Per gentile concessione di Interlex
CORTE DI APPELLO di ROMA – SEZIONE FERIALE –
Ordinanza 16 agosto 2000
La Corte,
composta dai Magistrati:
SANTORO Dr. Giuseppe Presidente
BERNARDI Dr. Sergio Consigliere
LOREFICE Dr. Paolo Consigliere Est.
riunita in camera di consiglio, nella causa civile, iscritta ai nn. 3846/2000 + 3858/2000 di ruolo generale,
avente ad oggetto:
ricorso ex artt. 33 Legge n. 287/1990, e 700 c.p.c.;
pendente
TRA
ALBACOM S.p.A., in persona dei legale rappresentante p.t., con gli avvocati Rino Caiazzo e Angelo Anglani, elettivamente domiciliata c/o il loro studio in Roma, v. XX settembre n. 1;
E
INFOSTRADA S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., con l’avvocato prof. Mario Libertini, elettivamente domiciliata c/o il suo studio in Roma, via del Quirinale n. 26,
RICORRENTI
C/
TELECOM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, p.za di Spagna n. 15, c/o lo studio dell’avv.to Mario Siragusa, che la difende unitamente agli avvocati di cui alla procura a margine della memoria difensiva;
RESISTENTE
e con l’intervento di:
ALBACOM.AMPS Telecomunicazioni S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., con gli avvocati Rino Caiazzo e Angelo Anglani, elettivamente domiciliata c/o il loro studio in Roma, v. XX settembre n. 1;
ASSOCIAZIONE Italiana Internet Providers;
DATA SERVICE S.r.l.;
PRONET S.r.l.;
UNIDATA S.p.A.
tutte in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., con gli avvocati Andrea Valli e Bruno Macaluso, elettivamente domiciliate c/o il loro studio in Roma, via del Quirinale n. 26;
INTERVENUTE –
a scioglimento della riserva, di cui al verbale del 10 agosto 2000, osserva:
IN FATTO
Con separati ricorsi, notificati nel termine assegnato, e riuniti all’udienza 10 agosto 2000, ALBACOM S.p.A. e INFOSTRADA S.p.A. hanno invocato l’adozione di provvedimento di urgenza, ai sensi degli artt. 33 Legge n. 287/1990, e 700 c.p.c., onde eliminare la distorsione di mercato, conseguente alla posizione dominante di Telecom Italia S.p.A.
All’udienza suddetta si è costituita Telecom Italia S.p.A., la quale contesta quanto assunto delle società ricorrenti, e chiede il rigetto delle loro richieste.
Sono intervenute ALBACOM.AMPS Telecomunicazioni S.p.A., Associazione Italiana INTERNET PROVIDERS; DATA SERVICE S.r.l.; PRONET S.r.l.; UNIDATA S.p.A., le quali tutte chiedono analoga tutela in via d’urgenza.
Le ricorrenti lamentano che Telecom Italia, avvalendosi del vantaggio derivatole dalla precedente situazione di monopolio, dopo aver avviato sin dagli ultimi mesi del 1999 una campagna di commercializzazione dei propri servizi -denominati Ring (servizi di trasmissione dati e accesso ad internet ad alta velocità, destinati all’utenza professionale, mediante lo sfruttamento di tecnologie X-DSL e SDH)-, ha nei confronti delle società ricorrenti sistematicamente rifiutato e comunque ritardato – dal 29 dicembre 1999 al 20 giugno 2000 – la stipula di contratti di fornitura all’ingrosso dei servizi in questione; con la conseguenza che Telecom Italia, mentre ha concluso con l’utenza finale un numero crescente di contratti per la fornitura dei suddetti servizi Ring, ha così inciso negativamente sulla capacità competitiva delle ricorrenti medesime, di fatto impedendo loro l’accesso al mercato della fornitura dei servizi di trasmissione dati e di accesso ad internet ad alta velocità.
