l nuovo sistema operativo che Huawei ha recentemente annunciato rappresenta una svolta significativa negli equilibri della geopolitica tecnologica mondiale. L’analisi di Andrea Monti – professore incaricato di Digital Law, Università di Chieti-Pescara – Inizialmente pubblicato da Formiche.net
Con la messa in commercio dello smartphone P60, Huawei aveva sorpreso gli analisti finanziari e, soprattutto, geopolitici, dimostrando di avere accesso a processori sviluppati su chip da 7 nanometri, un risultato quasi inspiegabile alla luce dei divieti di esportazione verso la Cina delle tecnologie necessarie allo scopo, che dimostrava quanto si fosse ridotto il divario con le tecnologie occidentali. Il lancio recente del P70, successore del modello precedente, benché almeno in prima battuta, meno geopoliticamente impattante, pone in ogni caso degli interrogativi sui quali è opportuno riflettere.
La Cina è realmente in grado di produrre chip sottili quanto quelli occidentali?
In primo luogo, il nuovo smartphone dimostra gli ulteriori processi nell’ingegnerizzazione dei chip. Dopo quelli da 7 nanometri, infatti, sembra che le foundry cinesi abbiano trovato il modo di costruire chip ancora più sottili, riducendo ulteriormente il divario con le tecnologie occidentali. Se questo sia vero in termini assoluti, teorici e in termini di reale capacità produttiva lo si scoprirà solamente con il passare del tempo. Sta di fatto che, oggettivamente, i progressi in questo settore sono certamente rilevanti e imprevisti.
La separazione tecnologica dall’Occidente e la creazione di un ecosistema aperto alternativo
Il P70, sarà dotato di HarmonyOS Next, difficile non vedere l’ispirazione confuciana del nome, una nuova versione del sistema operativo integralmente sviluppato dal colosso cinese per rispondere all’impossibilità di utilizzare i servizi Google in ambiente Android causata dai divieti imposti dal governo Usa. Con la nuova versione di HarmonyOSNext Huawei si è definitivamente isolata, in termini tecnologici, da Android tanto che le sue applicazioni non funzionano sul sistema operativo cinese. In termini di penetrazione del mercato il successo di questa strategia dipenderà dalla quantità di applicazioni che saranno disponibili per gli utenti e dalla rapidità con le quali queste verranno sviluppate.
La notizia dell’entrata in produzione del nuovo sistema operativo non rileva soltanto per il mercato —pur di grande impatto economico— dei device mobili ma ha una portata molto più ampia dal momento che rappresenta l’avvio del tentativo cinese di costruire un intero ecosistema, fatto di processori, sistemi operativi, software e piattaforme di sviluppo, alternativo a quello Android.
L’attacco al duopolio Apple-Google e l’indipendenza tecnologica dei Paesi emergenti
Se questa strategia dovesse avere successo, creerebbe un tripolarismo nel mercato degli smartdevice oggi appannaggio del duopolio iOS (il sistema operativo di Apple) e Android. Inoltre, e qui sta il suo significato geopolitico, rappresenterebbe un alternativa concreta per tutti quei Paesi emergenti, aderenti al Brics, ma non solo, che vogliono intraprendere un percorso verso l’indipendenza tecnologica dall’Occidente, come lascia intendere, per esempio, la scelta dell’India di supportare l’iniziativa Risc V.
Infatti, mentre HarmonyOS Next è regolato da una licenza proprietaria (e sarà interessante studiare l’impatto sulla possibilità di compromettere la sicurezza dei terminali che lo usano), ne esiste una versione open source chiamata OpenHarmony, a disposizione di qualsiasi produttore di device (non solo smartphone e tablet, ma anche IoT, attrezzature mediche e via discorrendo) per creare un ecosistema alternativo ad Android.
La crescente possibilità di creare una filiera tecnologica in ambito mobile sganciata dalle tecnologie occidentali
La presenza di un ecosistema software alternativo non occidentale aumenta la forza negoziale di quei Paesi che, sino ad ora, non avevano alternative nelle scelte politiche relative alle reti di telecomunicazioni. Non va dimenticata, infatti, la rilevante capacità tecnologica di Huawei nel 5G e nella costruzione di apparati di rete. Una filiera di questo genere rappresenta, da un lato, un potente strumento di concorrenza nei confronti degli operatori occidentali ma, dall’altro, anche un altrettanto potente strumento geopolitico che consente di offrire ai Paesi emergenti una possibilità di costruire la propria infrastruttura digitale in modo indipendente (o quantomeno non dipendente dall’Occidente).
L’accesso alle tecnologie opensource del mondo *nix e l’osmosi tecnologica
La creazione di un ecosistema distinto e incompatibile da quello occidentale, tuttavia, non significa che Huawei abbia perso interesse per le applicazioni in ambito *nix e non solo. Il colosso cinese, infatti, mantiene una partecipazione attiva nel supporto del kernel di Linux e di altre piattaforme, come Kubernetes, che rendono possibile sviluppare applicazioni autoconsistenti (cioè non dipendenti dal sistema operativo) e che dunque possono girare in più ambienti senza bisogno di essere riscritte o adattate.
Conclusioni
La creazione di un sistema operativo per device mobili del tutto autonomo e indipendente da quelli dominanti è un ulteriore elemento che contribuisce alla creazione di una piattaforma telco autoconsistente che parte dallo sviluppo di semiconduttori e processori e dall’infrastruttura di trasporto (centrali, BTS, tecnologie radiomobili, apparati di rete), passa per i terminali (smartphone, IoT, sensoristica e wearable), e arriva a sistemi operativi e piattaforme software.
Vista nel suo complesso, dunque, la strategia tecnologica di Huawei è destinata, con buona probabilità, a giocare un ruolo primario nel riassetto in corso del nuovo ordine mondiale e a radicalizzare il bipolarismo tecnologico con gli Usa, tagliando sostanzialmente fuori l’Unione europea.
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