di Andrea Monti – PC Professionale n. 72
Terroristi, pedofili, bombe atomiche, ladri di carte di credito… con tutte queste brutte cose che circolano in rete non stupisce affatto che uno dei temi ricorrenti in proposito sia quello della ricerca del colpevole!
C’è chi – guardando gli Stati Uniti ma con una lente sfocata – vorrebbe i provider fuori da ogni obbligo o limitazione in una distorta percezione del concetto di libero mercato e viceversa chi molto addentro ai problemi della telematica sogna (e per fortuna si tratta solo di un sogno) un mondo nel quale i gestori dei sistemi telematici siano obbligati a controllare e a rispondere davanti ai giudici per il contenuto e il traffico delle loro macchine.
Al di là delle differenti posizioni più o meno ragionate o condivisibili, l’individuazione delle responsabilità per ciò che accade sulla rete e alla rete è sicuramente una questione molto delicata.
Di chi è la colpa se la mia posta viene persa o gettata ai quattro venti? Chi risponde se un sito contiene materiale illegale?
La risposta, come sempre non è una sola.
In realtà bisogna distinguere diversi livelli che corrispondono ai diversi tipi di rapporti che vengono in essere (fra Carrier e Service Provider, fra Service Provider e utente ecc.), ulteriormente differenziando le forme di responsabilità civili da quelle penali.
Nel primo caso (responsabilità civile) gli interlocutori sono fondamentalmente l’utente e il provider che regolano i reciproci rapporti con un contratto e in mancanza con il codice civile e le altre leggi; nel secondo caso, quando cioè vengono commessi dei reati, dall’altra parte c’è la Magistratura.
Il contratto fra provider e utente
Nella complessa ragnatela di sitauzioni giuridiche che caratterizza la rete una delle trame più interessanti e problematiche è di certo quella che riguarda il rapporto con l’utente finale.
E’ bene sgombrare il campo da un equivoco: contratto non equivale necessariamente a forma scritta. In altri termini il fatto di non avere firmato nulla non significa non avere obblighi e diritti, può sembrare una cosa intuitiva, ma evidentemente per qualche provider non è così almeno non ancora e infatti ci sono ancora situazioni nelle quali l’uso di Internet è regolato quasi “sulla parola”.
In poche parole, per che cosa l’utente paga?
Offrire l’accesso ad Internet vuole dire tutto e niente, infatti per esempio qualcuno potrebbe consentirmi la sola navigazione a carattere (con Lynx, per esempio), altri potrebbero darmi HTTP ma non IRC e solo certe newsgroup… le differenze sono consistenti, è evidente, eppure tutti vendono la stessa Internet!
Quelle che fino ad oggi erano solo clausole che alcuni – pochi – utilizzavano e altri – molti – no, mi riferisco all’adozione di misure di sicurezza e alla tutela della riservatezza dei dati personali dell’utente, dall’otto maggio saranno un obbligo di legge sanzionato penalmente e quindi contratto o non contratto si dovrà provvedere.
Argomenti “caldi” che invece sarebbe il caso di regolare per iscritto sono ad esempio: il rapporto modem/numero di utenti, causa molto spesso dell’impossibilità di utilizzare il proprio accesso perchè due volte su tre il modem risponde busy. Oppure le interruzioni per manutenzione che durano spesso a tempo indeterminato o ancora (per chi la vuole) la possibilità di controllare preventivamente i contenuti delle pagine e dei messaggi postati dagli utenti.
Solo un cenno alle clausole vessatorie, cioè quelle che – particolarmente onerose per una delle due parti – devono da questa essere approvate separatamente, specificamente e per iscritto. Si tratta di clausole, come quelle di rinnovo automatico del contratto o scelta del luogo (tecnicamente “Foro”) per le controversie e via discorrendo, molto frequenti anche negli abbonamenti Internet ma che spesso gli utenti trascurano completamente sostenendo degli esborsi che avrebbero tutto il diritto di evitare.
E’ evidente insomma che, anche solo in base a queste brevi considerazioni, di un contratto scritto non si possa proprio fare a meno… meditate gente, meditate!
L’altra faccia della medaglia
Come ho detto l’aspetto civilistico è solo uno dei profili rilevanti per quanto riguarda diritti e doveri sulla rete, essendo il penale quello complementare. Qui il discorso è radicalmente differente, non esistono assunzioni di responsabilità che tengano (frasi tipo “si assume ogni responsabilità per qualsiasi conseguenza civile e penale…) di fronte ad un principio fondamentale: la responsabilità penale è personale. Ciò vuol dire che non si può essere condannati per un fatto compiuto da terze persone.
L’applicazione pratica di questa affermazione consente di risolvere uno dei problemi più discussi degli ultimi tempi, quello della presenza di materiale illecito in rete.
In sintesi, come la Telecom non può essere accusata di associazione a delinquere perchè la criminalità organizzata utilizza la rete pubblica per i propri scopi illeciti, così al provider non può essere rimproverato ciò che in modo del tutto automatico (posta e newsgroup) transita o sulle proprie macchine. Allo stesso modo di nulla potrà essere accusato se un utente rende disponibile nella propria home-directory dei contenuti illegali in FTP o in DCC, dal momento che al provider è vietato ficcare il naso nei domicili informatici degli utenti. Leggermente diverso è il caso delle pagine web, perchè se gli utenti di un certo server sono tantissimi, non è pensabile che il Sysadmin o chi per lui passi ore ed ore a verificare ogni singola pagina; se tuttavia gli ospiti di un sito sono un numero ristretto è più difficile dimostrare di non essersi accorti di nulla.
Possibly Related Posts:
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?
- Perché Apple ha ritirato la causa contro la società israeliana dietro lo spyware Pegasus?
- Le accuse mosse a Pavel Durov mettono in discussione la permanenza in Europa di Big Tech
- Cosa significa l’arresto di Pavel Durov per social media e produttori di smart device
- Chi vince e chi perde nella vicenda di Julian Assange