Specificano le ricorrenti che alle date 1 e 16 giugno 2000, e quindi dopo taluni mesi dalla pubblicazione della delibera del 16 marzo 2000, n. 2/00/CIR (pubblicata in G. U. 28/3/2000, n. 73), con cui l’autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha sancito l’obbligo di Telecom Italia di offrire agli operatori licenziatari un servizio di canale virtuale permanente … X-DSL … (etc.), la medesima ha formulato la prima ed unica propria offerta -denominata Ring- di canale virtuale permanente, di tipologia wholesale per servizi in tecnologia di accesso XDSL, in modo inadeguato e discriminatorio, per le ragioni analiticamente esposte alle pgg. 24 e ss. del ricorso Albacom, e 18 e ss. del ricorso Infostrada.
Telecom Italia, costituitasi all’udienza del 10 agosto u. s., contesta la fondatezza di quanto assunto nei ricorsi, di cui chiede dichiararsi la improcedibilità, o, in subordine, la sospensione, o provvedersi con il suo rigetto. La Corte ha riservato il provvedimento, concedendo termine per note.
IN DIRITTO
Preliminarmente, attesa l’eccezione mossa da Telecom Italia, che lamenta il difetto di giurisdizione di questa Corte quanto alla materia dedotta, è da esaminare la valenza del disposto di cui al com. Il dell’art. 33, della Legge n. 287/1990.
Con riguardo a detta norma in giurisprudenza si è affermato (si cfr. – tra le prime- Corte App. Roma, 20 agosto 1993; e più recente, Corte App. Catanzaro, 3 luglio 1998; Corte App. Genova, 14 ottobre 1996) che i provvedimenti di urgenza, ex art. 700 c.p.c., possono essere utilmente adottati solo in quanto strumentali alle pronunce di nullità e di risarcimento del danno, devolute alla cognizione dei giudice ordinario, non anche con riguardo a misure cautelari anticipatorie degli effetti dei provvedimenti di competenza di altra autorità, cui – invece – compete (pag. 2 delle note conclusive Telecom Italia, depositate il 14 agosto 2000) il potere/dovere di accertamento e repressione delle violazioni della regolamentazione di settore, suscettibili di produrre danno a carico di una pluralità di operatori.
Orbene, è pacifico che lo strumento cautelare ex art. 700 c.p.c. è, nella specie, finalizzato all’adozione di misure idonee a limitare il danno paventato, conseguente alla impossibilità di occupare in regime di libera concorrenza una parte di mercato, e questo a causa della condotta della resistente. Esigenza che, nella presente vicenda, si palesa tanto più fondata, in quanto il pregiudizio prospettato risulta afferente alla possibilità (prospettiva) di profitto di ciascuna delle imprese interessate, danno, come tale, di difficile liquidazione.
Ogni diversa interpretazione appare non conforme a legge, in quanto elusiva dei compiti assegnati alla tutela atipica, quale posta dall’art. 700 c.p.c. (norma che è sostanzialmente richiamata nella parte del II com., che qui interessa, dell’art. 33 della L. 10 ottobre 1990, n. 287).
E’ certo, poi, che i provvedimenti di urgenza hanno autonoma previsione e contenuto rispetto ad altri rimedi, eventualmente possibili.
Essi, infatti, risultano in ogni caso caratterizzati e giustificati proprio dalla loro funzione, strumentalmente rivolta non a disciplinare il mercato, ma ad evitare o limitare i pregiudizi in danno di una o più imprese. In aggiunta alle indicate considerazioni, la Corte reputa corretto concludere per l’autonomia delle procedure in questione, atteso anche -A)- che la –d ‘innanzi rilevata-funzione preventiva è finalizzata a predisporre quanto necessario ad evitare, o a limitare il danno, e a renderne possibile il risarcimento; mentre, diversamente i procedimenti di competenza di altre Autorità (AGcm e -AGcom) sono rivolti a rimuovere le varie condizioni distorsive, comunque giuridicamente rilevanti.
