Linux&C n.8
di Andrea Monti
Buona ultima (il Rapporto Bangeman risale al 1995, mentre i progetti statunitensi addirittura all’anno prima) anche l’Italia è arrivata ad avere un piano d’azione per lo sviluppo della società dell’informazione. Un ambizioso progetto annunciato il 22 giugno scorso che, almeno nelle intenzioni dovrebbe emancipare il nostro paese dalla condizione di sottosviluppo tecnologico nella quale versa da tempi immemorabili.
Le scelte politiche compiute dal governo (maggiori particolari in http://www.andreamonti.net/doc/piano.htm) sono orientate verso quattro direzioni:
capitale umano (formazione, istruzione, ricerca, sviluppo) e-government (servizi della Pubblica Amministrazione) e-commerce (coordinamento, regole e procedure) infrastrutture, concorrenza e accesso a partire dalla gara per la assegnazione delle frequenze di telefonia mobile UMTS
Fra i vari intendimenti manifestati in questo documento, spicca in modo particolare la voce “RIFINANZIAMENTO (periodo 2001-2003) e POTENZIAMENTO del PROGRAMMA di SVILUPPO delle TECNOLOGIE DIDATTICHE 1997-2000“, i cui contenuti sono sintentizzati in questa tabella
Obiettivi 2001 2001 + 2002 Oneri 2001 Oneri 2002 pc nelle scuole primarie e secondarie di I grado con un rapporto allievi pari a (incluso rinnovo) 1/25 1/15 200 mld 250 mld pc nelle scuole secondarie sup con
un rapporto allievi pari a 1/10 1/10 40 mld 80 mld collegamento delle scuole ad internet tutte tutte 40 mld 80 mld cablaggio interno delle scuole 2.000 5.000 200 mld 300 mld
Che può essere sintetizzata come segue: miliardi per portare computer e internet nelle scuole. Anzi – anche se non è scritto in questo modo – computer, internet e software proprietari. Si, perchè nonostante tutto, di tecnologie Open Source non si parla da nessuna parte e il progetto governativo finirà per rafforzare monopoli commerciali e culturali che ci ridurranno in una vera e propria “schiavitù elettronica”. Promuovere nelle scuole la diffusione di applicazioni proprietarie– che poi sono quelle Microsoft – significa “condizionare” le nuove generazioni a pensare che l’informatica sia soltanto una (già ora è elevato il numero di chi pensa che persino l’internet sia opera di Zio Bill) e ad apprendere soltanto ad usare certe applicazioni e non altre.
Sarebbe come imparare a parlare una lingua “brevettata” (come il Klingom [1], ad esempio J), i cui proprietari possono in qualsiasi momento scegliere quali parole si possono utilizzare, con quale significato, ma soprattutto come e se possono essere scambiate. Così, se volessimo “ispirarci” a qualcuno che si è rivelato particolarmente bravo ad usare questa lingua, o se volessimo migliorarne il lavoro, non potremmo farlo, perché il “signore delle parole” ci sbatterà in prigione anche solo per averci provato. Il risultato è una lingua povera di contenuti insieme alla progressiva analfabetizzazione di quelle persone che invece avrebbero dovuto essere aiutate ad imparare. Sostituite “lingua” con “sistemi operativi e applicazioni” e il gioco è fatto.
C’è di più: risparmiando sui costi delle licenze, rimarrebbero – banalmente – più somme da destinare alla creazione di posti di lavoro o ad altri interventi strutturali, aumentando vertiginosamente la circolazione della conoscenza, invece di quella delle licenze d’uso
Qualcuno potrebbe liquidare queste considerazione come “catastrofismi” o “utopie” ma la scelta politica di non prendere in considerazione i sistemi aperti ha delle conseguenze concrete anche sul brevissimo periodo.
Già ora la Pubblica Amministrazione mette a disposizione della collettività software e informazioni di varia natura e fra pochissimo (speriamo) dovrebbe essere possibile interagire direttamente con gli uffici per richiedere certificati, effettuare prenotazione e via discorrendo.
Molto spesso tuttavia, i documenti sono rilasciati in formati proprietari, o le applicazioni girano solo su certe piattaforme (sempre le stesse) e non su altre. Il risultato è che per richiedere – ad esempio – un certificato di nascita invece delle poche lire di bolli, una persona dovrebbe spendere almeno un paio di milioni in licenze d’uso fra sistema operativo e software vari, incrementando peraltro non le casse dello Stato (magra consolazione J) ma quelle di soggetti privati.
