Linux&C n. 56 – di Andrea Monti
Questo articolo analizza le implicazioni dell’accordo fra Novell e Microsoft da una prospettiva diversa rispetto a quella attualmente dominante nella comunità del free software che vede nel “patto con il diavolo” una fonte di pericoli per la “causa” del free software in generale e per i singoli sviluppatori in particolare. Sicuramente – sgombriamo il campo da ambiguità – questo accordo “non è una bella cosa”, ma piuttosto che lamentarsi del latte versato, sarebbe utile capire come si è arrivati a rovesciare il bricco sul fuoco. In altri termini: siamo sicuri che quanto accaduto sia colpa (se di “colpa” di si può parlare) esclusiva di Novell e che la comunità del free software sia esente da responsabilità?
Partiamo innanzi tutto dai contenuti dell’accordo: le due aziende hanno annunciato una collaborazione futura per il miglioramento dell’interoperabilità fra OpenSuse e Windows e hanno deciso che non “faranno causa” ai reciproci clienti per le eventuali future violazioni di brevetto di cui i clienti dovessero essere direttamente o indirettamente responsabili. Nessuno dei due ha dichiarato in che cosa si tradurrà materialmente questo accordo di interoperabilità (sviluppo congiunto di software, accordo sui formati ecc.), e nessuno ha parlato del tipo di licenza che verrà adottato per i nuovi “prodotti”. Questo è quanto.
Punto secondo: il fulmine non è arrivato del tutto a ciel sereno. Per quanto clamoroso, infatti, l’accordo Novell-Microsoft si inserisce in una tendenza più generale caratterizzata dal progressivo ingressoin prima persona dei colossi dell’IT nel mondo dei servizi Linux-based (basti pensare alla sfida che Oracle ha lanciato a Red Hat). Non più, dunque, un supporto di retroguardia come il finanziamento di progetti, il rilascio di porzioni di codice con licenza libera, o il supporto hardware. Qui stiamo parlando del fatto che ora i grandi del settore hanno deciso di entrare con tutto il loro peso nel mercato del supporto e dell’assistenza di sistemi aperti. Un territorio fino a ora sostanzialmente lasciato a realtà sicuramente meno gigantesche degli “ultimi arrivati”.
In terzo luogo, bisogna accettare il dato che le “avventure commerciali” delle distribuzioni non sono andate benissimo. Salve eccezioni, quelle che sono sopravvissute, “campicchiano” ma sono sempre sull’orlo del precipizio. A fronte di questo sostanziale insuccesso del tentativo di creare FLOSS company in grado di competere con i big, c’è un gran numero di realtà medio piccole che costituisce invece lo “zoccolo duro” di chi vive del free software e che di colpo si trova o rischia di trovarsi, grazie anche al “patto di ferro”, in brutte acque.
Infine, va riconosciuto – con molto dispiacere, ma con molta chiarezza – che la Free Software Foundation è oramai rovinosamente precipitata in una sclerosi ideologica che la ha trasformata da anima di una rivoluzione, in un vero e proprio culto monoteistico e integralista. Questo implica che il suo obiettivo è, oramai, diventato solo quello di proteggere l’ortodossia, scomunicando indiscriminatamente chi propone visioni diverse o alternative alla “verità rivelata” (vedi la polemica su GPLv3).
Fatte queste premesse, veniamo al punto: perché questo accordo fa così paura a una parte della comunità FLOSS?
Innanzi tutto, probabilmente, per ragioni puramente economiche: “se puoi avere supporto per Red Hat Enterprise Linux da Oracle a 99 dollari, e quello per SuSe Linux da Microsoft (assumendo che questo accada a parità di costo), il business di Linux commerciale è chiuso. Queste mosse soffocano gli altri vendor di Linux. Linux starà bene … ma vista la loro potenza commerciale, Oracle e Microsoft domineranno presto il business delle distribuzioni Linux, usandole per vendere i propri prodotti.“ (Dana Gardner Microsoft and Novell: Fox marries chicken, both move into henhouse v. 23/11/06).
Detto in altri termini, da quando il business del software libero ha raggiunto un certo livello di maturità, è entrato negli obiettivi strategici delle imprese che, fino a questo momento, lo avevano snobbato o considerato una risorsa soltanto in un’ottica di medio-lungo periodo. La conseguenza? Via i piccoli, largo ai grandi. E’ il libero mercato, ragazzi!
E infatti, slogan a parte, il punto è proprio la difficoltà culturale della parte più radicale della comunità FLOSS ad accettare che il mondo Linux può fare a meno di loro. Certo, si sapeva che presto o tardi sarebbero arrivati i mezzi corazzati, ma bene o male molti erano convinti che non si sarebbe potuto fare a meno della “comunità”. E invece, molto probabilmente, questo non è vero. In fondo, si tratta solo di scrivere codice, e quando qualcuno ti paga per farlo, sei sempre molto più motivato…
Sarebbe stato possibile prevedere (o quantomeno anticipare) le mosse dell’avversario? Forse si, se la comunità del software libero si fosse accorta per tempo che il mondo, là fuori, stava cambiando velocemente. Ma era troppo occupata a crogiolarsi nello snobismo elitistico di chi “lotta per la causa”. Mette(va) all’indice le tesi sgradite (ricordate le polemiche provocate dalla nascita della Open Source Initiative di Bruce Perens?), convinta che nessuno potesse sfidarla sul proprio terreno. E invece, è proprio quello che è successo: le grandi corporation hanno sfondato i confini con i territori del free software, approfittando dell’endemica incapacità del software libero di fare il salto di qualità in termini commerciali.
