Anche Repubblica.it si è accorta che le app per il fitness consentono la condivisione online di dati personali per cui l’uso di un software per l’allenamento “rivela le case di soldati e spie”.
La notizia – (probabilmente) vera in sè – è fuorviante oltre che concettualmente ipocrita.Primo: gli utenti sono liberi di scegliere le loro impostazioni di condivisione. Se non hanno “RTFM” non è certo “colpa” di un software, ma della loro superficialità.
Secondo: non siamo di fronte a un problema di “privacy”. Gli utenti hanno scelto di rendere pubbliche delle informazioni sul loro conto, rinunciando a quella che gli anglosassoni chiamano “reasonable privacy expectation”.
Terzo: Strava non è l’unico software a dare servizi del genere. Per esempio, Decathlon Coach, la piattaforma di DECATHLON FRANCE che uso nella mia attività di allenatore di atletica, funziona benissimo ed offre un adeguato controllo su cosa viene condiviso e cosa no. Potrà non essere “strafichissima”, però funziona bene e fa il suo lavoro. Se uno è proprio ossessionato dalla sua “privacy” ha la possibilità di scegliere fra varie piattaforme.
Morale: come ama ripetere il prof. Giovanni Boniolo, bisogna “conoscere per deliberare”. E, aggiungo, bisogna smettere di “dare la colpa al software” quando siamo solo di fronte a esercizi di stupidità umana.
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