Oltre alla peculiarità, ora indicata, è da aggiungere -B)- il diverso ambito soggettivo della presente procedura, la quale riguarda la condotta di uno o più soggetti, con riferimento ai quali incidentalmente può venire in considerazione il mercato; le altre, invece, riguardano il mercato, considerato nel suo complesso.
Per le considerazioni, ora svolte, deve riconoscersi, che il ricorso di specie, come risulta dal suo stesso contenuto, è formulato con riguardo non al mercato in generale, ma al pregiudizio lamentato dai ricorrenti, e quindi con specifica considerazione della loro situazione, per la cui esatta determinazione può pure rendersi necessario avanti al G. O. l’esame, ma in via meramente incidentale, del mercato nel suo complesso.
Sotto il profilo considerato, risulta, dunque, come non possa essere fondatamente mossa da Telecom Italia l’eccezione in esame.
Detta società, a suo sostegno richiama i precedenti di cui a Cass. 17 gennaio 1986, n. 277 e 10 giugno 1998 n. 3359, i quali risultano: non verificabile il secondo, non risultando massimata la sentenza n. 3359, peraltro del dì 1/4/1998 e non del 10/5, ed impropriamente invocato il primo – anzitutto perché precedente alla Legge n. 287/1990, e, comunque, in quanto riguardante altra e specifica materia – il pubblico impiego, su cui l’avviso (di inammissibilità) risulta pacifico (Cass., S. U., 10 ottobre 1994, n. 8276; S. U., 5 ottobre 1994, n. 7262) -, mentre l’ammissibilità della tutela ex art. 700 c.p.c., con riguardo ad altra questione, coinvolgente sempre la P.A., è ad es. riconosciuta da Cass., S. U., 7 gennaio 1993, n. 66. Le considerazioni che precedono forniscono, dunque, argomento per escludere la fondatezza delle ragioni svolte da Telecom Italia, oltre che quanto alla pretesa inammissibilità del ricorso, anche con riguardo alla richiesta di sospensione del procedimento, giustificata dall’attesa della decisione da parte di altra Autorità, richiesta che va disattesa, per la sua incompatibilità con la natura e finalità della presente procedura.
Essendosi fatta questione circa la possibilità di intervento di terzi nel presente procedimento avente natura cautelare, la Corte, conformemente all’opinione espressa dalla prevalente dottrina – che ha indicato come ostative solo talune ragioni di mera opportunità -, oltreché dalla giurisprudenza (Cass., 13 marzo 1995, n. 2903; Pret. Roma, 13 aprile 1989, in Dir. Fall., 1991, 11, 203; Pret. Panna, 3 maggio 1995, in Foro Pad., 1994, 1, 11), reputa di poterne ritenere l’ammissibilità, con l’esclusione del caso in cui l’intervento può tradursi nell’appesantimento della procedura, incompatibile con la urgenza che le è propria.
Orbene, l’indicato rischio è sicuramente estraneo al caso di specie, ove gli intervenuti hanno formulato richieste analoghe a quelle avanzate dalle società ricorrenti. La inibitoria richiesta, in quanto relativa a modalità della contrattazione finisce, oltretutto, per avere una valenza anche per gli intervenuti, indipendentemente dalla loro effettiva partecipazione. Parimenti, neppure può valere l’ulteriore rilievo di Telecom Italia – che in qualche modo si appunta alla questione ora considerata – per cui il provvedimento di urgenza nella specie richiesto – inibitoria a commercializzare i servizi Ring – sarebbe improponibile, in ragione sia dei poteri istruttori del giudice ordinario, che dei contenuto del provvedimento invocato, – in quanto diretto ad assicurare non gli effetti della (futura) decisione sul merito, ma quelli derivanti da una (ipotetica) regolazione negoziale, come tale da mantenere affidata alla sola autonoma iniziativa delle parti.
