Estratto dal capitolo Metaverso e convergenza tecnologica: aspetti (geo)politici, giuridici e regolamentari scritto da Andrea Monti per il volume “Metaverso” a cura di Giuseppe Cassano e Guido Scorza, Pacini Giuridica, 2023.
La difficoltà dell’analizzare gli aspetti giuridici legati al “metaverso” dipende in primo luogo dall’essere quest’ultimo ad uno stadio talmente embrionale di sviluppo da non consentire l’effettiva individuazione di questioni concrete e dell’impatto che possono avere sul sistema dei diritti. Molti dei ragionamenti che si possono fare sul tema, dunque, sono basati su ipotesi sostanzialmente astratte e delle quali, di conseguenza, non è possibile verificare il valore di verità o -più modestamente- di congruenza con problemi di interpretazione e applicazione delle norme vigenti.
In questa condizione di incertezza -che è diventata la regola quando ci si occupa del rapporto fra tecnologie dell’informazione e diritto- è fondamentale tenere sempre a mente la regola aurea secondo la quale ex falso, quodlibet. L’assenza di fatti da mettere sotto la lente del giurista può facilmente indurre a stabilire delle premesse arbitrarie dalle quali, come appunto insegna la Regola, è possibile dedurre qualsiasi conclusione o affermare qualsiasi principio.
Proprio nel rispetto della premessa di metodo appena enunciata, è necessario dichiarare preliminarmente che questa riflessione si basa sul rifiuto di cedere alle suggestioni indotte da scenari più o meno futuribili e al dominio della Scienza intesa come divinità pagana da venerare e invocare anche nei riti del diritto in nome di una mai sopita propensione al fisicalismo giuridico, che però rimane contenta al quia. Molto più modestamente le pagine che seguono sono piuttosto frutto dell’ostinato abbarbicarsi al fatto come elemento originatore e fine ultimo della riflessione teorica e sistematica.
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La narrativa corrente sul metaverso lo descrive ricorrendo ai luoghi classici della pubblicistica di settore anche giuridica. Dunque, anche la (non più tanto) nuova bolla speculativa che il marketing del comparto tecnologico ha iniziato a gonfiare da qualche tempo poggia sul concetto di “virtualità”, su quella che è stata definita in modo molto efficace come “infantilizzazione della cultura occidentale” e sulla tendenza tanto preoccupante quanto trascurata dello sfruttamento commerciale della “confessionalizzazione dei diritti” celata dal rassicurante quanto ingannevole velo dei “diritti digitali”.
Il discorso è particolarmente complesso ma, per quanto interessa in questa sede, è sufficiente evidenziare che seppure “ciberspazio” e “virtuale” siano concetti estranei a un diritto del fatto, non per questo se ne potrebbe, astrattamente, escludere il recupero con una funzione definitoria. Per essere legittima, tuttavia, questa operazione dovrebbe essere dimostrata come necessaria e indispensabile per risolvere problemi normativi, dottrinali e giurisprudenziali altrimenti insormontabili. Dunque, ed è questo il tema, applicando il Rasoio di Occam dobbiamo innanzi tutto chiederci quale sia il valore euristico dei termini in questione.
Sia consentito rinviare ad altra sede l’analisi critica e approfondita degli effetti e del modo in cui invenzioni letterarie come il “ciberspazio” e il suo corollario “virtuale” hanno influenzato negativamente la riflessione giuridica, arrivando direttamente alla conclusione: essi non sono né fictio juris (come la persona giuridica) né metafore giuridiche (come la nozione di fonti del diritto) necessarie al funzionamento del Sistema. Di conseguenza, pur mantenendo un’indubbia utilità per spiegare fenomeni sociologici, psicologici e anche economici -come, appunto, il metaverso- “ciberspazio” e i suoi derivati non dovrebbero avere alcun ruolo nell’individuazione di obiettivi normativi e nella loro trasposizione in leggi e regolamenti.
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