 c.c., di inibire a XX la continuazione dell’attività illecita. Gli va quindi vietato ogni ulteriore utilizzo della locuzione “bancoposta” per contraddistinguere proprie attività commerciali, ivi compreso l’uso di tale locuzione quale parte denominativa di siti internet.
d) In secondo luogo, quale opportuno provvedimento ex art.2599 cc, va disposta la revoca della registrazione del nome a dominio suddetto in capo al XX, mediante ordine al Registro di rimuovere dal Registro dei Nomi Assegnati (RNA) l’assegnazione del nome a dominio “bancoposta.it” in favore del XX.
e) Non può invece giudizialmente procedersi alla richiesta riassegnazione all’attrice di tale domain name, poiché una pronuncia del genere, escludendo ogni altro dal concorso nell’assegnazione, presupporrebbe l’affermazione in causa del diritto assoluto al segno distintivo, che è inibita dalla attuale mancanza della registrazione del marchio, e non può quindi rendersi quale statuizione conseguente a pronuncia resa ex art.2598 cc, che, a differenza di quelle adottabili ex l.m., non ha efficacia reale erga omnes, ma personale contro il concorrente sleale.
Ne consegue che tale nome a dominio dovrà riassegnarsi secondo le regole interne di naming (fermo il divieto del XX di concorrere a detta riassegnazione, per effetto della disposta inibitoria), che peraltro prevedono in tal caso una procedura di favore nei confronti di chi abbia ricevuto tutela in sede giudiziaria (in sintesi, il Registro invita entro dieci giorni dalla risoluzione della contestazione la parte vittoriosa ad iniziare la normale procedura per l’assegnazione, provvedendo a rendere disponibile il nome per libera assegnazione soltanto ove tale parte non inizi la procedura entro trenta giorni dall risoluzione: vedi regola 14.6).
f) Va però specificato che dette pronunce sono –al pari di ogni altra- provvisoriamente esecutive ex art.282 cpc, sicchè sia la revoca, che la conseguente procedura di riassegnazione, dovranno essere immediatamente attuate. Ciò, nonostante le regole di naming (14.4 lett.c) condizionino detta attuazione al passaggio in giudicato della pronuncia dell’autorità giudiziaria, non potendo certo un regolamento convenzionale derogare ai principi generali del processo e porsi quale regola cogente alternativa nei confronti dell’Autorità Giudiziaria.
g) In relazione alla domanda accolta, XX va poi come richiesto dall’attrice genericamente condannato al risarcimento dei danni nei confronti dell’attrice, con rinvio della liquidazione a separato giudizio.
Non v’è dubbio, infatti, che l’appropriazione –per quanto detto illecita- del domain name “bancoposta.it” da parte del XX ha finora impedito alle Poste Italiane di usufruire di un sito così denominato, che all’evidenza rappresenta il miglior veicolo informatico per la promozione dei servizi bancari dell’attrice, tanto per l’identità fra il second level domain ed il nome che raggruppa tali servizi, quanto per il TLD di più immediata riconoscibilità da parte dell’utenza italiana, cui essa principalmente si rivolge. Che il ritardo nell’utilizzo di tale sito abbia determinato nell’attrice una perdita di raccolta pubblicitaria deve pertanto considerarsi nozione assolutamente intuitiva; e tanto basta per la pronuncia qui richiesta, che richiede certezza soltanto sull’esistenza di un danno risarcibile, nella specie all’evidenza sussistente.
h) L’istanza di preventiva fissazione del risarcimento dovuto per future violazioni dell’inibitoria qui disposta e per ritardo nell’esecuzione della presente sentenza non può invece accogliersi in relazione all’inibitoria ed agli altri provvedimenti conseguenti all’affermata condotta di concorrenza sleale, poichè il collegio condivide il prevalente orientamento giurisprudenziale (v., fra le altre, Trib. Ancona, 12 aprile 1999; Trib. Milano, 21 novembre 1991 e 15 settembre 1988, Trib. Firenze, 11 dicembre 1990), secondo cui la norma speciale dell’art.66 l.m. è insuscettibile di applicazione estensiva, nè d’altro canto è dato rinvenire nel sistema civile una regola generale che preveda sanzioni monetarie per l’inosservanza di ordini giudiziali o per l’inadempimento di obblighi di fare, ovvero contempli forme generalizzate di anticipazione del risarcimento del danno.