Se il problema fosse esclusivamente di natura economica, potrebbe essere eliminato “semplicemente regalando” questi software alla gente. Ma le cose non stanno così perchè la gratuità non è sinonimo di “libertà di codice”. Le infrastrutture tecnologiche dello Stato, dalla sanità ai trasporti, alla difesa, dipendono in misura sempre maggiore (per non dire di peggio) da software dei quali si ignora il funzionamento e che sono controllati da quella che, in altri tempi, si sarebbe chiamata “intelligenza straniera”. Pensate soltanto a cosa sta per accadere con la firma digitale. Ad oggi – e probabilmente anche per il futuro – nessuno sa veramente come sono fatti gli apparati hardware e software per la generazione e l’impiego delle firme. Certo dappertutto si legge di “dispositivi di firma”, di “smartcard” ecc. ecc., ma la realtà è che quando tutto questo sarà immesso sul mercato, dovremo compiere un vero e proprio “atto di fede” nei confronti di chi li ha costruiti. Considerando che con questo strumento potremo compiere atti perfettamente validi sotto il profilo giuridico (firmare contratti, ad esempio), mi sembra eccessivo chiedere alle persone di “fidarsi” sulla parola. E’ anche vero che verificare un sorgente di oggetti come quello di cui stiamo parlando non è cosa da nulla, ma almeno avendo la possibilità di farlo c’è la speranza che qualche “smanettone di buona volontà” decida di metterci le mani sopra e rendere un servizio alla collettività, mentre l’alternativa è semplicemente il nulla.
Gli esempi potrebbero continuare a lungo, ma la sostanza dei fatti non cambia: procedere sulla strada individuata dal governo italiano equivale a consegnare le “chiavi di casa” ad un perfetto estraneo, sperando che si riveli una “degna persona” e non qualcosa d’altro. Vista la posta in gioco, mi sembra un rischio alquanto eccessivo.
A questo punto qualcuno potrebbe legittimamente porre una domanda: ma qualcuno glielo ha mai detto a queste persone cosa sia e come funzioni il freeware?
Si, qualcuno la ha fatto. Il 30 giugno 1999, al Forum per la Soceità dell’Informazione organizzato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ALCEI ha presentato una relazione ( http://www.palazzochigi.it/fsi/ita/contributi/gruppo5/alceiistituzioni.html) che ha trattato analiticamente questi punti, ma nel marasma di questi giorni, evidentemente la cosa è passata sotto silenzio.Sarà un caso?
Nel frattempo, il resto del mondo – e l’Europa in particolare – non sta certo con le mani in mano. La Francia ha da tempo iniziato sperimentazioni dirette all’inserimento di Linux nel sistema scolastico, mentre la Germania ha finanziato con denaro pubblico lo sviluppo di GPG (Gnu Privacy Guardian), un software compatibile con PGP ma totalmente freeware e – dicono quelli che ci stanno lavorando – anche migliore. A fronte di tutto questo, però, bisogna mantenere un certo pragmatismo di fronte alla realtà: ben difficilmente l’Open Source provocherà la scomparsa di software proprietario, e probabilmente nessuno – a parte RMS, forse – lo vorrebbe sul serio. Il punto è lasciare che i due modelli di business si evolvano “naturalmente” senza che lo strapotere economico e commerciale delle major soffochi la concorrenza del freeware. D’altra parte, se sono veramente convinti che l’Open Source non ha futuro, perché si preoccupano tanto?J
Chiusa la parentesi torniamo al punto: non c’è freeware nel Palazzo.
Che fare?
Si può provare a chiedere: il sito della Presidenza del Consiglio dei Ministri è http://www.palazzochigi.it, mentre da quello del parlamento (http://www.parlamento.it) si possono trovare le mailbox di senatori e deputati.
Scrivete loro, chiedendo di diffondere l’uso dell’Open Source nella Pubblica Amministrazione, ma fatelo adesso, perché più passa il tempo, più le possibilità (già minime) tendono allo zero.
[1] La lingua degli storici avversari del capitano Kirk e dell’Enterprise è stata “brevettata” dalla casa di produzione cinematografica che detiene I diritti su questo storico telefilm
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