In National Security in the New World Order ho sistematizzato gli aspetti critici del modo in cui la sicurezza nazionale viene invocata (anche a sproposito) per giustificare scelte compiute in nome della macht politik ma presentate orwellianamente con un lessico tranquillizzante (così, per esempio, la guerra diventa uno strumento di pace) e dunque molto più minaccioso Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech – La Repubblica
Fra le tante cause di questo fenomeno c’è senz’altro la sostanziale perdita di controllo da parte degli Stati su un elemento centrale di qualsiasi apparato di difesa: la sovranità tecnologica, oramai saldamente in mano a un comparto industriale che negozia da pari a pari anche con gli Stati più potenti, o che — ad altre latitudini — ne è espressione diretta. La competizione internazionale per l’IA è solo l’ultimo degli esempi di questo stato di fatto.
Con molto ritardo la UE e l’Italia si stanno ponendo il problema di come riprendere il controllo di una macchina industriale che è sfuggita al controllo e ora funziona secondo logiche (largamente) autonome da quelle politiche, se non addirittura condizionandole.
In un contesto del genere, e con la speranza di aprire un dibattito pubblico su questi argomenti, possiamo individuare cinque temi meritevoli di analisi che aiutano a capire il contesto nel quale ci troviamo.
Big Tech negozia da pari a pari con i governi
Innanzi tutto, bisogna essere chiari su un fatto: Big Tech è diventata un attore potente e di primissimo piano nel campo della sicurezza nazionale. Queste aziende controllano transnazionalmente le infrastrutture critiche e i flussi di informazioni degli Stati, il che conferisce loro un’influenza significativa sia sulle vite dei cittadini che sulle funzioni pubbliche. In quanto entità multinazionali, il loro modus operandi spesso trascende i confini nazionali e mette in crisi le nozioni tradizionali di sovranità e giurisdizione.
La “società dell’informazione” è un colosso dai piedi d’argilla
Una società tecnologica costruita su fondamenta sabbiose e traballanti — fuor di metafora, apparati e sistemi strutturalmente difettosi, incompatibili e soggetti a obsolescenza programmata — ha messo in discussione la possibilità stessa di raggiungere un livello di sicurezza accettabile nel rispetto delle prerogative individuali.
L’equalizzazione tecnologica ha portato alla compressione dei diritti
La tecnologia ha trasformato radicalmente la pratica della sicurezza nazionale, creando strumenti efficaci facilmente accessibili anche ad attori non statali — siano essi gruppi terroristici, o soggetti che rappresentano minacce interne.
Per quanto le risorse (messe a disposizioni dai poteri privati) degli Stati siano enormi, il conflitto asimmetrico è meno squilibrato di quando ad archi e frecce delle popolazioni autoctone si rispondeva con artiglieria pesante e armi chimiche.
Questa riduzione del divario tecnologico fra poteri statali e possibilità di autoorganizzazione degli individui crea una instabilità che rende sempre più difficile bilanciare il controllo sociale per finalità di sicurezza con il rispetto dei diritti individuali.
La sicurezza nazionale è sicurezza dei cittadini o sicurezza dello Stato?
La tensione tra sicurezza dello Stato e sicurezza individuale è un tema ricorrente nel dibattito sulla sicurezza nazionale.
Sulla carta, è condivisa l’opinione che in un sistema democratico la tutela dello Stato non deve andare a scapito dei diritti fondamentali perché questo equilibrio è cruciale per mantenere il rule of law e prevenire l’uso improprio della sicurezza nazionale come giustificazione per un controllo sociale non sostenibile, finalizzato essenzialmente alla sopravvivenza dello Stato.
Nei fatti, le scelte politiche della UE, per esempio, stanno andando in una direzione contraria con l’invocazione del “Greater Good” come giustificazioni di scelte che spingono il concetto di prevenzione oltre un livello difficilmente accettabile.
La sicurezza nazionale non è (solo) un concetto politico
La sfida che gli Stati non hanno interesse a raccogliere è fare in modo che la sicurezza nazionale sia chiaramente definita e integrata nel sistema giuridico, anziché essere trattata come una categoria puramente politica.
Questa integrazione promuoverebbe la trasparenza e la responsabilità, garantendo che le misure di sicurezza nazionale siano bilanciate con i diritti individuali e l’interesse pubblico. Dando alla sicurezza nazionale uno status giuridico, essa sarebbe sottoposta a un controllo giudiziario e a una migliore tutela dei principi democratici.
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