di Andrea Monti – a.monti@amonti.eu- IlSole24Ore del 10 febbraio 2010
L’esecuzione del sequestro preventivo del sito di The Pirate Bay, confermato il 2 febbraio 2010 dal tribunale del riesame di Bergamo, evidenzia l’errore della Corte di cassazione – che ha legittimato il sequestro preventivo tramite filtraggio – i limiti che riguardano l’applicazione del provvedimento e i rischi per gli incolpevoli internet service provider (ISP).
Eseguire un sequestro implica infatti la notifica della disposizione all’ISP, e in secondo luogo che la polizia giudiziaria asporti materialmente il bene coinvolto, o comunque che impedisca a chiunque di utilizzarlo, nominando se del caso un custode. Applicare tutto questo ai bit è quantomeno problematico, se non proprio impossibile.
La notifica del provvedimento è poi causa di ulteriori problemi. Il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Bergamo, delegato all’esecuzione del decreto giudiziario, invece di usare le forme previste dal codice di procedura penale, ha inviato agli operatori di accesso una semplice mail (non protetta e non certificata), preannunciando un ulteriore fax ma senza che il magistrato abbia disposto una notifica con questo strumento.
E’ corretto dunque obbedire? Probabilmente no, viste le possibili conseguenze derivanti dal dare corso a un atto che limita indiscriminatamente i diritti degli utenti in buona fede – e soprattutto di quelli che hanno pagato per i servizi di ThePirateBay.
Fino a quando, infatti, il bizzarro sequestro preventivo è eseguito sulla base di un ordine formalmente comunicato dalla magistratura, l’Internet Provider non può essere considerato responsabile per avere impedito la fruizione di un servizio offerto da terzi. Ma se il provvedimento della magistratura non è stato comunicato nei modi corretti, allora la sua esecuzione è una scelta volontaria del provider che, dunque, perde la sua neutralità, cioè la garanzia di non responsabilità prevista dalla direttiva e-commerce e dal D.lgs. 70/203. Non stupirebbe, dunque, l’avvio di un’azione risarcitoria nei confronti di chi scegliesse la via pragmatica, anche sotto il profilo del non corretto trattamento di dati personali. Dare credito a una semplice mail, infatti, potrebbe costituire una violazione del D.lgs. 196/03 sulla quale sarebbe opportuno che il Garante dei dati personali prendesse posizione, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti.
Purtroppo questa prassi è molto diffusa negli uffici di polizia giudiziaria. E’ sicuramente più rapida, ma altrettanto sicuramente non conforme al codice di rito che, volenti o nolenti, le parti del processo sono tenute a rispettare.
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