Computer Programming n.ro 47 del 01-10-96
di Andrea Monti
Tutti quelli che usano un computer avranno sentito parlare almeno una volta di shareware o di public domain… certo, esordire in questo modo su Computer Programming potrebbe sembrare quasi “offensivo” visto il target della rivista, ma la lettura di questo articolo potrebbe riservare qualche sorpresa anche all’utente più smaliziato.
I meccanismi sono universalmente noti: chi ha realizzato un programma ne concede l’utilizzo per un limitato periodo di tempo decorso il quale, se l’utente trova il prodotto…pardon l’opera d’ingegno di proprio gradimento è necessario pagare una certa somma per ottenere la licenza d’uso.
Questo, in sintesi, è lo schema di funzionamento del concetto di shareware che subisce tuttavia qualche variante nelle sue applicazioni concrete.
In qualche caso viene fornita a scopo valutativo una vecchia release del programma o una sua versione non completamente funzionante, in altri casi vengono inserite delle routines che rendono impossibile l’uso del software se non viene registrato entro un termine.
Le cose sono parzialmente diverse per il freeware o public domain. La differenza fondamentale è che mentre un programma shareware non è gratuitamente utilizzabile il freeware di regola sì (anche se in certi casi viene chiesto di contribuire a cause civili o associazioni benefiche).
Entrambe tuttavia sono modalità di esercizio del diritto d’autore e come tali tutelate dalla legge. La protezione giuridica è infatti la stessa, ed opera perfettamente in entrambi i casi.
All’autore di un programma per esempio, sia esso di pubblico dominio o shareware, spetta comunque il diritto di paternità sull’opera come anche quello di concedere all’utente la facoltà di compiere certe operazioni sull’architettura del programma.
Se quindi nel banner che normalmente lo accompagna non è specificato quali diritti sono attribuiti all’utente si deve ritenere che anche in questi casi, come nelle più tradizionali cessioni di licenza d’uso, all’utente finale spetti SOLAMENTE il diritto di utilizzare la copia di quel software.
Con una differenza non banale però e cioè che l’autore consente preventivamente all’utente di riprodurre un numero illimitato di copie a fini di distribuzione. L’autore di un’opera d’ingegno, nell’esercizio dei diritti che gli competono, può infatti scegliere le forme e le modalità di commercializzazione che ritiene più idonee.
Ne consegue che l’uso del metodo try ‘n’ buy non autorizza l’utente finale a ritenersi esente da qualsiasi obbligo in ordine al pagamento del dovuto, anzi al contrario, mantenere installato un programma sulla propria macchina per un tempo maggiore di quello concesso per la prova, integra a tutti gli effetti la violazione di una serie di norme della legge sul diritto d’autore e, che è peggio, di natura penale.
A questo proposito possono verificarsi una serie di cose. L’ipotesi più semplice è quella di un programma che, semplicemente, viene dotato di un contatore che ricorda all’utente il tempo trascorso dall’installazione e gli suggerisce di richiedere la licenza.
Un eventuale controllo dell’Autorità Giudiziaria che accertasse questo stato di fatto potrebbe far scattare le imputazioni ai sensi degli artt. 171-172 bis l.d.a..
Se tuttavia il programma in questione, e vengo alla situazione giuridicamente più articolata, ha dei sistemi di protezione, i rischi per l’utente aumentano sensibilmente.
Mi riferisco alla prassi molto diffusa di ricorrere a delle patch, reperibili un po’ dovunque, che eliminano gli “inconvenienti” dovuti alla mancata registrazione.
E’ vero che in molti casi si tratta di artifici praticamente non riconoscibili (penso alla sostituzione di un file .dll che contiene la protezione, con un altro dal nome identico ma dalla funzione profondamente “diversa”) o veramente banali, come spostare indietro la data dell’orologio interno, ma questo non cambia i termini della questione. A certe condizioni infatti potrebbe essere contestato, in concorso con le violazioni alla l.d.a., che già da sole arrivano fino a tre anni di reclusione, l’art.615 quinquies del codice penale.
Questo articolo prevede la reclusione fino a due anni e la multa fino a venti milioni di lire per chi diffonde un programma destinato, fra l’altro, ad alterare il funzionamento di un altro programma.
E’ pur vero che questa norma riguarda fondamentalmente i virus; ed è anche vero che in molti casi lo shareware non richiede certi “interventi di manutenzione” (a buon intenditor…) ma qualche volta accadono i fatti descritti e quindi è bene sapere come stanno le cose.
Fino ad ora, però, abbiamo preso in considerazione il fenomeno dal punto di vista dell’utente. Che dire invece del programmatore che intende distribuire il suo “prodotto” con questi sistemi?
Ovviamente, mutatis mutandis, anche per lui valgono le considerazioni precedenti, vediamo dunque in cosa consistono effettivamente.
Si è detto: lo sviluppatore non perde in alcun modo i propri diritti sulla sua opera, ma siccome alcuni di questi sono cedibili (tipicamente quelli di sfruttamento economico) ed altri possono essere esercitati dall’utente previa autorizzazione, è bene essere assolutamente chiari, inserendo nella schermata di apertura frasi tipo: “questo software viene concesso gratuitamente in licenza d’uso per una durata di …. giorni. Scaduto il termine l’utente deve disinstallarlo o richiedere la nuova licenza ai prezzi di seguito indicati. E’ espressamente esclusa dalla presente licenza gratuita la cessione all’utente di diritti diversi da quello di utilizzare il presente software e di ridistribuirlo SENZA CORRISPETTIVO a terzi. E’altresì espressamente esclusa l’autorizzazione dell’autore a compiere tutte le attività soggette alla stessa ai sensi della normativa vigente.”
Per quel che riguarda il freeware il tenore potrebbe essere il seguente: “questo software viene concesso in uso senza alcun corrispettivo ed è liberamente duplicabile e distribuibile purché gratuitamente, sono in ogni caso espressamente fatti salvi tutti gli altri diritti e le facoltà che spettano all’autore ai sensi della normativa vigente”.
A questo punto si potrebbe obiettare che in pratica tutto ciò non ha alcun senso. E’ statisticamente improbabile che qualcuno dagli Stati Uniti, per esempio, riesca a sapere che in uno sperduto paesino della Bassa c’è un tipo che usa PaintShop senza averlo registrato… che senso ha preoccuparsi?
Quasi a rispondere alla domanda, tutt’altro che astratta, alcune major hanno creato delle associazioni private anti-pirateria che però tutelano esclusivamente i propri interessi… e gli altri?.
Al di là della tutela contingente che le risorse economiche dei singoli consentono di realizzare gli aspetti più generali della questione sono in realtà diversi.
Sempre per rispondere alla domanda precedente infatti, va ribadito ancora una volta che shareware e freeware sono soltanto modalità di distribuzione di un programma che ha la stessa identica tutela giuridica di qualsiasi altro.
A scoraggiare dunque pratiche “disinvolte” dovrebbe bastare la constatazione che per l’Autorità Giudiziaria un programma detenuto illegalmente rimane tale a prescindere, per esempio, dalla nazionalità dell’autore.
Inoltre, sotto un altro profilo, non sarebbe comunque accettabile privare una persona della possibilità di proteggere i propri diritti, soprattutto nel caso tutt’altro che improbabile, di un indebito sfruttamento commerciale del programma da parte di terzi.
Si tratta certamente di deterrenti poco efficaci e di rimedi difficilmente esperibili, ma sono sicuramente meglio di niente.
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