di Andrea Monti – PC Professionale n. 83
Evoluzione, non rivoluzione… suonava più o meno così lo slogan di una nota casa automobilistica tedesca che sottolineava una filosofia aziendale: perfezionare l’esistente prima di buttare tutto all’aria ed intraprendere nuovi sentieri. Se questo approccio sembra molto corretto nell’ambito aziendale, in quello giuridico dovrebbe essere la regola (derogata da eccezioni veramente tali) ma, come succede sempre più spesso, il nostro legislatore da questo orecchio proprio non ci sente come dimostrano gli allarmanti dibattiti “scientifici” sulla imprescindibile necessità di nuove leggi per contrastare il pericolo pubblico numero uno: la information-technology. Proprio dagli USA arriva invece una notizia che sfata questo luogo comune: l’approvazione del No Electronic Theft (NET) Act (per i non anglofoni, Legge contro il furto elettronico).
Alcuni commentatori italiani – forse ingannati dall’acronimo NET – hanno pensato di trovarsi di fronte ad un provvedimento concepito ad hoc per Internet… sbagliato, o, meglio, fortemente inesatto; il NET Act è una legge che in tre (si, avete letto bene, soltanto tre) articoli adatta il sistema sanzionatorio penale degli Stati Uniti alle diverse forme di aggressione digitale al copyright con una serie di interventi microchirurgici in alcuni punti specifici delle norme preesistenti e si pone come il corrispondente statunitense del nostro famigerato art. 171 bis l.d.a. (legge sul diritto d’autore).
Il primo adattamento riguarda la nozione di financial gain che nella nuova “versione” viene inteso come ricevere (o aspettarsi di ricevere) qualsiasi cosa di valore, compreso il ricevere opere tutelate dal copyright. Per capirci, secondo la legge americana ora è considerato financial gain anche farsi consegnare un’opera protetta, cioè farsi “pagare in natura”.
In proposito la legge italiana è molto diversa: l’ art. 171 bis l.d.a. parla semplicemente di scopo di lucro con tutti i gravi problemi che ne derivano (da cui le conseguenze della famosa sentenza del Pretore di Cagliari di cui abbiamo parlato qualche numero fa).
Un punto estremamente importante di questa legge (Titolo XVII – Sec.506a) è che la prova della riproduzione o della distribuzione di un’opera protetta da copyright, in quanto tale, non è sufficiente a dimostrare di avere commesso volontariamente il reato. Non solo, l’esistenza del reato di duplicazione abusiva è condizionata anche al valore commerciale dell’opera: al di sotto dei 1000 dollari il fatto non rileva penalmente. Si tratta di un approccio estremamente pragmatico che evita il proliferare di procedimenti penali anche per fatti di entità non particolarmente grave. Va sottolineato che questo modo di ragionare è molto frequente (almeno) nella normativa che si occupa di informatica; anche per quanto riguarda gli accessi abusivi infatti la legge americana condiziona la punizione alla commesso un danno superiore ad un certo ammontare.
La normativa italiana invece – anche quella sui computer crime – è priva di questa valvola di sicurezza e quindi se si innesca un certo meccanismo perverso di aumento di pena, si può rischiare veramente grosso senza alcuna proporzione con la gravità del fatto commesso.
La Rete non viene tirata direttamente in ballo dal No Electronic Theft Act che – molto opportunamente – si limita a punire la riproduzione o la distribuzione tramite strumenti elettronici, senza entrare – come si fa da noi – in classificazioni barocche (sistemi informatici, sistemi telematici e via discorrendo) che complicano soltanto la vita e sono di utilità pressoché nulla.
Come ho detto prima l’unica cosa che questa legge ha in comune con la rete è l’acronimo (NET), ma ciò non toglie che sia di grande importanza anche per i navigatori da un lato e per chi fa e-business dall’altro, perché si pone come strumento effettivo di garanzia per tutti quei beni (e in materia di copyright ce ne sono tantissimi) che sono suscettibili di essere fruiti tramite il computer. Si tratta, in altri termini di un presidio che sembra potersi dimostrare efficace nel consentire una tutela adeguata dei sacrosanti diritti degli autori, evitando nel contempo quelle pastoie che limitano fortemente le possibilità di espansione di un certo tipo di promozione di beni e servizi.
Il NET Act sembra proprio essere (e spero di non sbagliarmi) un modello da seguire anche al di qua dell’oceano importando dagli Stati Uniti – una volta tanto – non solo mode transeunti ma principi giuridici che solo qualche secolo fa costituivano uno dei nostri migliori prodotti…
Che ci volete fare…altri tempi.
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