di Andrea Monti – PC Professionale n. 115
L’otto giugno 2000 è stata approvata la Direttiva 31/2000 CE che si occupa di regolamentare alcuni aspetti delle attività di commercio elettronico.
La finalità della direttiva emerge chiaramente nel “considerando” n.7: Per garantire la certezza del diritto e la fiducia dei consumatori, la presente direttiva deve stabilire un quadro generale chiaro per taluni aspetti giuridici del commercio elettronico nel mercato interno. Questo perché, si dice, sussistono da un lato disarmonie normativa fra gli stati membri e, dall’altro, incertezza sul diritto da applicare ai casi concreti, il tutto a danno del cittadino-consumatore.
Un altro punto essenziale (sconfessato poi dal seguito del testo) è al cons. n.9 che riconosce la tutela della libertà di espressione come un punto qualificante dei servizi di commercio elettronico, inoltre, nello stesso “considerando” si chiarisce che. La presente … non è volta ad incidere sui principi e sulle norme fondamentali nazionali in materia di libertà di espressione.
Altrettanto importanti sono il cons. n.10 che stabilisce il principio del “minimo intervento normativo necessario”, cioè un esplicito invito a non iper-normare il settore, e il n.13 che esplicitamente dichiara che – in questa sede – non si parla di aspetti fiscali. Anche se poi, al cons. n. 19, si da’ una risposta alla rilevanza giuridica di “avere il server alle Barbados” per non pagare le tasse: secondo l’orientamento della Corte di Giustizia recepito in pieno dalla direttiva, la nozione di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata mediante l’insediamento in pianta stabile. Tale condizione è soddisfatta anche nel caso in cui una società sia costituita a tempo determinato. Il luogo di stabilimento, per le società che forniscono servizi tramite Internet, non è là dove si trova la tecnologia del supporto del sito né là dove esso è accessibile, bensì il luogo in cui tali società esercitano la loro attività economica.
I punti successivi riguardano temi caldi per la “vita” di ogni navigatore: rifiuto dello spam, obbligo di identificarlo come tale per consentirne la facile rimozione e via discorrendo. Merita un cenno particolare al questione della validità dei contratti online: pur richiamandosi alle precedenti direttive in materia e auspicando il generalizzato impiego di questi strumenti (indispensabili all’e-commerce) si stabilisce espressamente che gli stati membri possono mantenere restrizioni all’uso di contratti elettronici relativamente ai contratti che richiedono l’intervento di organi giurisdizionali, pubblici poteri o professioni che esercitano pubblici poteri. Tale possibilità riguarda anche i contratti che richiedono per legge l’intervento di organi giurisdizionali, pubblici poteri o professioni che esercitano pubblici poteri al fine di avere effetto nei confronti di terzi. Nonché i contratti che richiedono per legge la certificazione o l’attestazione di un notaio.
Prima di giungere ad affrontare due nodi cruciali di questa direttiva, è necessario evidenziare il cons. n.51 che affronta il tema (trattato nell’altro articolo pubblicato su questo numero) della possibilità di risoluzione on line delle controversie scaturenti dalla fruizione di servizi di e.commerce: Ogni Stato membro dovrebbe adeguare, se necessario, le parti della propria legislazione che possono ostacolare l’uso, attraverso le vie elettroniche appropriate, degli strumenti di composizione extragiudiziale delle controversie. Il risultato di tale adeguamento deve rendere realmente ed effettivamente possibile, di fatto e di diritto, il funzionamento di tali strumenti, anche in situazioni transfrontaliere.
Se fino ad ora i contenuti della direttiva si sono dimostrati abbastanza coerenti e condivisibili, l’opinione cambia drasticamente quando ci si trova di fronte ad una serie di affermazioni dal tenore fortemente discutibile. Il cons. n.26 che “autorizza” gli stati membri ad applicare le rispettive norme nazionali di diritto penale e di procedura penale ai fine di adottare tutti i provvedimenti di carattere investigativo, nonché di altro tipo necessari per l’individuazione e il perseguimento di reati penali (sigh! n.d.a.), senza che vi sia la necessità di notificare alla Commissione siffatti provvedimenti.
