In nome della nuova crociata contro i “pirati del copyright” la procura di Roma sequestra gutenberg.org, il sito del progetto culturale che digitalizza e mette online libri liberi dal diritto d’autore. Ma nè il GIP nè la Guardia di finanza se ne sono accorti. E’ un errore giustificabile? – di Andrea Monti – pubblicato originariamente su Infosec.News del 26 maggio 2020
Da qualche giorno, su ordine del GIP di Roma emesso in data 11 maggio 2020 e a seguito delle solerti attività tecniche del Nucleo speciale tutela privacy e frodi tecnologiche, il dominio gutenberg.org è stato “sequestrato” nell’ambito di una indagine conto la diffusione illecita di quotidiani e periodici.
Non ci sarebbe nulla di strano, se non il fatto che, in realtà, gutenberg.org è un progetto per la digitalizzazione e pubblicazione onlin gratuita di libri in pubblico dominio cioè sui quali non ci sono diritti di sfruttamento economico (in pratica, gli editori non hanno titolo per lucrare sul lavoro degli autori). E’ alquanto difficile “fare soldi” a danno degli editori se gli editori non hanno alcun diritto sui quei libri, ma tant’è: gli investigatori non se ne sono accorti e il giudice non ha controllato.
Dalla lettura del provvedimento, disponibile online a questo indirizzo , si capisce bene che il dominio del Progetto Gutenberg è finito dentro una pesca a strascico basata sulla rozza equivalenza fra la messa a disposizione online di libri e l’illegalità del comportamento perchè posto in essere da soggetti che non sono editori.
Molto ci sarebbe da dire sul modo in cui autorità e polizia giudiziaria continuano, a distanza di quasi trent’anni dai primi casi – a fare indagini mostrando una scarsa conoscenza di come funzionano i servizi internet.
Andrebbe ricordato, per esempio, che grazie all’equivalenza fra “sequestrare” e “impedire l’accesso” a una risorsa di rete, è oramai routine leggere provvedimenti che ordinano di “oscurare” nomi a dominio presenti e futuri trasformando gli internet provider in sceriffi della rete, che impongono il blocco dell’accesso a singole pagine (cosa che può fare solo il provider di hosting dei contenuti e non certo tutti gli altri) o che addirittura che dispongono – leggo testualmente – “la cancellazione dei contenuti, l’inibizione degli stessi presso tutti i gestori nazionali fornitori di servizi di connessione alla rete di comunicazione” senza nemmeno il provvedimento del giudice per le indagini preliminari.
Questi esempi, i molti altri che si potrebbero fare e il caso Gutenberg, sono la prova provata della superficiale sommarietà con la quale, ancora oggi, vengono trattate le questioni legate alla tutela dei diritti quando ci sono di mezzo le tecnologie dell’informazione. Delle due, infatti, l’una: o magistrati e polizia giudiziaria sanno esattamente quello che stanno facendo, e allora siamo di fronte a un’atteggiamento ingiustificabile che per non imbarcarsi nella burocrazia degli strumenti di cooperazione internazionale come i Mutual Legal Assistance Treaty o l’Ordine europeo di indagine penale, scelgono metodi alternativi: sicuramente più veloci, ma giuridicamente discutibili e tecnicamente inutili. Oppure, seconda ipotesi, colpevolmente, non hanno consapevolezza di quello che stanno facendo e, come nel caso di gutenberg.org, gettano via il bambino con l’acqua sporca, sicuri che tanto non risponderanno della loro non sufficiente preparazione o che, al massimo, dovranno “chiedere scusa”.
Ma in casi come quelli di gutenberg.org, infatti, non si può parlare di semplice errore – “pardon, in mezzo a quel marasma di siti ne abbiamo preso anche uno che non c’entrava niente” – perchè da un magistrato si ha il diritto di esigere rigore e competenza nelle decisioni che assume, e a soggetti che appartengono a un “nucleo speciale” che si occupa di “frodi tecnologiche” e che appartiene a un Corpo che svolge attività di polizia economica non è consentito commettere sviste così grossolane.
Il punto non è stigmatizzare il pur grave errore di questo o quel singolo magistrato o la scarsa attenzione di questa o quella struttura investigativa. Ma capire che è urgente quanto irrinunciabile che magistratura e forze di polizia imparino, una volta e per sempre, come funzionano i servizi di comunicazione elettronica e quali sono i soggetti ai quali devono indirizzare le loro richieste. Ed è importante che lo facciano spogliandosi della convinzione di avere – o essere – il potere: anche nell’attività giudiziaria vale il principio che per “deliberare” bisogna “conoscere” e, aggiungo, quello che secondo il quale per “conoscere” bisogna prima “capire”.
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