di Andrea Monti – PC Professionale n. 200 novembre 2007
Una recente sentenza della Cassazione avrebbe potuto facilmente chiarire la situazione sulle modifiche, ma l’occasione è andata perduta.
Modificare consolle e cellulari è un’attività molto diffusa ma sulla cui legalità non c’è ancora chiarezza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha avuto molta eco sui mezzi di informazione perché avrebbe stabilito che è illegale modificare le playstation in modo che si possano leggere anche copie di riserva o videogiochi acquistati le gittimamente, ma in altre “regioni geografiche” (analoghe a quelle che limitano la circolazione dei film su Dvd) artificialmente create dalla Sony per la protezione dei suoi interessi commerciali.
Questa sentenza è di orientamento diametralmente opposto all’altrettanto famosa decisione del tribunale penale di Bolzano che nel dicembre 2004 stabilì l’esatto contrario, e cioè che il proprietario di una consolle ha tutto il diritto di modificarla come crede, a condizione che le modifiche siano principalmente destinate a un uso lecito dell’apparato. Il tema è molto delicato perché non riguarda soltanto i vidogiochi ma si estende all’elettronica di consumo in generale, telefoni cellulari compresi. Coincidenza vuole, infatti, che la sentenza sia stata diffusa più o meno nello stesso periodo in cui, a seguito del lancio dell’Iphone di Apple, si sono moltiplicate le notizie sui metodi per rimuovere i limiti che consentono al telefono di funzionare solo sulle reti di certi gestori telefonici.
Anche la problematica del SIM unlocking non è – a stretto rigore – nuovissima perché in passato ha riguardato anche operatori italiani e si è tradotta in indagini giudiziari (dagli esiti ancora sconosciuti, peraltro).
Questa sentenza consente dunque di capire a che punto sia lo stato dell’arte in materia di modifiche autorealizzate su prodotti legalmente acquistati. Va detto, innanzi tutto, che la sentenza della Cassazione è abbastanza strana perché si è occupata con una lunghissima analisi giuridica del tema modchip, quando invece l’oggetto della decisione era soltanto decidere quale fosse l’ambito di applicabilità del divieto di aggiramento delle misure di protezione delle opere protette, all’epoca del (presunto) reato.
E infatti, la decisione finale si limita a rispedire il processo alla Corte d’Appello dicendo qualcosa come “rifate il processo e questa volta siate certi di applicare la norma X”.
Si è dunque trattato di una questione puramente tecnico-giuridica che non richiedeva di entrare nel merito della legittimità o meno della modifica di apparati. capire, quindi, che la sentenza della Cassazione non ha effettivamente stabilito l’illegalità delle modifiche alle consolle, perché il ragionamento della motivazione (cioè il presupposto) non trova riscontro nel dispositivo (cioè nella decisione vera e propria).
In ogni caso, si tratta di un principio non condivisibile perché – diversamente dal tribunale di Bolzano – la Corte di Cassazione non ha dato alcuna rilevanza alla importante circostanza che le modifiche hardware consentono innanzi tutto l’uso di videogiochi legali e dunque non sono dirette a violare la legge; stabilendo quindi la prevalenza del diritto della multinazionale su quello degli utenti in buona fede che rappresentano la parte debole. Ma questo è solo uno dei molti punti criticabili della decisione che, per esempio, con motivazioni francamente contorte e molto discutibili dal punto di vista informatico, arriva addirittura a sostenere che un videogioco non sarebbe un software ma una “sequenza di immagini in movimento”, con ciò ritenendo applicabili le sanzioni sulla duplicazione di materiale audiovisivo (comprese quelle che riguardano il P2P) invece che quelle sul software.
Per non parlare poi delle parti che si occupano della natura giuridica della Playstation e di quelle che si imbarcano nell’analisi della normativa sulla protezione delle trasmissioni PayTV… Insomma, una sentenza minestrone che non consente di dare una risposta chiara e definitiva a un problema che riguarda – letteralmente – milioni di persone.
Fino a quando si gioca con la Playstation di Sony, infatti, i numeri degli utenti per quanto grandi non sono certo comparabili con quelli del mercato della telefonia mobile. In che modo, quindi, la (confusa e discutibile) sentenza della Cassazione può riguardare chi fa funzionare un Iphone anche sulle reti di un altro gestore telefonico?
Sicuramente non c’è un effetto diretto e immediato perché i due casi non sono perfettamente sovrapponibili. Ma è altrettanto certo che gli spunti e gli appigli creati dalla decisione costituiranno un incentivo per aprire nuovi procedimenti penali anche nei confronti di chi libera i telefonini. Poi, fra qualche anno, avremo forse della giurisprudenza che dirà chi aveva ragione.
Ma nel frattempo…
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