In uno dei primissimi articoli che ho scritto per Italian Tech raccontavo del nuovo Kalashinikov “social media-ready”, un fucile a pompa calibro 12/76 pensato per la “Generazione Z” e mi interrogavo sul cambio di percezione sull’uso delle armi, da strumento di offesa (anche difensiva) a “giocattolo” (ma non il “ferro”, protagonista del grande film di Nino Manfredi) amplificatore di psicopatologie che spingono un individuo a mandare in diretta la strage che sta commettendo. Poi, arriva la cronaca nera, con la sua tragica crudezza, a ricordare che i drammi della follia non hanno bisogno dell’internet per consumarsi e innescare i soliti, triti e ritriti dibattiti sulle “armi facili” e sulla necessità di eliminarle dalla circolazione, e che si concludono inevitabilmente con il classico “ci vogliono leggi ad hoc” e poi —come si dice in teatro quando finisce lo spettacolo— “Buio!” di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech
Secondo un adagio molto citato dello stratega prussiano von Moltke, “nessun piano resiste all’impatto con la battaglia”, dunque, per traslato, è vero che nessuna legge risolverà definitivamente il problema dell’abuso delle armi da fuoco legittimamente circolanti. Questo, però, non è un alibi per omettere l’imposizione di alcune regole minime e a costo zero che avrebbero senz’altro l’effetto di ridurre il rischio di fatti come quelli ai quali abbiamo appena assistito.
Oggi, per maneggiare le armi in poligono e richiedere la licenza di porto di fucile che consente la detenzione e il trasporto anche delle pistole è necessario ottenere il DIMA — diploma di maneggio delle armi. Il DIMA è rilasciato dall’Unione Italiana Tiro a Segno UITS) una federazione sportiva nazionale affiliata al CONI ma anche ente pubblico vigilato dal Ministero della difesa, organizzato in “sezioni” territoriali.
Per poter ottenere il DIMA è necessario produrre della certificazione medica che, però, non è basata su valutazioni cliniche approfondite e frequentare un corso breve (in alcuni casi di qualche ora di teoria) e un esame pratico che consiste nello sparare una cinquantina di colpi. Inoltre, conseguita l’abilitazione e ottenuta la licenza di porto di fucile, non è obbligatorio frequentare periodicamente il poligono. Nel frattempo, si possono detenere una decina di pistole, due carabine e un numero illimitato di fucili da caccia, oltre ad acquistare qualche chilo di polvere da sparo per farsi (moltissimi) proiettili in casa, acquistando liberamente bossoli, inneschi e ogive. In teoria l’ufficio armi delle questure dovrebbe controllare il rispetto di queste prescrizioni, ma —come sempre— il personale è poco, le funzioni da assolvere sono tantissime, e i controlli, inevitabilmente, sono meno di quelli che dovrebbero essere.
Il risultato pratico di questo assetto è che:
- salvi casi eclatanti, anche persone con disturbi o convinzioni politico-ideologico radicalizzate possono avere accesso alle armerie dei poligoni o procurarsi legittimamente un gran numero di armi;
- una volte ottenute le armi si può facilmente “scomparire dai radar”:
- comportamenti o attitudini inappropriate, che legittimerebbero l’attenzione delle questure, non vengono rilevati dai gestori dei poligoni, che peraltro non hanno nemmeno l’obbligo di segnalare anomalie;
- nell’anonimato consentito dalla legge, chi è riuscito ad ottenere una licenza di porto di fucile può dotarsi di un arsenale micidiale.