Al riguardo, a fugare ogni possibile dubbio, vale il riferimento alla Legge 287/1990 (artt. 3 e 33), che espressamente ammette la giurisdizione del giudice ordinario nel caso in cui vi sia il pericolo di abuso di posizione dominante, e consente di riconoscere la possibilità di adozione di misure cautelari, al fine non già di consentire misure sostitutive del mancato accordo tra le parti, ma solo di rimuovere il pericolo di danno, o di aggravamento di quello già prodottosi.
D’altra parte, sempre con riguardo al contenuto del provvedimento cautelare in oggetto (su cui i rilievi di Telecom Italia a pag. 6 e 14 della nota conclusiva depositata il 14 agosto 2000), neppure è da trascurare che la dottrina elaborata sull’art. 700 c.p.c. ha, oramai da tempo, superato il principio di correlazione tra condanna ed esecuzione forzata, arrivando così ad affermare la possibilità di una funzione inibitoria atipica di ampia valenza.
Si è, in proposito, rilevato che nessuna delle disposizioni di legge (in specie gli artt. 474, n.I, c.p.c., 2818 e 2935 c. c.), normalmente poste a fondamento della correlazione tra sentenza di condanna ed esecuzione forzata, giustifica tale conclusione. Infatti, l’articolo 474 cit., ponendosi dall’angolo visuale della identificazione degli atti o dei documenti idonei a mettere in moto il processo di esecuzione forzata, appare inidoneo ad offrire alcun argomento in ordine al problema relativo alla questione se oggetto della sentenza di condanna possano essere anche gli obblighi non suscettibili di esecuzione forzata; l’articolo 2818 cit. a sua volta contiene una formulazione assai lata, la quale si presta a ricomprendere tutte le sentenze di condanna, sia all’adempimento di obblighi già violati suscettibili di esecuzione forzata, sia di obblighi non ancora violati ma suscettibili di esecuzione forzata in caso di violazione (cosiddetta condanna in futuro), sia le sentenze di condanna agli adempimenti di obblighi già violati ma non suscettibili di esecuzione forzata, il cui adempimento, oltre ad essere ancora possibile, continua ad interessare il titolare del diritto, sia pure le sentenze di condanna dirette, oltreché a reprimere la violazione già effettuata, anche ad impedire o prevenire violazioni future; da ultimo, l’articolo 2935 cit., il quale, producendo principalmente i propri effetti sul piano strettamente sostanziale, esclude che si possa distinguere tra condanna all’adempimento di obblighi suscettibili o meno di esecuzione forzata.
Appare fondato e, quindi, da condividere il convincimento, per cui le misure cautelari atipiche sono idonee a svolgere la loro funzione nel confronti di qualunque obbligo di fare, o di non fare, la cui preventiva previsione, pur nella specificità, non può che essere in qualche modo generica, così da riguardare attività nel loro complesso, onde evitare la, anche parziale, inidoneità del provvedimento, attraverso la mancata previsione di ipotesi (effettivamente, o solo potenzialmente) lesive.
In considerazione dell’indicato profilo, neppure è a sostenersi che il giudice della cautela, nella determinazione del contenuto delle emanande misure cautelari , sia tenuto a sostituirsi al giudice del merito; è, infatti, sufficiente che da parte sua ci sia l’identificazione degli effetti assicurativi, peraltro (spesso) realizzabili attraverso l’obbligo dell’intimato ad una condotta idonea ad attuare la salvaguardia del diritto dall’evento pregiudizievole dall’altra parte lamentato.
Parimenti è indubbio che nella tutela della libera concorrenza i provvedimenti che vengono nella considerazione del giudice della cautela, pur nella loro specificità, possano risultare caratterizzati dalla generalità e, in qualche misura, dalla genericità di contenuto, attesa sia la possibilità di reiterazione dei comportamenti cui si riferiscono, che la mutevolezza del tipo (o del contenuto) degli atti lesivi in concreto attuabili nello svolgimento di attività economiche; d’altra parte, è pure innegabile che, proprio nelle ipotesi in considerazione, massimo è l’allarme sociale, in conseguenza della indicata possibile molteplicità e mutevolezza degli atti in questione.