i) E’ il caso, infine –nell’esercizio del potere discrezionale a tal fine assegnato al giudice tanto in punto an che in punto quomodo (vedi, ex multis, Cass., sez.I, sent. n°1982 del 11 febbraio 2003)- di accogliere anche l’istanza di pubblicazione avanzata dall’attrice ex art. 2600 c.c., da limitarsi peraltro ad un estratto del dispositivo della presente sentenza, a cura e spese del convenuto XX, con le modalità indicate in dispositivo.
13) Posizione di CNR e NA
a) Nei confronti del Consiglio Nazionale delle Ricerche e della Naming Authority Italiana, l’attrice ha in sede di precisazione delle conclusioni abbandonato la domanda risarcitoria fondata su un loro asserito concorso nell’illecito perpetrato da XX .
E’ il caso di precisare, peraltro, che tale domanda non avrebbe potuto comunque trovare accoglimento:
-nei confronti del CNR –quale gestore dell’attività di registrazione dei nomi a dominio- poiché (limitando l’esame alla fattispecie qui in considerazione) non è ipotizzabile a suo carico un dovere di diligenza esteso fino al controllo preventivo delle interferenze fra i domain names oggetto di registrazione e gli altrui segni proteggibili non ancora registrati quali marchi;
-nei confronti della Naming Authority –quale autore delle regole di assegnazione dei nomi a dominio- poiché del pari non può pretendersi che esso introduca delle regole di controllo preventivo delle interferenze suddette.
b) Risultano invece confermate le altre richieste ab initio avanzate nei loro confronti, rispetto alle quali va precisato che:
-le richieste sub 2, c ed e delle conclusioni riportate in epigrafe vanno disattese, in quanto volte ad ottenere pronunce (di accertamento e condanna) assolutamente superflue, perché in sostanza ripetitive delle statuizioni rese nella soluzione del conflitto con il XX, rispetto alle quali il Registro (e non anche la Naming Authority, che nulla c’entra) si pone quale destinatario esterno dell’esecuzione dei provvedimenti, tenuto alla loro osservanza senza alcuna necessità della sua partecipazione al giudizio;
-la richiesta sub d, volta ad ottenere la revoca d’ufficio dell’assegnazione dei siti previe varie indagini interne, è invece –prima ancora che proposta in carenza di interesse, visto che è stata contestualmente richiesta la revoca giudiziaria- chiaramente da rigettarsi per inammissibilità, perché il giudice è chiamato a risolvere i conflitti in base alle regole generali dell’ordinamento, ma non può certo riscrivere le regole interne di organizzazione degli enti convenuti –in ciò si risolve, in sostanza, la predetta richiesta-, che sono notoriamente a base esclusivamente privatistica..
14) Spese giudiziali
a) L’attrice va condannata all’integrale rimborso delle spese sopportate dal CNR e dalla Naming Authority per il presente giudizio –non essendosi dette parti costituite nella fase cautelare anteriore-, stante la sua completa soccombenza derivante da quanto detto al punto che precede;
b) nel rapporto fra attrice e XX , la valutazione quantitativa della reciproca soccombenza va risolta in condanna del XX al rimborso di un terzo delle spese sopportate da Poste Italiane per il giudizio principale e la fase cautelare ante causam (ivi compresa quella di reclamo), con compensazione delle spese residue, ivi comprese tutte quelle relative ai procedimenti incidentali in corso di causa.
