Interlex n. 61
di Andrea Monti
Il tema dell’autodisciplina nell’erogazione di servizi di telecomunicazioni basati sul TCP/IP (in breve, servizi internet) torna periodicamente alla ribalta ogni volta che – nel bene e nel male – la cronaca si occupa della Rete.
Negli ultimi tempi, grazie anche all’impulso dell’Unione Europea, in Italia si sono moltiplicati gli sforzi per giungere ad una formulazione quanto più coerente possibile di un vero e proprio codice, ma i risultati non sono stati – in generale – affatto soddisfacenti. La situazione, poi, è ulteriormente complicata per via della pluralità dei soggetti normativamente legittimati ad interloquire sul punto, basta pensare all’Antitrust, all’Autorità per le comunicazioni, all’AIPA e – da ultimo – al Garante per i dati personali (brillano per la loro sostanziale assenza le associazioni dei fornitori di servizi), anche se appare possibile individuare alcuni punti fermi.
In primo luogo quello della vincolatività: avendo a mente l’esperienza compiuta nell’ambito della pubblicità, un eventuale codice di autodisciplina non potrebbe che riguardare i fornitori di servizi di telecomunicazioni essendo gli utenti soggetti soltanto alla legge.
In secondo luogo quello dell’afflittività: un codice di autoregolamentazione privo di sanzioni effettivamente comminabili è – in punto di fatto – inutile.
In terzo luogo quello della natura giuridica: siamo di fronte ad uno strumento pattizio complementare rispetto alla Legge, privo di automatica efficacia erga omnes.e di rango normativo. Del resto è la formulazione letterale dell’art. 31 lett h) della 675/96 che attribuisce all’Ufficio del Garante per la protezione dei dati personali il compito di promuovere nell’ambito delle categorie interessate, nell’osservanza del principio di rappresentatività, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determinati settori, verificarne la conformità alle leggi e ai regolamenti anche attraverso l’esame di osservazioni di soggetti interessati e contribuire a garantirne la diffusione e il rispetto; ad evidenziare come l’eventuale strumento regolatore non sia oggetto di una “recezione” ma goda di un “semplice” imprimatur che è certo più di una mera presa d’atto, ma non abbastanza da qualificare il nascituro codice come fonte del diritto.
Ritengo tuttavia che il nodo da sciogliere relativamente al tema trattato sia quello del evidentemente quello del “riparto di competenza”.
La cognizione del Garante per la protezione dei dati personali è evidentemente limitata appunto alle modalità di erogazione dei servizi internet che incidono sui beni giuridici tutelati dalla legge 675/96 e difficilmente potrebbe estendersi ad altri settori (tutela del consumatore, garanzie per gli operatori, responsabilità civile) di competenza di alcuni degli organi suindicati.
Due sono le possibilità: ognuno corre da solo, e le conseguenze sono talmente evidenti da non richiedere spiegazioni oppure si concorda – nell’ambito dei rispettivi spazi – un testo unitario.
Quand’anche si arrivasse a questo risultato comunque comunque saremmo solo all’inzio, perché il passo successivo – ottenere la sottoscrizione da parte degli operatori – si presenta almeno altrettanto complesso di quello appena compiuto.
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