La proposta del ministro Boccia di istituire un corpo di “guardie civili anti-Covid” pone problemi di tenuta istituzionale, comunque la si voglia attuare. L’intervento di Andrea Monti, professore incaricato di Diritto dell’ordine e sicurezza pubblica, Università di Chieti-Pescara orginariamente pubblicato da Formiche.net
Il ministro Boccia ha proposto di istituire un corpo di sessantamila “guardie civili anti-Covd” per eseguire controlli sul rispetto delle prescrizioni in materia di misure anticontenimento e da reclutare fra i percettori di reddito di cittadinanza e cassintegrati. Il fatto che la proposta sia stata immediatamente ridimensionata, e che sia stato dichiarato che l’appartenente a questo corpo non si chiamerà “guardia” ma “assistente” che non avrà nemmeno lo status di incaricato di pubblico servizio e dunque che sarà privo di poteri coercitivi non sono però sufficienti a fugare le perplessità sull’iniziativa.
Innanzitutto, in una prospettiva di sistema, trattandosi di un corpo che si vorrebbe far dipendere dalla Protezione Civile, si creerebbe di fatto un “esercito del presidente del Consiglio”. E poco importa che gli appartenenti non abbiano gradi e divise ma “solo” pettorine. Sarebbero una forza consistente, organizzata e che si mobilita solo su indicazione del capo dell’esecutivo. Se poi si considera che l’idea è quella di istituire un corpo delle dimensioni sostanzialmente pari a quelle della Guardia di finanza (circa 62mila unità nel 2018) ci si dovrebbe rendere conto che questo significherebbe creare una struttura capillare e dotata di una forza d’urto consistente.
Sempre in termini di sistema, dovrebbe poi far riflettere l’estensione del potere attribuito – e acquisito – dalla Protezione civile che decide in autonomia di dotarsi di un apparato di controllo non più del territorio ma delle persone (compito riservato ex lege al ministro degli Interni e alla magistratura).
Terzo elemento da considerare è quello della preparazione: gli appartenenti alle forze di pubblica sicurezza ricevono una formazione iniziale di svariati mesi (anni, nel caso dei funzionari) e sono inseriti in strutture organizzate che, pur con molti distinguo, assicurano coerenza nella formazione e nell’esecuzione dei compiti di prevenzione criminale e controllo dell’ordine pubblico. Nel caso delle guardie, pardon, degli assistenti civili questo non accade. E d’altra parte, se non devono avere compiti di polizia di sicurezza a cosa servirebbe formarle quantomeno al livello della polizia locale? Il pericolo concreto è quello dell’attribuzione di poteri – se non di diritto, sicuramente di fatto – a persone non preparate e il cui operato accentua il pericolo di “interpretazioni soggettive” delle norme e dei propri compiti.
Il paragone fra gli assistenti civili e la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, istituita da Mussolini con il regio decreto-legge il 14 gennaio 1923, n. 31 viene spontaneo. È vero che gli “assistenti civili” non sono certo le camicie nere. Ma il fatto che la Milizia nascesse per concorrere al mantenimento dell’ordine pubblico e gli assistenti sono stati inizialmente presentati come necessari per contrastare gli assembramenti da movida crea un legame concettuale fra le due epoche in rapporto alla concezione stessa di pubblica sicurezza che, ancora oggi, si caratterizza per un’anacronistica visione “muscolare”.
L’aspetto (apparentemente) paradossale è che questa proposta arriva dall’ambiente politico e non, come qualcuno avrebbe sperato, dalla Polizia di Stato che al contrario, per bocca del suo capo, ha manifestato un approccio alle attività di controllo basato sulla ragionevolezza e sul dialogo piuttosto che sull’esercizio cieco dell’autorità.
Una delle tante lezioni che si possono imparare dagli effetti della pandemia è che una pubblica sicurezza moderna non può essere basata esclusivamente sulla prevenzione repressiva, ma sulla costruzione di un dialogo fra cittadini e operatori in divisa. E sottolineo “in divisa” perché – ed è un altro problema causato da una scarsa dimestichezza con l’argomento – annacquare il ruolo delle forze di polizia confondendolo con quello di soggetti in pettorina è un errore molto grave.
In sintesi: la proposta di creare un “esercito del presidente” come risposta alla necessità di “disciplinare” cittadini “disobbedienti” è il segno che non è più rinviabile una riflessione seria su cosa voglia dire “pubblica sicurezza” in Italia e, dall’altro, che il processo di accentramento di poteri nelle mani della Presidenza del Consiglio dei ministri procede – pur con alti e bassi – innarrestabile.
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