In attesa che si costruisca, finalmente, il database unico dei detentori di armi e che (sempre che gli zeloti della privacy lo consentano) lo si colleghi con quelli dei centri di igiene mentale e precedenti di polizia, ci sono delle cose che si possono fare da subito, a costo zero e con efficacia immediata:
- rendere più complesso il procedimento per acquisire il DIMA, prevedendo un corso più lungo e dettagliato, dando così la possibilità di verificare l’effettiva idoneità al maneggio delle armi dell’aspirante tiratore;
- stabilire per i presidenti di sezione dell’Unione Italiana Tiro a segno, per i direttori e gli istruttori di tiro l’obbligo di segnalare alla questura competente qualsiasi comportamento anomalo dei frequentatori (incluse guardie giurate e polizia municipale), anche sotto il profilo del mancato rispetto delle misure di sicurezza nel maneggio delle armi e nel comportamento sulla linea di tiro. Questo faciliterebbe l’esecuzione di controlli e il ritiro di licenze concesse a soggetti non più idonei;
- sanzionare penalmente i responsabili delle sezioni UITS per l’omessa segnalazione,
- prevedere delle regole precise sul controllo e custodia delle armi e delle munizioni messe a disposizione dei tiratori, per ridurre il rischio di sottrazione, come nel caso di Rieti, sanzionandone penalmente il mancato rispetto;
- stabilire che chi non pratica attività sportiva in una federazione nazionale riconosciuta dal CONI o associazioni di militari in congedo possa detenere una e una sola pistola, di calibro .22, con un solo caricatore limitato al massimo a dieci colpi e al massimo cinquanta proiettili:
- obbligare il detentore non sportivo di armi da fuoco a frequentare obbligatoriamente una sezione dell’Unione Italiana Tiro a Segno almeno due volte al mese, in modo da conservare la manualità sull’uso sicuro dell’arma e consentire il controllo su eventuali criticità comportamentali;
- distinguere la licenza di detenzione di una singola arma da quella per la pratica sportiva (che dovrebbe consentire l’uso della quantità di armi necessaria per competere nelle varie categorie, compresi i muletti);
- consentire l’acquisto di polvere da sparo ai soli agonisti e amatori che praticano attività riconosciute da una federazione nazionale riconosciuta dal CONI o associazioni di militari in congedo;
- condizionare la concessione della licenza di detenzione e trasporto per la pratica sportiva all’effettiva partecipazione ad allenamenti e competizioni organizzate, per agonisti e amatori, da federazioni sportive nazionali affiliate al CONI o associazioni di militari in congedo.
L’effetto concreto e immediato di queste misure sarebbe di:
- ridurre il numero e la letalità delle armi in circolazione:
- ridurre il rischio di consentire la detenzione e l’uso di armi a soggetti potenzialmente problematici;
- ridurre le conseguenze di raptus o azioni deliberate commesse con armi legittimamente detenute;
- rendere più efficienti e mirati i controlli di polizia.
Se tutto questo sembra esagerato, si dovrebbe considerare che i tiratori sportivi (quelli veri) sono già sottoposti a controlli molto stringenti rispetto a chi si procura un’arma e poi scompare.
Gli sportivi sono sottoposti a visita medica annuale e, durante gli allentamenti, controllati da istruttori e allenatori federali. A questo si aggiunga che i regolamenti delle federazioni affiliate al CONI vietano qualsiasi fantasia “paramilitare”, non consentono l’utilizzo di abbigliamento “tattico” e di bersagli antropomorfi. Dunque, un tiratore sportivo maneggia le armi in sicurezza, non ha “grilli” (o “grilletti”) per la testa, ed è sempre controllato a più livelli. Non si capisce perché il “casalingo” —magari preda dei propri démoni e dunque pericoloso “di default”— debba poter invece godere di un trattamento di straordinario vantaggio rispetto a chi pratica uno sport.
Alcune di queste proposte, in particolare quelle sull’introduzione dei reati di omessa segnalazione di “spostati” e di omessa custodia di armi e munizioni a carico dei responsabili dei poligoni, richiedono una legge o un decreto-legge che si potrebbe intitolare “Misure urgenti per la concessione di licenze di polizia per la detenzione di armi da fuoco”. Altre possono essere già rese operative da provvedimenti del Ministro dell’interno e addirittura dal Questore (il quale può imporre prescrizioni specifiche al rilascio della licenza di porto di fucile).
Non ci vuole molto; basta soltanto un po’ di “volontà politica” per contribuire a rendere l’Italia un luogo meno pericoloso bilanciando i diritti del cittadino con il dovere dello Stato di garantire la sicurezza pubblica e individuale.
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