Le nuove sanzioni contro la Russia avvicinano il traguardo dell’unità europea ma evidenziano i limiti intrinseci dei trattati UE che dovranno essere superati. Il nuovo pacchetto di sanzioni realizza, di fatto, un’estensione delle competenze della Ue e avvicina ancora il traguardo della reale autonomia politica comunitaria. L’analisi di Andrea Monti, professore incaricato di Digital Law nel Corso di laurea magistrale in Digital Marketing dell’università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato su Formiche.net
Il Regolamento 879/22 dispone il sesto pacchetto di sanzioni che gli Stati membri sono obbligati ad applicare nei confronti della Russia. Fra le varie misure adottate dal Consiglio, c’è quella che estende il blocco alla diffusione di informazioni da parte di ulteriori agenzie stampa russe (Rossiya RTR/RTR Planeta, Rossiya 24/Russia 24, TV Centre International) e aggiunge una procedura non giurisdizionale per la selezione dei destinatari della sanzione. Nello specifico, pur entrando in vigore immediatamente, l’efficacia del blocco è rinviata al 25 giugno 2022. Il regolamento, infatti, prevede che l’oscuramento delle fonti informative russe avvenga in modo non indiscriminato ma sulla base di una procedura di valutazione gestita dal Consiglio stesso.
Infine, il Regolamento impone agli Stati di adottare norme penali che comprendano anche la pena accessoria della confisca a danno del soggetto che ha violato gli obblighi di applicazione del misure sanzionatorie.
In arrivo un decreto-legge sanzioni?
Benché i regolamenti comunitari siano immediatamente applicabili nel diritto interno, in materia penale è ancora necessaria l’emanazione di una legge o di un atto avente forza di legge per rendere efficace il dictum comunitario. A stretto rigore non si tratta, dunque, di un “recepimento” o di una “attuazione”, ma al di là del nome che vogliamo attribuire alla rosa il dato di fatto è che le istituzioni italiane dovranno necessariamente legiferare sul punto.
Escluso il ricorso alla legge ordinaria (i cui tempi di approvazione sarebbero incompatibili con quelli dettati dal Regolamento) rimane l’opzione del decreto-legge. Anche in questo caso, tuttavia, il percorso è certamente impervio.
Un’ipotesi sul contenuto delle norme penali anti-elusione
Vista l’importanza dell’obiettivo che dovrebbero raggiungere — disincentivare l’aggiramento delle sanzioni da parte di cittadini e imprese — le norme dovrebbero essere inserite nell’ambito dei delitti contro la personalità dello Stato e in particolare “dalle parti” degli articoli 248 e seguenti del Codice penale (somministrazione al nemico di provvigioni, partecipazione a prestiti a favore del nemico, commercio con il nemico). Vista, tuttavia, l’assenza di uno stato di guerra formalmente dichiarato sarebbe necessario costruire delle norme applicabili anche in tempo di “pace”. Inoltre, essendo essenzialmente delitti che riguardano operatori commerciali e industriali, essi dovrebbero essere inclusi fra i “reati presupposto” che, ai sensi del decreto legislativo 231/01, un ente ha l’obbligo giuridico di prevenire.
I delitti la cui creazione è imposta dal sesto pacchetto sanzioni dovrebbero, poi, essere perseguibili d’ufficio. In questo modo basterebbe che l’autorità o la polizia giudiziaria abbiano contezza della commissione del fatto per far partire il procedimento penale.
Le pene edittali dovrebbero essere sufficientemente elevate da giustificare, insieme alla natura giuridica dei reati, il più ampio ricorso a strumenti investigativi come le intercettazioni, l’uso dei captatori informatici, la custodia cautelare in carcere il sequestro preventivo. A questo ultimo proposito, nel caso specifico delle violazioni degli obblighi di “oscuramento” delle agenzie di stampa russe imposti agli operatori di telecomunicazioni e all’emittenza radiotelevisiva, il sequestro tramite oscuramento dovrebbe essere consentito in via principale e non come eccezione al pubblico ministero con “convalida” del giudice per le indagini preliminari. Ancora, la norma dovrebbe prevedere — come richiesto dai regolamenti — la pena accessoria della revoca delle licenze di autorizzazione all’esercizio di reti e servizi di comunicazione elettronica.
Infine, per consentire la massima anticipazione dell’intervento giudiziario gli illeciti previsti dalla normativa comunitaria dovrebbero essere costruiti come “reati di pericolo presunto”. In questo tipo di reati, infatti, la violazione penale si perfezionerebbe senza bisogno di aspettare che la specifica sanzione sia effettivamente violata o aggirata.
