Interlex n.ro 284 – di Andrea Monti
Se non ci sono garanzie di rispondenza all’originale e di riferibilità temporale, la stampa su carta di una pagina web non può avere il valore di una prova. Così, in sintesi, la Corte di cassazione (sezione lavoro, sentenza n. 2912/04 del 2 dicembre 2003) si è pronunciata incidentalmente su su un tema di notevole importanza nel processo civile e penale: il valore probatorio di una pagina web e la sua rilevanza processuale. Sempre più spesso, infatti, stampe di contenuti on line, riproduzioni cartacee e quant’altro costituiscono elementi essenziali dei teoremi accusatori o difensivi delle parti e non è sempre chiaro se e in quali termini sia possibile riconoscere un qualche valore alla riproduzione fisica di un file.
A questa necessità risponde appunto la sentenza commentata, stabilendo che
Si deve soltanto evidenziare che non è corretto il richiamo dei principi relativi alla produzione in appello di documenti precostituiti, in relazione ad una pagina Web depositata dall’A. nel corso del giudizio di rinvio, poiché le informazioni tratte da una rete telematica sono per natura volatili e suscettibili di continua trasformazione e, a prescindere dalla ritualità della produzione, va esclusa la qualità di documento in una copia su supporto cartaceo che non risulti essere stata raccolta con garanzie di rispondenza all’originale e di riferibilità a un ben individuato momento.
Dunque, se da un lato la Corte ammette la possibilità teorica di qualificare “documento” una pagina web, anzi, meglio, le informazioni tratte da una rete telematica, dall’altro ne stabilisce – sinteticamente ma in termini molto chiari – i requisiti ontologici perché la copia possa tenere luogo dell’originale, producendo, così, gli effetti probatori di cui all’art. 2719 c.c.
L’applicazione della norma invocata ai contenuti telematici, tuttavia, non è così semplice per almeno tre ordini di motivi:
1. assenza, fra le tecniche di riproduzione del documento individuate dalla norma e ammesse analogicamente dalla giurisprudenza, della stampa da un computer;
2. difficoltà di individuazione e individuabilità dell’originale;
3. difficoltà di considerare il “pezzo di carta” come copia “fedele” di quanto visualizzato su un monitor, in assenza di “garanzia di rispondenza all’originale e di riferibilità a un ben individuato momento”.
Quanto alla prima questione, va considerato che l’art. 2719 c.c. disciplina il valore delle copie di scritture effettuate tramite la fotografia e, per pacifica estensione, tramite l’utilizzo di tecnologie fotostatiche e eliografiche. La ratio è evidente: attribuire valore a tecniche di riproduzione che, eseguendo la duplicazione “in un sol colpo”, escludono radicalmente qualsiasi intervento manipolatorio sul documento da copiare. E che quindi presentano un maggiore grado di fedeltà all’originale rispetto alle copie dattiloscritte, stampate o scritte a mano.
Ma, e veniamo al secondo punto, quando oggetto delle stampe è una serie di file, cioè di oggetti informatici che veicolano, in forma utilizzabile da un computer, dei contenuti rappresentabili ma, nel contempo, proteiformi, è difficile parlare di “originale” elettronico e di “copia” cartacea.
I file si compongono, infatti, di due elementi: il contenuto rappresentativo, cioè la “esplicitazione” della volontà del soggetto, e i parametri che consentono al computer di visualizzare il suddetto contenuto rappresentativo secondo le modalità prescelte dall’autore. In più, il terzo che accede al documento elettronico in questione può, a propria volta e in piena autonomia, modificare sia il contenuto rappresentativo del documento, sia – intervenendo sul programma per elaboratore che lo legge – la modalità di visualizzazione. E’ quindi possibile – senza voler scomodare la distinzione kantiana fra noumeno e fenomeno – avere una pluralità di versioni che rappresentano, ciascuna in modo differente, lo stesso documento elettronico.
Viene così meno la “consacrazione”, a opera della tecnologia fotostatica, del rapporto inscindibile fra originale e copia posta a base dell’art. 2719 c.c.
E’ evidente che – date queste premesse – il documento elettronico in sé non può avere valore. E che non può essere considerato “originale” dal quale estrarre una copia cartacea rilevante ai sensi dell’art. 2719 c.c.
Questo è particolarmente vero per le pagine HTML, che possono essere visualizzate con diverse modalità che prescindono del tutto dalla volontà dell’autore dei contenuti. Come è noto, i browser possono essere personalizzati da chi li usa in modo da escludere la visualizzazione di eventuali immagini, delle sottolineature o delle animazioni, oppure cambiando tipo e dimensione dei caratteri tipografici. Circostanze non irrilevanti, ad esempio, nei casi di plagio o diffamazione on line.
Ma non basta, perché c’è il terzo punto, essenziale anche se non espressamente affrontato nella decisione della suprema Corte: le copie fotografiche di scritture, secondo il citato art. 2719 c.c., hanno la stessa efficacia delle autentiche “se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”.
Tralasciamo in questa sede le questioni relative al valore probatorio “fino a querela di falso” del documento informatico con firma elettronica qualificata (previsione introdotta dal DLgs 10/02 e contestata da più parti – vedi i due interventi di Gianni Buonomo Lo schema governativo stravolge il processo civile e Il magistrato: scritto e trascritto, ma non sottoscritto), perché stiamo parlando di una copia cartacea.
Basta ricordare che l’art. 20, comma 1, del DPR 445/2000 stabilisce che “I duplicati, le copie, gli estratti del documento informatico, anche se riprodotti su diversi tipi di supporto, sono validi a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizioni del presente testo unico”. Aggiunge il comma 3: “Le copie su supporto informatico di documenti, formati in origine su supporto cartaceo o, comunque, non informatico, sostituiscono, ad ogni effetto di legge, gli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale è autenticata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, con dichiarazione allegata al documento informatico e asseverata secondo le regole tecniche di cui all’articolo 8, comma 2”.
Queste disposizioni si raccordano con il primo comma dell’art. 18: “Le copie autentiche, totali o parziali, di atti e documenti possono essere ottenute con qualsiasi procedimento che dia garanzia della riproduzione fedele e duratura dell’atto o documento. Esse possono essere validamente prodotte in luogo degli originali”.
Breve: in assenza di una autenticazione che attesti la rispondenza all’originale (e in un dato momento, nel caso di una pagina web), la copia cartacea di un originale informatico non può avere il valore probatorio della riproduzione fotografica autenticata di un documento cartaceo.
Possibly Related Posts:
- Dentro il G-Cans
- Chatbot troppo umani, i rischi che corriamo
- Qual è il significato geopolitico del sistema operativo Huawei Harmony OS Next
- TeamLab Planets: da Tokyo la fuga verso i mondi della mente
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?