di Andrea Monti – WebMarketing Tools n.3-98
Mentre da una parte accreditati studiosi – già protagonisti di pregevoli monografie su tutto lo scibile giuridico, dalle assemblee di condominio al diritto societario – parlano ora di giuritecnica, di banche dati, di firma digitale e delle norme sulla system security, dall’altra, ad esempio, imprenditori subiscono il sequestro dell’intero web-server perché il magistrato non ha capito che i file possono essere duplicati, o perché – è accaduto – l’Ispettore non ha voglia di mettere in valigia un masterizzatore.
Così vengono pregiudicati non solo i diritti dell’indagato (innocente fino a prova contraria) che viene privato di un importante – e neutro – strumento di lavoro, ma anche quelli delle aziende, incolpevoli condomini in un albergo elettronico – il disco fisso di un server – che si vedono di punto in bianco cancellate dalla Rete e infine quelli degli utenti la cui libertà di comunicazione subisce un drastico quanto inaccettabile costringimento.
Fra questi due estremi il nulla… o quasi.
Legiferare sul mondo dei sogni
E’ colpa (rubando le parole a Carlos Castaneda) di una realtà separata che mal si presta al confronto con becere categorie giuridiche coperte di muffa?
Qualcuno lo afferma, magnificando le sorti di improbabili metaterritori regolati da – absit inuria verbis – norme valide solo in una immaginaria virtualità.
Io non lo credo e per diversi ordini di motivi.
In primo luogo per una convinzione filosofica: se è vero che non si devono creare nuovi concetti a meno che non sia assolutamente necessario, allora prima di invocare un diritto nuovo bisognerebbe vedere se – e se si fino a che punto – ciò che abbiamo è sufficiente a risolvere i problemi attuali.
In secondo luogo per ragioni di fatto altrettanto concrete delle precedenti: l’esperienza (pur recente) ha dimostrato che la legge vigente può essere applicata. Sicuramente ci sono delle zone d’ombra, delle norme che probabilmente dovranno essere interpretate, ritoccate o abrogate, ma ciò che conta – ora – è superare la confusione che domina la Rete.
Quando manca una percezione chiara di un fenomeno, ben difficilmente si riuscirà a capire come, ma soprattutto se, regolarlo; diversamente – ed è quello che fa il legislatore italiano – si procede a tentoni causando effetti devastanti sia per i diritti del cittadino che per il mondo produttivo.
Guardare gli alberi e non vedere la foresta
In questo senso uno degli equivoci da chiarire (o dei miti da sfatare, a seconda dei punti di vista) è la nozione stessa che comunemente si ha dell’Internet: l’Internet – perlomeno il gran calderone nel quale si cerca di amalgamare tutto e il contrario di tutto – non esiste.
Esistono invece singoli strumenti come e-mail, chat o web, ognuno dotato di caratteristiche peculiari ma tutti accomunati dall’essere inesauribile fonte di interazioni fra soggetti.
Queste ipotesi suggeriscono alcuni sviluppi di un certo interesse, in particolare per quanto riguarda l’impostazione dei problemi afferenti a quello che – riduttivamente – viene classificato “commercio elettronico”.
E’ abbastanza singolare infatti che la stragrande maggioranza dei progetti tecnici e delle riflessioni giuridiche si occupino della sicurezza dei sistemi di pagamento, a scapito di uno studio serio sulla dinamica della formazione della volontà (anche ma non solo) contrattuale nella comunicazione elettronica interattiva, dal momento che, per esempio, a nulla servirebbe la più garantita delle transazioni se riferita a rapporti giuridicamente non validi.
Brevemente: la questione va affrontata sotto il profilo della forma prevista dalla legge per il compimento di certi atti e quello della corretta formazione della volontà.
Formalizzare la volontà
Alcuni atti (tipicamente l’acquisto di beni immobili) per essere validi richiedono necessariamente il ricorso alla forma scritta e a volte anche l’intervento del notaio mentre per altri non sono previsti particolari forme di documentazione. Siccome gli atti del primo tipo non possono evidentemente essere compiuti mediante la Rete questo ne limita fortemente gli impieghi su larga scala. La soluzione a questo problema – dicono molti – starebbe nella legalizzazione della firma digitale.
Permettetemi di essere scettico.
E’ vero che con l’emanando regolamento attuativo della legge Bassanini (posto che non si incagli nelle sabbie mobili della burocrazia) sarà possibile superare questo limite, ma il rischio serio è che – visti i precedenti – alla semplificazione cartacea corrisponda una farraginosa e contraddittoria applicazione concreta.
Quanto alla formazione dell’accordo telematico le questioni attengono fondamentalmente all’identificazione o meglio all’identificabilità degli interlocutori: senza meccanismi tecnici e giuridici per l’autenticazione nessuna interazione può raggiungere un livello di tale stabilità da consolidarsi in un rapporto avente forza di legge.
Potrei andare avanti per pagine e pagine su argomenti di questo tipo, ma, a prescindere da soluzioni più o meno condivisibili del caso concreto, non si giungerebbe a nulla se non – forse – a creare più problemi di quanti se ne potrebbero risolvere.
