Alcuni giornali si sono indignati sulla chiusura dell’account dell’ex presidente USA, quando invece dovrebbero riflettere sul loro ruolo e sui loro contenuti di Andrea Monti – Originariamente pubblicato da Infosec.News
Francamente non capisco tutto questo rumore scandalizzato sulla questione Twitter & Trump e, in generale, sul “potere” dei social network di zittire chicchessia.
A differenza dei giornali, Twitter, Facebook e Google sono aziende private che erogano servizi a fronte dell’accettazione di un contratto che attribuisce loro il potere di stipulare con chi vogliono, di fare quello che vogliono dei contenuti pubblicati e di chiudere gli account a loro piacimento. Non diversamente dai produttori di software proprietario che si riservano il diritto di ritirare – a loro discrezione – la licenza pagata, spesso molto cara.
Twitter & C. non fanno nulla di diverso di giornali e media “tradizionali”. Anzi, si potrebbe anche dire che questi ultimi fanno di peggio, in nome dell’adesione alla “linea editoriale”. Siamo testimoni tutti i giorni di faziosità multicolore, informazione superficiale e grossolana o “libere ispirazioni” a testate straniere passate come articoli originali. Così come, quotidianamente, assistiamo ai “soliti noti” che parlano di tutto e su tutto in qualsiasi trasmissione televisiva, anche oltre le proprie competenze settoriali.
Ma se le aziende private sono, appunto, aziende private e non hanno alcun dovere di garantire nulla a nessuno, se non quanto contrattualmente stabilito, giornali e media hanno – e rivendicano – una funzione pubblica, quella del dovere di informare. Dovrebbero quindi evitare di trasformare le pagine sulle quali scrivono o le frequenze che trasmettono i loro discorsi, in pulpiti dai quali veicolare opinioni (a volte poco informate) ma presentate come ragionamenti meditati.
Piuttosto, dunque, che invocare interventi pubblici “contro” le piattaforme tecnologiche, avrebbe più senso preoccuparsi del perché i contenuti che veicolano sono diventati più efficaci di quelli che “passano” sui media tradizionali.
Se è così, allora, prima di scandalizzarsi per la chiusura degli account dell’ex presidente USA Trump, dovremmo chiedere ai media tradizionali (e alle tante talking head che affollano schermi e monitor) di dichiarare apertamente la loro affiliazione cultural-politica e quale effettiva conoscenza hanno dell’argomento di cui parlano, in modo da poter valutare con maggiore consapevolezza le posizioni che sostengono. Il rischio, però, è di scoprire che non sono troppo diversi dai “popolani del web”, quelli che snobisticamente vengono tacciati di ignoranza e stupidità.
Non solo per questi ultimi, dunque, dovrebbe valere il detto ne supra crepidam, sutor e, alla prova dei fatti, meglio una chiusura di account per violazione di contratto che una censura preventiva fatta di decisioni a tavolino.
Almeno, nel primo caso, si può far causa a qualcuno, sperando che ci sia un giudice a Berlino.
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