Senza soffermarsi sul distinguo tra misure anticipatorie (concordemente ammesse) e misure conservativi (oltre a quelle reintegrativi, di meno frequente rinvenimento, supponendo esse la verificazione del danno), ad avviso della Corte neppure è da trascurare che nella materia in esame, – in cui viene in questione la necessità di assicurare la libera e corretta concorrenza tra imprese -, una delle misure tipiche è la inibitoria di cui all’art. 2599 c.c., al cui contenuto possono essere ispirati anche i provvedimenti resi in sede di tutela atipica.
Anche per tale via risulta la ammissibilità e procedibilità delle deduzioni dalle società ricorrenti rappresentate con i ricorsi ex art. 700 cit., dalle medesime presentati.
L’art. 2599 ora richiamato, infatti, (mentre implicitamente lascia escludere -secondo l’interpretazione prevalente- la rilevanza sia del dolo, che della colpa dell’autore dell’atto, confermando così la sua ampia portata), esplicitamente suppone la continuazione del turbamento del gioco concorrenziale -continuazione (la cui sussistenza, alla stregua delle considerazioni di cui appresso, pare ricorrere nella specie), e, quindi, il mancato esaurimento di esso quale condizione necessaria e sufficiente per l’adozione del provvedimento cautelare di inibitoria- essendo, altrimenti, indubitabile che l’unico rimedio utile verrebbe ad essere dato dal calcolo dell’entità del danno economico prodotto e dal suo risarcimento.
Al fine di fugare i dubbi, conseguenti ai rilievi al riguardo formulati da Telecom Italia,- è anche da rilevare che è pacifico che il c.d. illecito concorrenziale,, in presenza dei presupposti di legge, legittima senz’altro l’esercizio dell’inibitoria in considerazione (Cass., Sez. Un., 23 novembre 1995, n. 12103).
Con riferimento a tale rimedio va, altresì, ribadito che il relativo provvedimento cautelare, pur non riguardando il mercato, ma l’attività di singoli operatori, non può di regola che essere generale, dovendo necessariamente avere riguardo non solo ai singoli atti, ma all’attività di un intero settore, per coglierne le modalità e quant’altro utile ai fini della decisione. Inoltre,- neppure è da trascurare che la rilevanza della condotta in questione è perfezionata dalla sussistenza della mera potenzialità del danno, sia specifico (discredito, confusione tra prodotti, etc.), che solo generico (danno patrimoniale o economico), per cui è in concreto sufficiente la astratta–idoneità (e quindi la sola potenzialità) di una condotta a produrre il danno (pericolo di danno), non occorrendo anche la effettiva verificazione di esso (danno attuale). Alla stregua delle considerazioni svolte, a giudizio della Corte risulta oltre l’ammissibilità, anche la proponibilità dei ricorsi in esame.
Venendo alla questione relativa alla loro fondatezza, vale ricordare che nella specie non si tratta di statuire sul diritto, previo il suo rigoroso accertamento, ma solo di fare in modo che -previa sommaria cognizione- quello, che potrà in seguito risultare essere il diritto, possa subito trovare tutela.
Ne segue, che in concreto è da verificare la sussistenza -del c.d. fumus, e cioè- del convincimento di verosimiglianza della situazione dedotta, oltreché del fondato timore – periculum in mora – che essa, nel tempo occorrente a farla valere in via ordinaria, possa rimanere pregiudicata, e rimanere così,- in tutto o in parte, insoddisfatta.
E’ certo, al riguardo, che gli argomenti svolti dalle società ricorrenti, suffragati dalla ampia documentazione prodotta, da cui risulta il contenuto dei vari atti compiuti nel seno di una più ampia trattativa, nonché l’andamento e l’esito di essa, consentono di ritenere sussistenti entrambi gli elementi ora indicati.