Tali spese si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Modena, definitivamente pronunciando nel giudizio introdotto da Poste Italiane s.p.a. nei confronti di XX , della Naming Authority Italiana e del Consiglio Nazionale delle Ricerche con atto di citazione notificato in data 9-10 ottobre 2000, ogni altra istanza disattesa, così provvede:
1) DICHIARA IMPROCEDIBILI le contrapposte domande di contraffazione e nullità del marchio “bancoposta” rispettivamente proposte dall’attrice Poste Italiane spa e dal convenuto XX ;
2) RIGETTA ogni domanda proposta da Poste Italiane spa allo scopo di ottenere tutela in relazione alla registrazione, da parte di XX , dei domain names raccomandata.it e vaglia.it;
DICHIARA, conseguentemente, l’immediata perdita d’efficacia del provvedimento cautelare ante causam ad essi riferito, dando atto che pertanto il Registro del ccTLD it dovrà provvedere all’immediato ripristino dell’assegnazione di tali nomi a dominio in capo a XX ;
RIGETTA la domanda di risarcimento dei danni proposta da quest’ultimo;
3) in parziale accoglimento della domanda proposta da Poste Italiane spa allo scopo di ottenere tutela in relazione alla registrazione, da parte di XX , del domain name bancoposta.it
DICHIARA che detta registrazione costituisce atto di concorrenza sleale ex art.2598 n°1 c.c.;
INIBISCE, pertanto, a XX ogni ulteriore utilizzo della locuzione “bancoposta” per contraddistinguere proprie attività commerciali, ivi compreso l’uso di tale locuzione quale parte denominativa di siti internet;
REVOCA la registrazione del nome a dominio suddetto in capo al XX, mediante ordine al Registro di rimuovere dal Registro dei Nomi Assegnati (RNA) l’assegnazione del nome a dominio “bancoposta.it” in favore del XX;
DA’ ATTO che tale nome a dominio andrà dal Registro riassegnato secondo le regole interne di naming;
SPECIFICA che sia la revoca, che la conseguente procedura di riassegnazione, dovranno essere immediatamente attuate, essendo la presente pronuncia provvisoriamente esecutiva;
CONDANNA XX al risarcimento dei danni causati a Poste Italiane spa in dipendenza di tale condotta sleale, in misura da determinarsi in separato giudizio;
DISPONE la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza, per estratto contenente l’intestazione del dispositivo e le statuizioni di cui ai punti 1, 2, 3, per una volta, sulle pagine nazionali del quotidiano “Corriere della Sera” e sulle pagine della sezione relativa alla provincia di Modena del quotidiano “Il Resto del Carlino”, su due colonne, a cura e spese di XX , entro sessanta giorni dalla data di pubblicazione della presente sentenza;
4) dato atto che Poste Italiane spa ha abbandonato la domanda risarcitoria originariamente svolta nei confronti della Naming Authority Italiana e del Consiglio Nazionale delle Ricerche;
RIGETTA ogni ulteriore domanda proposta da Poste Italiane nei loro confronti;
5) CONDANNA Poste Italiane s.p.a. al rimborso delle spese sopportate dalla Naming Authority Italiana e dal Consiglio Nazionale delle Ricerche per il presente giudizio, che liquida:
-quanto alla Naming Authority Italiana in complessivi €.7.173,38 oltre spese generali ed accessori dovuti per legge, di cui €.410,00 per esborsi, €.1.763,38 per diritti ed €.5.000,00 per onorario;
-quanto al Consiglio Nazionale delle Ricerche in complessivi €.6.711,69 oltre spese prenotate a debito del Campione Civile, di cui €.2.011,69 per diritti ed €.4.700,00 per onorario;
6) CONDANNA XX al rimborso di un terzo delle spese sopportate da Poste Italiane s.p.a. per il giudizio principale ed il procedimento cautelare ante causam (ivi compresa la fase di reclamo), quota che liquida in complessivi €.8.272,39 oltre spese generali ed accessori dovuti per legge, di cui €.910,82 per esborsi, €.1.361,57 per diritti ed €.6.000,00 per onorario;
DICHIARA le spese residue del giudizio principale e tutte quelle relative ai procedimenti incidentali in corso di causa compensate fra dette parti.
Così deciso nella camera di consiglio del Tribunale di Modena il 23 giugno 2004
Depositata il 27.09.2004.
IL PRESIDENTE
-Guido Stanzani-
IL GIUDICE ESTENSORE
-Michele Cifarelli-
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