Tribunale di Firenze – Sezione staccata di Empoli
Ordinanza 23 novembre 2000
Bosch vs Nessus
Il Giudice
sciogliendo la riserva che precede
esaminati gli atti osserva:
la ricorrente chiede la tutela del proprio marchio blaupunkt registrato già nel 1987 evidenziando che nel gennaio 2000 aveva chiesto la registrazione del d.n.s. www.blaupunkt.it alla Ragistration Autority italiana che aveva rifiutato la registrazione essendo tale domain name già registrato dalla Nessos Italia s.r.l. .
A fondamento della richiesta sosteneva la tutelabilità del domain name ai sensi della normativa in materia di marchi e pertanto l’illegittimità della utilizzazione del marchio registrato da parte della Nessos al momento della registrazione del dominio. Affermava inoltre che la registrazione in questione costituiva atto di concorrenza sleale essendo volto ad ingannare i consumatori, avendo la società convenuta oggetto sociale almeno parzialmente coincidente con quello della ricorrente.
la convenuta si costituiva affermando che la Robert Bosh S p A. non era titolare del marchio blaupunkt, – che peraltro è parola generica priva di capacità individualizzante. Sosteneva inoltre di operare in un settore di attività totalmente diverso da quello della ricorrente e di avere intenzione di utilizzare il sito contraddistinto dal domani name oggetto di contesa come portale per il turismo tedesco in Toscana (essendo ormai la terminologia punto blu, in ogni lingua, sinonimo di punto informativo). Com’è noto la rete Internet per individuare un sito utilizza un codice numerico di identificazione detto IP (Internet Protocol) costituito da una combinazione di numeri (in totale 10), suddivisi da punti. Per facilitare l’individuazione del sito, ciascuno di tali indirizzi viene affiancato da un indirizzo (Domain Name System), rappresentato da una combinazione di lettere in grado di formare parole di senso compiuto, che costituisce l’elemento necessario e sufficiente al singolo utente per realizzare la connessione con quel particolare sito (provvedendo l’apposito software a convertire automaticamente l’indirizzo DNS nell’indirizzo IP, unico riconoscibile dalle macchine). Gli indirizzi DNS si compongono di due parti: una, posta alla destra del punto è il cosiddetto Top Level Domain (TLD), che è composto da due o tre lettere che identificano l’area tematica o geografica del sito (quale .com per le attività commerciali e .it per indicare siti italiani) senza però che l’utente abbia alcun obbligo di utilizzare il TLD della propria nazione di residenza ed essendo ben possibile scegliere di registrarsi presso autorità che gestiscono un TLD particolare (da notizie di cronaca per esempio risulta che un gran numero di televisioni hanno scelto di registrarsi presso l’autorità competente a Tuvalu, nazione che ha come TLD le lettere tv). Il Second Level Domain si trova, invece, sulla sinistra, ed è una espressione alfabetica liberamente scelta dall’utente (entro il limite tecnico rappresentato dal numero dei caratteri, che non deve essere superiore a 21).
Tale meccanismo è diventato uno standard generale, garantito da un sistema di registrazione dei nomi che, nato in America, si è poi articolato nel mondo attraverso la creazione di varie autorità di registrazione locali, che adottano procedure simili per l’assegnazione, definite da autonomi organismi collaterali. In Italia, il regolamento di registrazione è stabilito dalla Naming Authority italiana (Na), mentre la Registration Autorithy italiana (Ra) è l’organismo responsabile dell’assegnazione dei nomi -tutti aventi il TLD .it- e della tenuta dei relativi registri. Il principio cardine dell’assegnazione dei DNS è la regola del first came, first served , in forza del quale l’autorità assegna il nome al primo utente che ne fa richiesta, senza svolgere alcun preventivo controllo di interferenza con altrui diritti di privativa discendenti dalla legge. I nomi a dominio, inoltre, sono soltanto concesi in uso e rimangono di proprietà della RA. La Naming Auhtority in ordine ai domain name con LTD .it ha espressamente affermato che i nomi a dominio hanno la sola funzione di identificare univocamente gruppi di oggetti (servizi, macchine, caselle postali, etc …) presenti sulla rete. (art 3 del regolamento di assegnazione dei nomi da parte della Registration Autority). Secondo le regole di naming pertanto il nome a dominio rappresenta soltanto un indirizzo di rete e non implica di per sé riferimenti al marchio o ad altri diritti commerciali. Al momento attuale le regole di assegnazione dei nomi a dominio non sono in alcun modo disciplinate dalla legge.
La giurisprudenza che si è occupata della materia negli ultimi anni (così come la scarsa dottrina rinvenuta) non ha ancora raggiunto un orientamento concorde in ordine alla natura del domain name, presupposto fondamentale per individuare il tipo di tutela da adottare. Prevalentemente il domain name è stato parificato al marchio o quanto meno all’insegna ed è stata ritenuta applicabile la normativa di cui al R.D. 21 giugno 1942 n. 929 e la normativa codicistica in materia di concorrenza sleale. Tale parificazione non appare essere corretta e non può essere condivisa da parte di questo giudicante essendo lampante la differenza esistente tra il marchio (caratterizzato da vari tipi di segni grafici che possono formare infinite combinazioni), che tutela il prodotto di una impresa, ad il domain name che può essere formato soltanto da lettere o numeri e che costituisce esclusivamente un indirizzo telematico che consente di raggiungere il sito da qualsiasi parte del globo. In Internet infatti non esiste alcun confine territoriale e tutte le imprese e gli enti del mondo hanno interesse ad ottenere un domain name per potere essere raggiunte con la stessa facilita da ogni utente che sia fornito di telefono (fisso, cellulare o satellitare) e di personal computer. Il domain name pertanto non tutela in alcun modo il prodotto aziendale.
La assimilazione all’insegna non appare convincente in quanto l’insegna costituisce punto di riferimento dell’impresa esclusivamente in un ambito territoriale. Deve inoltre evidenziarsi che nel caso in oggetto il marchio registrato è un punto piego seguito dalla parola BLAUPUNKT sotto la quale figura la scritta Gruppo Bosh mentre il domain name registrato dalla convenuta blaupunkt.it in quanto l’unico punto di contatto è costituito dalla parola blaupunkt e non sussiste pertanto piena corrispondenza e possibilità di interferenza non essendo ipotizzabile la tutela solo di una parte del marchio.
Deve pertanto essere esclusa violazione della normativa in materia di marchi. Nel caso in questione non appare neppure possibile ricorrere alla normativa in materia di concorrenza sleale, che sarebbe ipotizzabile a prescindere dalla tutela del marchio, nel caso in cui nel sito della convenuta fossero contenute indicazioni effettivamente confusorie e tali da poter ingenerare nell’utente la falsa convinzione di essere entrato nel sito della ricorrente. Dal certificato della Camera di Commercio in atti risulta che la convenuta ha un oggetto sociale estremamente ampio e, non essendo stato ancora attivato il sito in questione non è in alcun modo provato che la società convenuta abbia posto in essere concorrenza sleale. Considerata la novità della questione trattata sussistono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese. P.Q.M. respinge il ricorso. dichiara compensate le spese di lite. Si comunichi. Empoli, 23 novembre 2000
Il Giudice
Dr.ssa Sabina Gallini
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