Quanto al primo (fumus), è da rilevare che, alla stregua delle risultanze in atti. sussiste la possibilità che le società ricorrenti, di fatto escluse dal mercato a seguito dei comportamenti della Telecom Italia, possano rimanere tali, attesa la valenza di essi (comportamenti), che fa ritenere (almeno in questa sede) il possibile impedimento all’ (utile) inserimento delle società ricorrenti nel mercato (in proposito si cfr. per tutti il doc. n. 19, produzione Albacom, e in specie la sua ultima pagina).
Nella elaborazione giurisprudenziale risulta consolidato il principio per cui la c.d. posizione dominante (su cui da ultimo Cass., 1 febbraio 1999, n. 827) concerne la situazione anche economica dell’impresa, in conseguenza della quale questa si trova nella possibilità di efficacemente ostacolare una concorrenza effettiva, così da poter mantenere comportamenti indipendenti rispetto ai concorrenti ed ai clienti, senza subire conseguenze pregiudizievoli; posizione i cui indicatori sono: a) l’essere l’impresa sottratta ad ogni concorrenza efficace (indicatore oggettivo); b) la diretta incidenza del suo comportamento sul mercato (indicatore soggettivo). Orbene, risulta che Telecom Italia, come lamentato dalle società ricorrenti (doc. 20 produzione Infostrada), ha inteso praticare a queste ultime lo stesso prezzo preteso dagli operatori finali al dettaglio.
Si deve, di conseguenza, fondatamente ritenere che Telecom Italia abbia di fatto impedito, e stia impedendo tuttora, a tali imprese l’utili7.72 ione del servizio Ring, e con esso l’accesso al mercato dei servizi di trasmissione dati con le tecnologie più recenti ed evolute, rimanendo così esclusa per le medesime, a seguito della impossibilità economica di duplicare gli impianti, la opportunità di offrire qualificazioni e specificazioni, a condizioni effettivamente remunerative dell’impegno economico, sostenuto per l’incremento di valore, apportato con le utilità aggiunte.
L’indicata preclusione, operando a monte, fa escludere che possa avere pregio quanto sostenuto da Telecom Italia, la quale evidenzia (pag. 25 delle note conclusive) come non possa trovare ingresso il tentativo delle ricorrenti di giocare sulla confusione tra offerta di capacità trasmissiva e offerta dei servizi, stante che nella fornitura dei servizi finali non possono essere prese in considerazione le sole componenti di costo relative alla trasmissione: la resistente, infatti, con tale assunto trascura di considerare che, come – esemplificativamente – è certo, l’acquirente all’ingrosso abbisogna dei margine che gli rende conveniente la vendita al dettaglio.
Va pure chiarito che l’offerta che le ricorrenti intendono operare, e che va loro resa economicamente possibile, risulta costituita non dal mero riaffitto di Ring – definito come modalità che facilita alle aziende l’utilizzo della banda larga -, ma dalla fornitura del servizio aggiunto, la cui diversa e specifica utilità è appunto da aggiungere al mero utilizzo di Ring.
