Come ho scritto in questo post, una parte importante dell’allenamento nelle discipline di combattimento a contatto pieno sviluppa la capacità di reagire quando si viene colpiti sul serio.
Nell’ambito dello shock training ci si allena non solo a reagire a un attacco improvviso, ma anche a gestire gli effetti di un attacco andato a segno.C’è un momento, infatti, nel quale tutte le strategie, le tattiche e le abilità difensive non servono più. E’ quando il colpo arriva, nella forma di un pugno, una coltellata o un’ogiva di vario calibro, variamente accelerata da una certa quantità di polvere da sparo.
Con le differenze dovute alla gravità e alla localizzazione dell’impatto, le conseguenze sul bersaglio sono sostanzialmente le stesse: dolore (accecante), crollo della pressione, perdità di lucidità e coordinazione, ipossia, impossibilità (totale o parziale) di movimento.
Paura.
In questa condizione le facoltà razionali sono di poco aiuto e l’unica speranza di salvezza – se il colpo non è da knock-out – è avere automatizzato determinate risposte a un livello tale da farle scattare anche senza alcun controllo cosciente.
Non è detto che questo funzioni, ma è meglio di niente, soprattutto se il “niente” significa riportare danni gravissimi o letali.
Ricevere un “colpo” in un attacco informatico non ha conseguenze troppo diverse dall’essere colpiti fisicamente.
Se l’attaccante – sotto i vostri occhi – sta prendendo il controllo di sistemi critici o sta distruggendo informazioni, l’effetto fisiologico di questa condizione può essere quantomeno paralizzante. E non è differente dallo stato di confusione provocato dal rimbalzo del cervello all’interno della scatola cranica quando si viene colpiti con violenza.
Non è un’idea balzana, dunque, allenarsi contemporaneamente sottoponendosi a stress fisici e mentali, come fanno questi giocatori di scacchi che praticano il chess-boxing.
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