I considerando dal n.40 al n. 48 – questo è il punto veramente critico – disegnano il quadro della responsabilità e obblighi dei provider stabilendo, di fatto, la responsabilità oggettiva per i fornitori di servizi, la loro trasformazione in “agenti di polizia”, l’obbligo di controllo delle attività degli utenti.
Certo, formalmente si dice che i provider la cui attività si limita alla semplice veicolazione automatica dei contenuti non possono essere considerati responsabili dell’illiceità di questi ultimi, ma subito dopo, si stabilisce il principio secondo il quale se il provider è informato – da chiunque – che i suoi sistemi veicolano materiale illecito, o li rimuove o diventa correo. Il cons. n. 44 chiarisce che l’esenzione di responsabilità vale solo per le attività di carrier e non per quelle di fornitore di contenuti Il prestatore che deliberatamente collabori con un destinatario del suo servizio al fine di commettere atti illeciti non si limita alle attività di semplice trasporto (“mere conduit”) e di “caching” e non può pertanto beneficare delle deroghe in materia di responsabilità previste per tali attività. Il problema è l’interpretazione di quel “deliberatamente collabori”: sospettare che un hosting o la gestione di mailing list di un cliente siano strumenti per la commissione di illeciti è già “collaborazione deliberata”? O per dirla in giuridichese: stiamo parlando responsabilità per dolo eventuale, dolo diretto o “semplice” colpa? La realtà è che i provider, per evitare grane, metteranno in piedi colossali operazioni di autocensura (peraltro non nuove, in Italia) con buona pace della tutela della libertà di espressione (tanto per fare un esempio concreto, in un recentissimo caso un provider ha di fatto censurato un’associazione letteraria perchè uno dei racconti pubblicati – vincitore di un concorso letterario – conteneva parole a suo dire “sconvenienti”). Ma la direttiva non si ferma qui: addirittura prevede che in taluni casi, i prestatori di servizi hanno il dovere di agire per evitare o per porre fine alle attività illegali individuando e prevenendo (cons. n. 48) taluni tipi di illecito (e quali saranno mai?). Tutto questo altro non significa se non stabilire che i provider devono diventare qualcosa che sta a metà fra il giudice e il poliziotto, con tanti saluti al potere giurisdizionale, l’unico in grado di stabilire cosa sia conforme alla legge e cosa no. Sempre nella stessa ottica si inquadra il cons. n. 40 che esorta al diffuso impiego ed utilizzo di sistemi di sorveglianza e identificazione, da attuare non in via generalizzata (bontà loro) ma su specifica richiesta.
Chiudo queste brevi note per segnalare l’ennsimo colpo dell’ “anonima del copyright”. Le major dell’audiovisivo e del software, per il tramite dei loro faccendieri hanno segnato un altro punto a proprio favore, nella guerra per ottenere sempre maggiori tutele penali di interessi nient’affatto collettivi: E’ importante che la proposta di direttiva sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione e la presente direttiva entrino in vigore secondo un calendario simile, per creare un quadro normativo chiaro a livello comunitario sulla responsabilità degli intermediari per le violazioni dei diritti d’autore e dei diritti connessi
Non c’è solo commercio elettronico, dunque, in questa direttiva ma anche norme che stabiliscono principi che mettono seriamente in pericolo i diritti costituzionali delle persone. E’ pur vero che il contrasto della criminalità richiede “sacrifici” ma speriamo che – in sede di recepimento della direttiva – il legislatore riesca ad equilibrare correttamente esigenze collettive e tutela del singolo. Certo il punto di partenza non è dei migliori, e la storia recente non lascia molto spazio all’ottimismo.
Ma non si doveva parlare di commercio elettronico?
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