Orbene, anche la constatata sostanziale diversità tra le due offerte consente di ritenere (il che nella presente procedura è certamente sufficiente) l’infondatezza dell’assunto di Telecom Italia (pag. 36 della memoria difensiva), che indica come invocata a sproposito dalle ricorrenti la tutela della libertà della concorrenza, la quale, per essa Telecom Italia, sarebbe estranea alla presente fattispecie, caratterizzata dalla semplice rivendita da parte di Infostrada e Albacom dei medesimi servizi. Il che non è per quanto sopra considerato. Ad avvalorare la sussistenza del fumus in questione, concorrono anche gli argomenti che si traggono dai seguenti ulteriori rilievi:
A) la stessa Telecom Italia -e non altri-, in data 2 agosto c.a., avanti all’Autorità Garante della Concorrenza e dei Mercato (pag. 5 dell’ali. 13 del fascicolo Telecom) ha esplicitamente ammesso, nella persona dell’ing. Papini, che,per fine novembre quando è atteso che l’AGCom si esprima in merito all’offerta originaria, sarà necessario modificare alcuni punti delle trattative; ed ancora, che (pag. 6 del doc. ora cit.), a seguito di talune perplessità manifestate dall’avv. De Sanctis per Telecom Italia, la d.ssa Amendola per l’AGCom, alla stregua delle risultanze in suo possesso ha ritenuto di ricordare a Telecom Italia il principio generale antitrust in base al quale un soggetto in posizione dominante, nel momento in cui offre commercialmente un servizio su un mercato liberalizzato sfruttando una risorsa essenziale detenuta in monopolio è tenuto a fornire anche ai concorrenti l’accesso non discriminatorio a tale risorsa in modo da consentire la concorrenza sul mercato a valle;
B) a fronte della (ampia) domanda formulata dalla d.ssa Amendola, in relazione alle varie offerte Telecom Italia (pag. 7 del doc. di cui sopra), l’ing. Papini ha riferito l’assenza di discriminazioni rispetto alle altre offerte, e non anche alla modalità wholesale dell’offerta Ring; avendo il dr. Calabrò (pag. 8 doc. cit.), per l’AGCom, dato termine – scaduto alla data di comparizione delle parti avanti a questa Corte- a Telecom Italia per la produzione di documenti vari (lett. a – f), tutti pertinenti alla presente questione, Telecom Italia bene avrebbe potuto provvedere alle medesime produzioni avanti a questa Corte (oltretutto, essendo pacifica la libertà di forme nella cognizione sommaria che caratterizza la presente procedura, sia quanto alla produzione delle prove, che quanto alla formazione del convincimento del giudicante), così da fondare su elementi oggettivi, quanto, invece, affidato a considerazioni, rimaste prive di riscontro e, quindi, di valore.
Risulta, d’altra parte (doc. 10, produzione Infostrada), che Telecom Italia, già da tempo si era impegnata a negoziare modalità wholesale dell’offerta Ring, ma che di fatto non erano seguite offerte concrete.
Da tutte le risultanze di causa, come dalle indicate considerazioni è dato trarre anche il convincimento per cui l’impedimento dei ricorrenti, ad inserirsi nel mercato, determini per loro l’impossibilità di liberamente offrire il proprio know how, afferente la novità dei beni e/o servizi resi, la loro diversa qualità, affidabilità, duttilità, economicità, etc., e quindi, di poter formare, o mantenere il proprio avviamento, con grave e definitivo pregiudizio, destinato ad ulteriormente aggravarsi (periculum in mora) col permanere della rilevata situazione.
A conferma della sussistenza, nella specie, di tale rischio, v’è da considerare che l’offerta di Telecom Italia agli operatori, per così dire all’ingrosso, del servizio Ring risulta formulata con lo sconto massimo del 3% (doc. 20 produzione Infostrada) del prezzo al dettaglio. Orbene, la esiguità del margine esclude che possa affannarsi (come pretende Telecom Italia, alla pag. 9 della più volte cit. nota conclusiva, secondo cui le ricorrenti lamenterebbero non un danno esiziale ed irreversibile, ma solo la perdita di un’opportunità per concorrere m un segmento particolarmente lucrativo del mercato) che detta offerta non possa determinare il rischio di esclusione dal mercato di detti operatori; invero, indipendentemente dai livelli di efficienza dai medesimi raggiunti, la sua inadeguatezza consente di poter escludere in loro favore un margine minimo di profitto, capace di assicurare loro una qualche possibilità di stabile inserimento nel mercato (al riguardo sono da tener in conto le risultanze di cui al doc. 21, prodotto da Infostrada). In dottrina, come in giurisprudenza è pacifico che la possibilità di non inserimento o di uscita dal mercato di una impresa costituisce di per sé danno, che, oltretutto, prestandosi con difficoltà alla liquidazione di adeguato risarcimento, va, come tale, possibilmente evitato, quanto meno nell’aggravamento, giusta la finzione dei provvedimento invocato.