Il delicato rapporto fra Stati membri e Ue su giustizia penale, difesa e sicurezza
Quale che sia la scelta tecnico-giuridica adottata dagli Stati membri — e dunque dall’Italia — per soddisfare le prescrizioni di questo Regolamento, si evidenziano ancora una volta i problemi irrisolti derivanti dall’incompiutezza del processo di integrazione comunitaria.
I contenuti del Regolamento 879/22 rinforzano l’autonomia dell’istituzione comunitaria rispetto agli Stati nazionali in materie delicate come difesa e sicurezza e giustizia penale. Tuttavia, evidenziano allo stesso tempo il raggiungimento di un limite giuridico che sarebbe difficile superare o continuare a lambire nella gestione del dossier russo-ucraino.
Elaborando ulteriormente le analisi già formulate a proposito del precedente Regolamento 320/22 che bloccava la diffusione delle notizie delle agenzie di stampa Sputnik e Russia Today, è possibile svolgere alcune considerazioni di sistema sul ruolo del Trattato Ue.
Con un esercizio di diplomazia (o meglio, acrobazia) giuridico-costituzionale, il Trattato ha reso meno certi i confini fra i singoli membri e la Ue non solo in materia di difesa e sicurezza, ma anche di normazione penale.
Sotto il primo profilo, da un lato rimane (apparentemente) intatto il principio che la difesa è un potere-dovere di uno Stato sovrano e dei cittadini. In concreto, tuttavia, l’articolo 42 del Trattato crea sottilmente un non sequitur fra la necessità di un approccio analogo a quello dell’articolo 5 Nato (e dunque applicato ai singoli membri), il riconoscimento del diritto dell’Unione ad avere una capacità operativa militare autonoma e addirittura l’esistenza di “confini comunitari” come se gli Stati Uniti d’Europa fossero già costituiti.
Un discorso analogo vale per la normazione penale che, come ha evidenziato la gestione del dossier ucraino, è uno strumento fondamentale per garantire l’efficacia delle misure sanzionatorie decise a Bruxelles.
Formalmente, il Trattato consente all’Unione di definire politiche di armonizzazione delle legislazioni penali nazionali e di imporre ai membri l’adozione di norme penali a tutela del cosiddetto “interesse comunitario”. Nello stesso tempo, come è stato osservato e non da oggi l’attività dell’Unione si traduce progressivamente “in obblighi comunitari di criminalizzazione e, per effetto del parametro interposto dell’art. 117 Cost., in obblighi costituzionali di tutela penale. Il rafforzamento degli strumenti di armonizzazione delle legislazioni penali nazionali non e? affatto casuale, ma rispecchia il progressivo rafforzamento della base democratica della legalita? dell’Unione europea che attraverso il potenziamento della procedura di codecisione, prima di Lisbona, e nella nuova procedura legislativa ordinaria, dopo Lisbona, riconosce al Parlamento europeo il ruolo effettivo di legislatore. Pur tuttavia, se si deve salutare favorevolmente a livello locale-nazionale una politica di dialogo ed “armonizzazione”, questa non potra? tradursi in una vera e propria “uniformazione” con il riconoscimento in capo alle istituzioni europee di una competenza penale diretta: pena la vanificazione dell’istanza garantista sostanziale-costituzionale sottesa al corollario della riserva di legge statale e la conseguente estromissione del vigile controllo della Corte costituzionale.”
Dunque, per tornare al punto rappresentato dalle sanzioni penali invocate dal Regolamento 879/22, ci si dovrebbe chiedere se il modo con il quale sono state emanate le sanzioni, i loro presupposti e la loro formulazione testuale abbiano superato il limite che distingue “armonizzazione” da “uniformazione”.
Conclusioni
Rispondere in un senso o nell’altro alle questioni evidenziate non è soltanto una questione accademica ma un elemento fondamentale per applicare in modo efficace gli obiettivi stabiliti dal Consiglio oppure, al contrario, vanificarli. L’adozione di sanzioni verso la Russia da parte della Ue invece che dei singoli Stati membri ha, infatti, un significato politico che va oltre l’efficacia specifica delle misure adottate.
Abbandonando le cautele che in altri tempi hanno caratterizzato le “sterzate” comunitarie verso una soggettività autonoma rispetto ai membri, con il dossier ucraino l’Unione ha generato un impulso vigoroso al processo di acquisizione di sovranità superiorem non recognoscens.
Questa spinta, tuttavia, rischia di essere affievolita dall’oggettiva disconnessione fra il potere normativo acquisito (anche) di fatto e l’inscindibile collegamento fra il sistema dei diritti e il gruppo sociale che li esprime.
In altri termini, senza la costruzione di una reale e condivisa cultura europea è e rimane estremamente difficile pensare a una potestà legislativa e politica della Ue che la legittimi al punto di consentire il superamento della sistema dei “controlimiti” dove le corti costituzionali giocano il ruolo di guardiano delle prerogative nazionali.
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