L’uso delle forze armate per contenere la diffusione della pandemia confermato dal decreto legge 125/2020 ripropone le criticità regolamentari che rischiano di rendere inefficace l’apporto dei militari. L’intervento di Andrea Monti, professore incaricato di Diritto dell’Ordine e della Sicurezza Pubblica all’Università di Chieti-Pescara- originariamente pubblicato da Formiche.net
Il decreto legge 7 ottobre 2020, n. 125 ripropone acriticamente l’approccio alla gestione di ordine e sicurezza pubblica adottato nella prima fase della pandemia e perpetua tal quali i problemi già evidenziati in tempi non sospetti su Formiche.net a proposito del rapporto fra governo ed enti locali e il ricorso a una inutile “sicurezza muscolare” basata anche sul ricorso improprio alle forze armate.
FORZE ARMATE E CONTENIMENTO DELLA PANDEMIA
Come conferma la circolare del Ministero dell’Interno n. 15350/117(2)/Uff III-Prot.Civ, “proseguira? fino al prossimo 31 dicembre l’utilizzo, nell’ambito dell’operazione “Strade Sicure”, del contingente incrementale di 753 unita? di personale militare, collegato ai maggiori compiti inerenti al contenimento della diffusione del COVID-19”.
Ma la legge 125/08 (quella che istituì l’operazione “Strade sicure”) legittimò l’uso delle forze armate soltanto in funzione di prevenzione della criminalità in aree metropolitane o densamente popolate. Di conseguenza il loro impiego per contenere i contagi è incoerente con i compiti e i poteri attribuiti loro dall’articolo 7bis della legge 125/08 e pone un problema di legittimità dei provvedimenti sanzionatori conseguenti alle azioni dei militari.
LA MISSIONE “STRADE SICURE”
In sintesi, la legge 125/08 prevede innanzi tutto che i militari diversi dai Carabinieri hanno mere funzioni di agente di pubblica sicurezza. Questo significa che non possono svolgere attività di polizia giudiziaria come arresto, fermo e sequestro). Gli unici poteri attribuiti dalla legge (e non modificati dalla normativa successiva) sono la
identificazione e immediata perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto a norma dell’articolo 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152, anche al fine di prevenire o impedire comportamenti che possono mettere in pericolo l’incolumità di persone o la sicurezza dei luoghi vigilati, con esclusione delle funzioni di polizia giudiziaria.
Ma l’articolo 4 della legge 152/75 (fare attenzione all’anno di emanazione e al titolo, “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”) stabilisce che
in casi eccezionali di necessità e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all’identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili.
Già la legge 125/08 dunque contiene un problema di coordinamento normativo perché rientrando la perquisizione locale e personale fra gli atti di polizia giudiziaria, i militari che sono solo agenti di pubblica sicurezza non avrebbero il potere di procedere. A maggior ragione questo problema si pone in rapporto alle attività svolte relativamente al contenimento della pandemica, che sono palesemente estranee all’ambito applicativo della legge 152/75 e della legge 125/08.
ILLECITI AMMINISTRATIVI E AZIONI COERCITIVE
A questo va aggiunto che le violazioni delle norme anticontagio sono, essenzialmente, degli illeciti amministrativi. A parte il dubbio sul fatto che i militari possano contestarle direttamente, c’è un aspetto più sostanziale che riguarda i poteri derivanti dal tipo di sanzione e che non consentono alcuna azione coercitiva da parte degli accertatori.
Detta in altri termini: la violazione dell’obbligo di indossare la mascherina può essere sanzionata, ma l’operatore di polizia che contesta la violazione non può adottare mezzi di coercizione e nemmeno procedere all’arresto del soggetto. Inoltre, a partire dalla sentenza della Corte europea dei diritti umani emanata nel caso Engel i cui principi sono stati più di recente confermati dalla sentenza Grande Stevens le sanzioni amministrative non possono essere afflittive quanto una sanzione penale, altrimenti perdono la loro natura di sanzione “attenuata” e rientrano pienamente nell’ambito della “materia penale”. La conseguenza pratica è che in questo caso andrebbero osservate le garanzie previste per chi è accusato di un reato propriamente detto. Il che sarebbe ancora più incompatibile con l’uso e il ruolo delle forze armate.
CONCLUSIONI
La gestione della pandemia pone problemi di vigilanza sanitaria, di garanzia della pubblica sicurezza e di tutela dell’ordine pubblico, di repressione di illeciti amministrativi e reati. Sono tre ambiti evidentemente correlati, ma distinti per finalità, soggetti coinvolti e modalità di esercizio dei poteri previsti dalla legge.
In concreto, tuttavia, le norme emanate e le prassi che si sono radicate negli ultimi mesi non hanno tenuto conto della complessità del meccanismo che fa muovere la macchina della prevenzione e della repressione criminale. Il risultato è una condizione di fatto nella quale manca certezza delle regole e che consegna la gestione della sicurezza a scelte individuali piuttosto che a norme chiare e definite.
In sintesi, dunque, sembra proprio che il ricorso alle forze armate sia stato pensato per operare a brevissimo termine come forma di dissuasione e a prescindere dal fatto che eventuali sanzioni o comportamenti degli operanti vengano poi successivamente ritenuti illeciti dalle corti. Se così fosse saremmo di fronte, ancora una volta, al mutamento dello stato di emergenza in stato di eccezione.
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