L’incapacità, a qualsiasi livello, di governare la complessità nell’uso dell’informazione traccia la strada verso il caos anche nella vita delle istituzioni e non solo in quella dei cittadini di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su La Repubblica – Italian Tech
La retromarcia di Meta sul controllo dei contenuti che circolano sulle proprie piattaforme riguarda, seppur in modo diverso, le conseguenze di lungo termine dell’infodemia.
Concepita inizialmente come strumento concettuale per descrivere la condizione di debolezza degli utenti di fronte alla disinformazione causata dal “sovraccarico informativo”, l’infodemia si è tradotta in una giustificazione paternalistica per varie forme di censura. Prima arrivava dall’alto, delegata a soggetti privati(aziende e delatores) dalle leggi o “suggerita” dall’esecutivo, e ora, almeno in parte e almeno in USA, è abbandonata a se stessa, nelle mani di una non meglio identificata —e non meglio legittimata— “comunità di utenti”.
Dietro le quinte, però, continua a funzionare il sofisticato meccanismo basato su profilazione degli utenti e analisi automatizzata dei contenuti valutati sulla base di “leggi private” contenute nei “terms&conditions” o nelle “community guidelines”.
Un grande potere, senza (più) una grande responsabilità
Non è così ovunque, ma se la tendenza che emerge dalla scelta di Meta si consoliderà, è altamente probabile che ci troveremo di fronte all’ennesimo sistema per deresponsabilizzare giuridicamente chi fornisce servizi di piattaforma.
Se, infatti, il “controllo di improprietà” di un contenuto è affidato alla “comunità”, va da sé che il gestore della piattaforma non possa essere ritenuto responsabile (ma di cosa, se il contenuto non è illegale?) perché qualche utente si è sentito “offeso” da un post o un potente è stato “scottato” da una critica.
Con buona pace di chi pensa che le aziende rispondano a soggetti diversi dai propri azionisti e investitori, dopo la “privacy”, dunque, anche la libertà di espressione viene arruolata per difendere interessi economici privati invece dei noiosi “diritti fondamentali”.
Infodemia e poteri pubblici
Come molte semplificazioni giornalistiche statunitensi, anche l’infodemia è diventata una specie di meme, diffuso e banalizzato non solo in USA ma anche da questa parte dell’Atlantico.
Supinamente concentrato su come l’infodemia contagerebbe gli individui, il dibattito non ha prestato molta attenzione al settore pubblico e a come, in questo ambito, l’infodemia sia un elemento di un problema più esteso: la gestione della complessità e la sua capacità di indebolire dall’interno uno Stato o addirittura di causarne il disfacimento.
Il punto di paralisi
I processi che muovono la macchina di un’amministrazione sono certamente alimentati dalle informazioni, ma per funzionare hanno anche bisogno di gestire ad ogni livello la complessità derivante dal raccoglierle, analizzarle, organizzarle e trasformarle in azioni concrete.
In linea generale, fino a quando la capacità di controllare questa complessità è superiore alla difficoltà del gestirla, una struttura dovrebbe (in teoria) poter funzionare senza troppi problemi.
Al contrario, se le informazioni sono troppe, mal organizzate e inaffidabili sarà difficile utilizzarle in modo efficiente: in questo senso, dunque il concetto di infodemia può essere, almeno in parte, applicato anche alle politiche pubbliche.
A determinate condizioni, l’infodemia trasforma la complessità in caos che aumenta fino a raggiungere una soglia critica oltre la quale il sistema non può più funzionare e il processo decisionale si blocca: questo è il punto di paralisi.
L’osservazione empirica suggerisce che, ad ogni livello, il punto di paralisi viene spesso raggiunto per incompetenza o sciatteria, confermando la validità del Principio di Peter e della Legge di Parkinson. Tuttavia, manipolare strategicamente gli elementi fondamentali della governance politica per spingerla a schiantarsi verso un iceberg gestionale può essere anche un elemento di una strategia complessiva per destabilizzare un sistema-Paese.
Complessità, infodemia e destabilizzazione politica
Sovraccaricare le strutture governative con dati contraddittori o superflui, creare ostacoli e conflittualità strumentali, diminuire la capacità del governo di assumere decisioni condivise dai cittadini indebolendo le strutture di leadership, ridurre la qualità delle informazioni in modo che i decisori operino sulla base di datiinaffidabili o incompleti assumendo così scelte sbagliate, sono solo alcuni esempi di come potrebbe essere possibile spingere il sistema verso il punto di paralisi.
Una volta arrivati lì, tornare indietro diventa quasi impossibile, e non rimane altro che assistere oramai inermi al collasso che si manifesta in perdita di legittimità delle istituzioni, recessione economica, disordini civili e, all’estremo, disgregazione di uno Stato.
In questa prospettiva, combattere l’infodemia nel settore pubblico è, come si usa dire di questi tempi, non solo una necessità di migliorare l’efficienza della macchina pubblica ma una “sfida esistenziale”. Sfida che, però, i pubblici poteri —novelli Don Ferrante— non riconoscono o dalla quale —come i nobili festaioli della Maschera della morte rossa di Poe— ritengono illusoriamente di potersi proteggere. Ma così facendo consentono all’infodemia di continuare a propagarsi dovunque fino, come detto, a causare danni irreversibili.
Conclusioni
Dunque, mentre parlamenti ed entità a-nazionali come la UE si preoccupavano di proteggere la nostra “libertà di autodeterminazione” impedendo la diffusione di contenuti “impropri” (anche se non illeciti) o, per dirla, in un altro modo, mettendoci il bavaglio con la scusa di metterci il bavaglino, non sembrano essersi accorti che sono da tempo vittime dello stesso male che pretendono di estirpare dai cittadini e che l’ossessione per decidere cosa siano bugie e cosa sia il vero, ha finito per far perdere loro la capacità di distinguere le une dall’altro.
Rimane solo da capire quanto siamo lontani dal punto di paralisi e quando (quando, non se) lo raggiungeremo.
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