La legge dell’agire quotidiano
Il punto è che scegliere la strada dell’ipertrofia normativa serve soltanto a creare nuove pastoie in settori dove ce ne sono già di inutili, con il risultato pratico che le regole non verranno prese in alcuna considerazione.
Per convincersene basta riflettere sul fatto che ogni giorno chiunque pone in essere decine di atti giuridicamente rilevanti, dall’uso di un telefono all’acquisto di un biglietto aereo, senza minimamente pensare di formalizzare queste situazioni in contratti dettagliati.
Per un altro verso, difficilmente i complessi meccanismi che entrano in gioco in una transazione (anche di un certo livello) ricevono la dovuta attenzione cosciente e ciò a prescindere dalla natura della stessa. Basta pensare a come viene gestito – in concreto – un rapporto di conto corrente bancario: disposizioni di accredito effettuate via telefono, assegni “tenuti in caldo”, gestione degli scoperti di conto… nulla di tutto ciò figura nel contratto ma viene gestito in virtù del rapporto personale con l’istituto.
Persino un fatto assolutamente banale come l’acquisto di un gelato potrebbe generare problemi enormi, ma ciononostante nessuno, credo, ha mai richiesto al pasticcere una garanzia scritta che il prodotto non è infetto da salmonella.
Tutti processi in background che balzano oltre la soglia dell’attenzione se qualcosa non va per il verso giusto, cioè quando viene meno quel rapporto inespresso ma concreto di affidamento reciproco che lega le parti di un accordo.
A legittimare una transazione bastano le certificazioni preventivamente imposte dalla legge integrate con un elemento altrettanto se non più importante: la reputazione che l’imprenditore si è creato giorno dopo giorno con la costante presenza sul mercato.
Fantascienza? No tutt’altro, semplice applicazione di concetti già ampiamente sperimentati nel corso di millenni di storia umana; del resto non è un mistero che affari di miliardi siano spesso affidati alla “semplice” stretta di mano piuttosto che a sofisticate operazioni di ingegneria contrattuale, proprio sul presupposto che – conoscendo l’ambiente – si sa di chi ci si può fidare.
Dalla comunicazione vis à vis a quella elettronica
I meccanismi descritti funzionano allo stesso modo anche quando si decide di interagire utilizzando la Rete, anzi vengono esaltati proprio dalla possibilità di entrare in contatto con persone di altri paesi.
Se questo è vero allora è abbastanza agevole individuare quale sia il nodo da sciogliere nella comunicazione elettronica interattiva: stabilire un criterio per mettere due interlocutori nelle condizioni di sopperire alla mancanza di quei processi direi quasi inconsci che sono la base sulla quale poggia il comportamento di ciascuno o, detta in giuridichese, il presupposto per individuare alternative agli elementi fattuali che concorrono alla corretta e valida formazione del consenso anche sotto un profilo giuridico.
Un esempio pratico: difficilmente l’utente kenyota che acquista un prodotto tramite la Rete, utilizzerà il diritto di recesso previsto dalla normativa italiana in caso di contestazioni sulla qualità del bene e non per questioni di diritto internazionale legate ad esempio alla difficoltà di individuare la legge applicabile.
Molto più semplicemente non accadrà perché egli si sentirà truffato due volte: la prima perché il prodotto non era rispondente ai propri desiderata e al seconda perché – dietro una facciata di rigorosa osservanza della legge – in concreto è privo di tutela visto che per ottenere giustizia dovrebbe spendere risorse (e non solo economiche) nettamente sovradimensionate rispetto al valore della controversia. Morale: il navigatore non tornerà più su quel sito e consiglierà a chiunque di fare lo stesso, e tutto ciò con buona pace dei quintali di pagine HTML dedicate a disclaimer, clausole, warning, che giuridicamente risultano ineccepibili.
Buttare a mare i codici?
Ovviamente questo non significa che ci si deva privare di un supporto legale, ma più semplicemente che il ricorso concreto ad una formula contrattuale “blindata” dovrebbe essere riservato solo a casi di estrema gravità, affidando la gestione della normale amministrazione più al sano buonsenso che ad un Avvoltoio togato. D’altra parte chiunque avverte la differenza fra acquistare libri e armare una flotta di petroliere.
Soluzioni ce ne sono diverse, dall’operare all’interno di un gruppo che in qualche modo faccia da trusted-party (facendo attenzione che con questo concetto non si vuole intendere necessariamente un interlocutore istituzionale tipo banca, mall o autorità di certificazione) al costruirsi una forte credibilità basata sul superamento di rigidi schematismi normativi, privilegiando appunto la creazione di una condizione di fiducia reciproca.
Poi ci sono i problemi giuridici causati dagli aspetti tecnici, come i limiti della responsabilità del provider, o la validità di un messaggio di posta elettronica… importanti, per carità, ma legati a tecnologie che possono sparire in un batter d’occhio, e quindi molto meno strategici di quanto si possa pensare.
Ecco perché sono molto perplesso – vorrei dire preoccupato – per la piega che sta prendendo la produzione normativa autoctona sempre più appesantita da bizantinismi e inutilmente diretta a regolare il mezzo (l’informatica) invece dei comportamenti.
Epilogo
Povero Diogene, se vivesse ai tempi nostri altro che lanterna!
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