Televisione via P2P. La fortezza del diritto d’autore cade a pezzi

di Andrea Monti – PC Professionale n. 180

I due recenti casi di oscuramento di internet Tv ripropongono il tema della libera circolazione in rete delle opere coperte da copyright.

Sul finire dello scorso gennaio 2006 la Guardia di finanza di Milano ha eseguito un sequestro nei confronti di due siti internet: coolstreaming.it e calciolibero.com i cui gestori sono accusati di avere violato l’art. 171 comma 1 lettera a) bis della L.633/41, la famigerata “legge Urbani”. Da quanto è stato possibile ricostruire, l’accusa ai gestori dei siti sarebbe quella di aver immesso in una rete telematica mediante software di peer-to-peer materiale coperto da diritto d’autore. Nello specifico, si tratterebbe della ritrasmissione in diretta di partite di calcio che in Italia sarebbero messe a disposizione da un canale satellitare che ne detiene i diritti di sfruttamento economico e che, dunque, subirebbe un danno dalla libera accessibilità degli stessi contenuti via internet.

Questo caso giudiziario pone questioni più generali che da oltre dieci anni riemergono sistematicamente e che, altrettanto sistematicamente, vengono gestite in modo confuso e strumentale a livello normativo e giudiziario. Permane quindi la confusione su quale sia il limite della responsabilità del gestore di un sito internet (fino a che punto è lecito linkare contenuti presenti sulla rete?), sul coinvolgimento degli utenti (se trovo qualcosa in rete, posso automaticamente “farla mia”?) e sulla capacità degli inquirenti di inquadrare correttamente gli aspetti tecnologici delle indagini (tecnicamente, infatti, coolstreaming.it non diffonde trasmissioni, ma rende disponibile un software per il P2P e pubblica palinsesti televisivi perfettamente leciti).

Per inquadrare correttamente la situazione, bisogna innanzitutto premettere che l’attuale normativa sul diritto d’autore consente di “moltiplicare” le licenze su un’opera protetta (le riprese delle partite, in questo caso) in funzione delle piattaforme di distribuzione. Lo stesso evento sportivo, quindi, può essere dato in licenza a un soggetto per la trasmissione televisiva analogica, a un altro per quella digitale satellitare, a un altro ancora per la piattaforma DVB-H e ancora a un altro per la diffusione via internet e via discorrendo. Un ulteriore elemento della licenza è quello territoriale: ciascuno dei diritti di cui sopra può essere ceduto per un singolo Paese, per un gruppo di nazioni o per tutto il mondo.

Ogni licenziatario, dunque, compra, e può far valere, un diritto solo nei limiti decisi dal licenziante. Nel caso dell’evento sportivo la situazione è ulteriormente complicata dal fatto che le riprese, in certi casi, sono eseguite dalla “regia internazionale” e non dalla singola emittente televisiva che pertanto è titolare di un diritto “di secondo grado”. Ora, la domanda è: se accedo legittimamente a contenuti televisivi diffusi da emittenti straniere che hanno il diritto di trasmetterli su una specifica piattaforma, sto violando la legge? La risposta è, ovviamente, “no”. Sarebbe come processare qualcuno perché in Italia e con la propria antenna televisiva capta il segnale in chiaro della televisione svizzera o di Capodistria. Se invece l’emittente che ha i diritti per l’etere li ritrasmette via internet e senza diritto, sarebbe in violazione di legge, ma la responsabilità non si estende automaticamente agli utenti.

Per esemplificare: quando si guarda un programma televisivo si dà per scontato che la trasmissione sia autorizzata, ma questo non è necessariamente automatico e comunque lo spettatore non diventa – di per sé – complice nell’illecito. Nel caso della rete, la situazione è complicata dalla interposizione del gestore di un sito che può svolgere svariate funzioni: da quella di semplice guida ai programmi televisivi a promotore attivo dell’accesso a determinati contenuti. Da quanto è possibile capire senza avere letto gli atti di indagine, i siti “incriminati” erano appunto delle semplici directory che consentivano di raggiungere contenuti di varia natura (e non necessariamente regolati da licenze proprietarie); oltre a consentire il download di un client P2P, cosa di per se stessa lecita. Se a questo si aggiunge che non sarebbe certa la titolarità dell’emittente italiana sui diritti delle partite, dal punto di vista civilistico l’emittente potrebbe avere più di una difficoltà a farsi riconoscere come danneggiata.

Viceversa, in campo penale, il problema non si pone perché il reato contestato è perseguibile d’ufficio, cioè può essere denunciato da chiunque. E dunque poco importa se l’emittente in questione abbia o no subito un concreto pregiudizio perché comunque si è dovuto dare corso all’indagine penale. Certo, le vicende come quelle di cui si parla in questo articolo testimoniano ancora una volta che – quando c’è di mezzo la rete – per i poteri forti ogni occasione è buona per cercare di spegnerla invece di provare a usarla in modo da trarne profitto, fornendo ulteriori prodotti e servizi agli utenti. Chi ne giova?

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