Con un post hoc, ergo propter hoc da manuale (o, se preferite, con l’associazione immotivata di fatti tra loro non collegati da un legame di causa effetto), Repubblica.it accomuna la non-notizia della teorica vulnerabilità di alcuni sistemi informatici dell’Esercito italiano, con l’accesso abusivo subito dalla Rappresentanza diplomatica italiana presso la UE e quello, peraltro già noto ai mezzi di informazione, al Ministero degli esteri ai tempi di Gentiloni ministro. Di questa ultima vicenda aveva già parlato il Fatto Quotdiano lo scorso febbraio, e avevo commentato la incredibile difesa degli interessati (il ministro non usa l’email).
Capisco la necessità di riempire spazi, anche se digitali, il 14 di agosto. Ma come ho scritto rispondendo a un post di Umberto Rapetto su Linkedin e su Il Fatto Quotidiano , quella degli attacchi a strutture informatiche istituzionali è una non-notizia:
storicamente la pubblica amministrazione (Difesa, Interni e Giustizia inclusi) non hanno mai seriamente voluto prendere in considerazione le conseguenze dell’uso di software proprietari e (spesso) extracomunitari. Il caso dell’Esercito – che peraltro è puramente virtuale visto che non è successo nulla – si inserisce in questo disinteresse generale per l’informatica che, tuttora, è considerata dai powers-that-be come un fastidio piuttosto che come un settore critico. Proprio Il Fatto si era occupato di recente della cosa. Ma poi – come tutti – ha lasciato perdere il seguito, pardon, il “followup”.
Aggiungo pure, a sostegno della tesi secondo la quale quella di Repubblica.it è una non-notizia, che ai tempi di ZoneH (qualcuno se lo ricorda ancora?) i nomi di istituzioni pubbliche italiane erano spesso inclusi nella lista dei siti “bucati”.
Ma invece di documentarsi, Floriana Bulfon, la giornalista autrice del pezzo ha omesso di dare conto dei fatti in una prospettiva storica di maggiore ampiezza, con ciò indebolendo fortemente il valore informativo del suo pezzo.
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