La vicenda della giornalista del Washington Post che non vuole più ricevere pubblicità di prodotti per bambini a seguito della scomparsa del suo è veramente paradossale.
L’aspetto umano, ovviamente, non si discute. E’ un dramma che nessun genitore vorrebbe vivere. E la metabolizzazione del lutto è un processo lungo, doloroso e senza fine, dove ciascuno è solo con se stesso per cercare di “andare avanti”.
Ma ha veramente senso chiedere “al web” di non essere più “oggetto” di pubblicità di questo genere? E perche’ non anche alle televisioni (sempre più) interattive? O ai direttori di giornali? O ai gestori di supermercati e centri commerciali?
Il giornalista de Il Fatto Quotidiano lamenta il fatto che la collega americana abbia “dovuto fare da sè”, cancellando cookie ed eliminando la parola “genitorialità” dalle proprie preferenze, come se questo fosse uno sforzo sovrumano e non richiesto.
Ma c’è di più. Si domanda il giornalista in questione:
…(C)ome è possibile che algoritmi così intelligenti, così bravi a profilare anche le più intime pulsioni degli utenti, capaci di misurare anche le nostre tasche (se glielo si concede) non siano in grado di capire che è accaduto qualcosa di così grave? Come mai non sono in grado di percepire la sofferenza di chi è dietro lo schermo?
In realtà, come cerca di fare la comunicazione basata sulla psicometria, ci si sta attrezzando per parametrare la comunicazione commerciale (e non solo) sugli stati emotivi di singoli e gruppi di persone (che poi la cosa funzioni, è un altro paio di maniche).
Ma il punto è un altro, cioè la pretesa della giornalista de Il Fatto Quotidiano che “qualcosa” o “qualcuno” debba per forza occuparsi di noi.
E’ l’ennesima incitazione alla deresponsabilizzazione generale in nome della quale vogliamo anzi, pretendiamo di esporre senza filtri il nostro privato al mondo e poi, quando l’inevitabile accade, di indigniamo perché il sistema ha fatto esattamente quello che gli abbiamo chiesto.
E’ un patto con il diavolo che non avremmo mai dovuto firmare ma che, una volta sottoscritto, non si può più rompere.
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