E’ incontrovertibile, dunque, nella specie, la sussistenza, oltreché degli altri presupposti, anche del periculum in mora.
Da ultimo, la Corte, -mentre tralascia l’analitica considerazione degli argomenti tecnici, svolti dalle parti in causa con riferimento (si vedano ad es. le pagg. 16 e ss. delle note autorizzate, depositate da Infostrada il 14 agosto 2000) alle più avanzate soluzioni e applicazioni tecniche, adottate nell’apprestamento e nell’offerta del servizio in oggetto-, rileva che, proprio per la complessità delle dette applicazioni in materia, come per il loro continuo, quanto veloce affinamento tecnologico, va ritenuta la particolare delicatezza dei settore, che come tale può prestarsi ad abusi.
Le considerazioni svolte permettono di ritenere, fondatamente, la sussistenza nella presente fattispecie di tutti i presupposti, richiesti dalla legge (fumus e periculum in mora).
La Corte ritiene, pertanto, che, in via cautelare, siano da inibire a Telecom Italia S.p.A. la promozione, e/o l’offerta, e/o la conclusione in via diretta, o a mezzo rappresentanti, o per il tramite di soggetti comunque collegati, dei contratti, anche preliminari, aventi qualunque causa e con oggetto i servizi cosiddetti Ring, o equivalenti.
Il presente provvedimento cautelare e, m quanto tale, funzionalmente collegato alla successiva fase di merito.
Esso, perciò, ha efficacia come per legge (artt. 669 “novies “,.e 669 “decies ” cod. proc. civ., per cui risultano normativamente superate le perplessità di Telecom Italia, e di cui a pag. 6 delle note conclusive depositate il 14 agosto 2000), senza che la stessa possa essere collegata, o, comunque, fatta dipendere (come, invece, espressamente indicato da Infostrada -pag. 44 delle note depositate il 14 agosto 2000-) dalla adozione di provvedimenti in procedimenti pendenti avanti ad altra Autorità.
Quanto, infine, alla richiesta delle ricorrenti di pubblicazione della presente ordinanza, la stessa non va accolta. Detta pubblicazione, infatti, si palesa inutile, nella specie, in ragione sia delle peculiarità del settore interessato, che della sufficienza del provvedimento adottato, trattandosi di inibire comportamenti (che possono essere) discriminatori, a nulla occorrendo -specie in sede di delibazione sommaria- di informare il mercato.
Non è dato provvedere quanto alle spese giudiziali anticipate, in relazione alla natura del presente procedimento; mentre va dato ai ricorrenti temine perentorio di gg. 20 (venti) per l’inizio dei giudizio di merito.
P.Q.M.
La Corte, a scioglimento della riserva di cui al verbale del 10 c. m., relativa ai ricorsi proposti da ALBACOM S.p.A., in persona del lega] rappresentante p.t., e da INFOSTRADA S.p.A., in persona dei legali rappresentante p.t., contro TELECOM ITALIA S.p.A., in persona di legale rappresentante p.t., con l’intervento delle società di cui in epigrafi così provvede:
in accoglimento dei ricorsi, fa divieto a TELECOM ITALIA S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t., di promuovere, e/o offrire, e/o concludere direttamente, o per mezzo di rappresentanti, o di soggetti in qualunque modo collegati, contratti, anche preliminari, aventi qualunque causa, e con oggetto servizi Ring, o equivalenti, comunque nominati
Fissa per i ricorrenti il termine perentorio di gg. 20 (venti) per l’inizio del giudizio di merito
Si comunichi
Così deciso in Roma, il 16 agosto 2000.
IL PRESIDENTE
(Dr. Giuseppe SANTORO)
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