Il decreto-legge 44/2021 stabilisce la non punibilità penale dei vaccinatori. Ma la norma è inapplicabile e non impedisce azioni giudiziarie contro il personale sanitario. Eppure, risolve un problema nel breve periodo di Andrea Monti – professore incaricato di Diritto dell’ordine e della sicurezza pubblica, Università di Chieti-Pescara. Originariamente pubblicato da Formiche.net
L’articolo 3 del decreto-legge 44/2021 stabilisce testualmente che
per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARSCoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione.
Si tratta dello “scudo penale” invocato da medici e personale sanitario per proteggersi dagli assalti giudiziari (più o meno in buona fede) di persone che hanno subito danni a causa della somministrazione del vaccino.
L’idea dello “scudo penale” venne inizialmente concepita nell’ambito del dossier Ilva come forma di garanzia per Arcelor Mittal che poneva, appunto, la protezione da rinvii a giudizio come condizione per far ripartire gli impianti. La norma risultante prevedeva la non responsabilità penale dei vertici aziendali che applicavano il piano ambientale nella gestione degli altoforni.
L’analogia concettuale con lo scudo penale Covid è evidente: così come i manager Ilva non sono responsabili penalmente se attuano il piano ambientale, non è penalmente responsabile (peraltro, solo per omicidio colposo e lesioni) chi somministra il vaccino “secondo le regole”.
Questo “scudo” tuttavia, come quello Ilva, è fatto di cartone e dunque cederà di fronte al primo colpo assestato da (parenti delle) vittime e pubblici ministeri almeno per tre motivi: nessuna legge può impedire a un magistrato di indagare sulle modalità concrete di uso del vaccino, nessuna legge può eliminare la responsabilità di un medico che sbaglia con colpa grave una diagnosi, nessuna legge può eliminare il diritto al risarcimento del danno per negligenza professionale.
Il decreto 44, dunque, rischia di creare più problemi di quanti ne risolve dal momento che incide direttamente sul modo in cui è stata progettata la campagna vaccinale. Da un lato, infatti, la necessità di vaccinare grandi quantità di individui nel minor tempo possibile non consente di personalizzare l’anamnesi che precede l’inoculazione. Dall’altro lato, tuttavia, proprio l’indicazione delle reazioni avverse sul “bugiardino” richiederebbe di accertare individualmente la presenza di fattori di rischio in ogni singolo paziente prima di procedere con il vaccino.
Infine, a prescindere dall’esecuzione di analisi individualizzate, se durante l’interazione con il paziente il medico si accorge di sintomi che sconsigliano la somministrazione non dovrebbe procedere, altrimenti si assume comunque la responsabilità (penale) della scelta. Anzi, se prima del decreto 44 la responsabilità per danni o morti imputate al vaccino doveva essere accertata caso per caso, ora l’accusa ha un parametro molto preciso: verificare se, effettivamente, la somministrazione è stata conforme alle indicazioni dell’Aifa sulla messa in commercio del farmaco. Il che, inoltre, crea il sottoproblema dell’effetto di studi più o meno scientifici o decisioni politiche assunte da altri Paesi che dovessero affermare la pericolosità del vaccino. In assenza di decisioni tempestive dell’Aifa i medici che continuano a vaccinare sarebbero “scudati”?
In un mondo perfetto e con risorse infinite, ogni paziente sarebbe sottoposto alle analisi del caso e adeguatamente controllato prima, durante e dopo la somministrazione del vaccino. Nella realtà, tuttavia, questo non è possibile e quindi — pragmaticamente — è impossibile evitare che accadano incidenti provocati non tanto dal vaccino ma dai limiti organizzativi della campagna vaccinale e del sistema sanitario nazionale.
Una norma che avesse voluto istituire uno scudo penale efficace, allora, avrebbe dovuto dire in modo chiaro che in nome della necessità di vaccinare la popolazione con la massima efficienza, errori e negligenze nella gestione dei vaccini non sono punibili penalmente e non danno diritto al risarcimento dei danni. È chiaro che in una democrazia occidentale una scelta del genere non sarebbe minimamente presa in considerazione perché si tradurrebbe in un inaccettabile darwinismo sociale e nell’affermazione del principio (estensibile in seguito a qualsiasi altro ambito) che, in nome di interessi superiori, è possibile garantire l’impunità anche per comportamenti non giustificabili.
Più che un debole scudo penale, allora, la presa d’atto dell’impossibilità di evitare danni derivanti da carenze organizzative e negligenze individuali avrebbe dovuto portare ad un’assunzione di responsabilità da parte dello Stato che si sarebbe dovuto fare carico dei risarcimenti, seguendo procedure amministrative (e non giudiziarie) estremamente rapide per accertare il diritto del danneggiato. Questa opzione avrebbe avuto il pregio di disinnescare una parte rilevante del contenzioso penale, consentire l’applicazione di attenuanti in caso di patteggiamento e di condanna dell’operatore sanitario e, soprattutto, di dare alle vittime (accertate) una ragione per quello che è accaduto loro.
Tecnicalità giuridiche a parte, tuttavia, la vicenda del decreto 44 evidenzia la necessità di avere obiettivi chiari nelle scelte di politica pubblica per la gestione del contenimento della pandemia e il fatto che questi obiettivi non ci sono – o non sono correttamente identificati.
Gli effetti dell’assenza di una strategia sono sotto gli occhi di tutti, e non riguardano soltanto gli esecutivi che si sono succeduti nell’ultimo anno. Tanto per citarne alcuni basta pensare all’autorità giudiziaria che, in nome del principio di precauzione, sequestra lotti di vaccino pur senza alcuna evidenza di possibili reati, alla spettacolarizzazione di ogni evento negativo senza alcuna prova che siano stati causati dal vaccino, all’ossessività delle campagne di comunicazione sui vaccini che inevitabilmente inducono a sospetto anche la più razionale delle persone.
Se ci fosse una e una sola scelta da compiere, allora, dovrebbe essere quella di raggiungere una reale coesione sinergica fra l’esecutivo, i corpi intermedi e il mondo dell’informazione per trasmettere un messaggio coerente e supportarlo con fatti indiscutibili. È vero, parafrasando il generale von Moltke, che nessun piano resiste all’impatto con la battaglia. Anzi, si potrebbe dire che quando si assumono decisioni politiche, la razionalità non è necessariamente un criterio da seguire perché le reazioni delle varie parti della società non seguono i canoni della logica. Dunque, si potrebbe concludere, avere emanato il decreto 44 non sarà stata un’operazione giuridicamente perfetta, ma nel breve periodo risolve un problema. Ma, ed è questo il punto, il problema è risolto inserendo nel sistema ulteriori livelli di complicazione e non semplificandolo.
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