A questo punto ci si sarebbe aspettata, dallo “zoccolo duro” del free software, una pragmatica presa d’atto dell’accaduto e l’adozione di una strategia per trarre vantaggio da un cambio di scenario così netto. E invece la comunità ha reagito in un modo (apparentemente) incomprensibile, gridando allo scandalo e minacciando una vera e propria guerra santa all’insegna della violazione della GPL.
Non solo – si dice – l’accordo Novell-Microsoft è in violazione della GPL, ma utilizza in modo strumentale la paura di possibili ed eventuali azioni legali per violazione di proprietà intellettuale (fear, uncertainity, doubt – FUD) per “indurre” gli utenti a preferire il Linux “a prova di tribunale” (secondo un approccio già sfruttato, con scarso successo peraltro, dall’ex Caldera, ora SCO nella causa contro IBM).
In realtà che l’accordo Novell-Microsoft vìoli la GPL è tutto da dimostrare (non sto dicendo che sia tutto in regola, ma solo che, al momento, non si può dire nulla di preciso, perché mancano le informazioni). Lo stesso Eben Moglen, docente alla Columbia University e alfiere del free software, che si è scagliato fra i primi contro il “patto con il diavolo” ha dovuto ammettere di non avere elementi per dimostrare una violazione della GPL2. Tanto che, invece di evidenziare quali fossero gli specifici punti dell’accordo in violazione di licenza, ha incomprensibilmente ribaltato su Novell questo obbligo. In una intervista il giurista ha infatti dichiarato che, secondo lui, “Novell deve mostrare positivamente che i termini dell’accordo con Microsoft non influsicono sulla libertà che devono essere in grado di trasmettere, secondo in termini della GPL” (Novell needs to show affirmatively that the terms of its arrangement with Microsoft do not impact on the freedoms that they must be able to pass along under the GPL,” said Moglen (…).
in http://www.vnunet.com/vnunet/news/2167966/novell-microsoft-partnership v. 23/112006).
A questo punto comincia a farsi strada il sospetto che il “problema” sia più ideologico (protezione del sistema basato sulla GPL) che pratico (perdita di quote di mercato e opportunità commerciali), e che i difensori del free software volessero la “guerra santa”, invece di valutare obiettivamente i fatti.
Una conferma di queste perplessità viene sempre dall’intervista a Eben Moglen dove il professore dice con chiarezza che seppure Novell e Microsoft dovessero avere effettivamente rispettato la GPL2, non avranno scampo quando la GPL3 sarà immessa nel circuito del software. Ancora una volta, dunque, riemerge l’approccio integralista che Linus Torvalds ha criticato aspramente, in occasione dell’apertura del dibattito su GPL3 che considera uno strumento da agitatore, buono soltanto per le policy estremiste della FSF (http://www.vnunet.com/vnunet/news/2161274/revised-gpl3-keeps-drawing-fire
v. 23/11/06).
Anche sull’accusa rivolta a Novell e Microsoft di fare “terrorismo psicologico” verso gli utenti degli “altri” Linux, lasciandoli con la spada di Damocle di un’azione legale per una ipotetica violazione di brevetto ci sarebbe qualcosa da dire.
Questo terrorismo psicologico si basa innanzi tutto sul fatto che non è mai stato dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che tutto il codice che compone il mondo Linux sia stato prodotto senza violare proprietà intellettuale altrui (magari anche solo tramite un po di reverse engineering). E se a questo si aggiunge l’ulteriore incertezza sulla effettiva “tenuta” giuridica della GPL, non stupisce che gli utenti possano avere qualche timore nell’abbracciare la fede di S. IGNUzio.
La prima, infatti, ad avere agevolato l’incertezza sullo “stato giuridico” di Linux è stata proprio la Free Software Foundation. E’ noto a tutti che FSF preferisce non rischiare di portare in tribunale i casi di violazione della GPL, per non esporsi al rischio di qualche sentenza che ne potrebbe limitare o annullare il valore, facendo crollare l’intera baracca. Ma siccome questi dubbi e incertezze funzionano anche a vantaggio del free software ecco che chi “inciampa” in una possibile violazione della GPL preferisce “patteggiare” fuori dal palazzo di giustizia, piuttosto che imbacarsi in una vicenda giudiziaria costosa e difficilmente gestibile.
Dunque, anche in questo caso è abbastanza curioso biasimare un chi utilizza gli stessi mezzi di autotutela utilizzati dalla FSF. Che differenza c’è fra Novell e Microsoft che “giurano” di non prendersela con gli utenti se mai si dovessero verificare violazioni di brevetto, e le rivendicazioni della free software foundation basate su semplici teorie giuridiche mai (o quasi mai) sottoposte alla verifica di un giudice?
Sembra quasi di essere di fronte al vecchio detto “la legge vale per tutti, tranne che per me”.
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