La nuova legge sul diritto d’autore: nuovi freni per l’Open Source italiano

Linux&Co n.ro 9

di Andrea Monti

Approvata un attimo prima delle ferie parlamentari (il 26 luglio scorso) la nuova legge sul diritto d’autore (http://www.andreamonti.net/lex/s1496.htm) si presenta come una specie di patchwork, nel quale ciascuna lobby “ha messo del proprio”.
Così, l’industria dell’audiovisivo ha ottenuto maggiore protezione per i servizi ad accesso condizionato (pay-TV, in italiano) mentre quella del software ha raggiunto lo scopo di sostituire lo “scopo di lucro” con quello di “profitto” nell’art.171 bis (quello che punisce la duplicazione abusiva di software) annullando di fatto la preziosa opera interpretativa della giurisprudenza di molti tribunali (vedi la recentissima sentenza del tribunale di Torino ), che avevano trovato il modo di punire chi effettivamente “trafficava” in warez, evitando guai a chi commetteva al più un illecito civile. 
C’è anche da rilevare – magra consolazione – che la legge, contro la volontà delle software house, ha imposto anche per i programmi l’obbligo di apposizione del bollino SIAE sui supporti destinati alla commercializzazione, anche se non si è iscritti alla Società Italiana degli Autori ed Editori, imponendo anche ai grandi produttori oneri burocratici e maggiori costi (sicuramente “trasferiti” sul prezzo pagato dall’utente finale). Il tutto con la scusa di avere uno strumento veloce e sicuro per distinguere l’originale dalla copia.

In realtà la legge dice anche qualcosa di più: ai fini dell’applicazione della legge penale (duplicazione abusiva) il “bollino” è considerato segno distintivo di opera dell’ingegno (come a dire: tutto quello che non il bollino è fuori legge o si presume tale). 
Non basta. Fra le altre “novità”, cito a memoria, c’è l’obbligo per chi “tratta” opere protette da diritto d’autore (software e applicazioni anche multimediali), di iscriversi in un apposito registro presso la questura, rinnovando l’iscrizione ogni anno.
Questo obbligo non vale soltanto per chi sviluppa software, ma anche per chi lo distribuisce. Inutile dire, che questo implica il potere dell’Autorità Giudiziaria di effettuare controlli per verificare se uno sviluppatore o un distributore sia o no iscritto nella lista in questione. 
Oppure c’è quella che istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un inquietante “Comitato per la tutela della proprietà inteletuale”, che fra gli svariati (ed ampi) poteri, ha quello di suggerire iniziative contro la “pirateria”, svolgere indagini, richiedere documenti e informazioni a soggetti pubblici e privati, e creare un enorme database nel quale confluiranno tutte le informazioni raccolte. Dimenticavo, di questo Comitato deve fare necessariamente parte anche un esponente SIAE. 

I contenuti inutilmente vessatori e nient’affatto protettivi dei diritti degli autori (simulacri evanescenti che in realtà costituiscono il mezzo tramite il quale si proteggono gli interessi economici di una ristretta e precisa categoria di soggetti economici – le major dell’audiovisivo e del software) erano già stati segnalati oltre un anno fa da ALCEI e ribaditi, ironia della sorte, proprio in prossimità dell’approvazione della legge con un altro comunicato. Purtroppo senza alcun risultato e nel silenzio anche di quegli esponenti politici che in altri momenti non hanno perso occasione per “farsi belli” parlando di “cose della rete”.

Veniamo ora alle applicazioni della legge al freeware.
Questione “bollino” SIAE. Interpretando restrittivamente la norma, anche se il software viene distribuito gratuitamente perché – ad esempio – quello che viene pagato è il servizio di assistenza o manutenzione, l’obbligo di apposizione del contrassegno sussiste comunque. Perché vale per tutti i programmi destinati ad essere posti comunque in commercio o ceduti in uso a qualunque titolo a fine di lucro. In altri termini, dato che la cessione (anche gratuita) del software è destinata a produrre un guadagno, allora ci vuole il bollino. Stessa musica per i CD allegati a riviste, libri assimilati.
C’è però da dire – ma la legge non sa nemmeno dove stia di casa l’Open Source – che in realtà i software freeware non avrebbero alcun bisogno del bollino perché le varie licenze OS prevedono espressamente la libera distribuzione e riproducibilità dei programmi. Per cui non ha alcun senso preoccuparsi della differenza fra copia e originale o del numero di copie installate. 

Altro problema aperto riguarda la diffusione online dei software (anche) liberi: l’impiego dell’internet rende di fatto inapplicabile l’obbligo di apposizione del bollino anche se non è escluso che in sede di applicazione la SIAE non stabilisca qualcosa in proposito. 

Ma gli aspetti più preoccupanti arrivano dall’avere sanzionato penalmente, ad esempio, lo sviluppo di applicazioni che rimuovono o aggirano le protezioni software o decodificano dati criptati. Intendiamoci, qui nessuno sta sostenendo il diritto di craccare programmi proprietari o di fare i “portoghesi” alle partite di calcio trasmesse in pay-TV. 
Ma è anche vero che nessuno dovrebbe vietare a chiunque di “smontare” un sistema, capirne il funzionamento e condividere le proprie conoscenze con gli altri. Sarebbe come dire – se mi passate il paragone irriverente – che si rischia la prigione per avere imparato a cambiare la marmitta al motorino. Se poi qualcuno utilizza questi strumenti per scopi illeciti allora è giusto che venga punito, ma non è certo corretto criminalizzare aprioristicamente un’intera filosofia di sviluppo del software. 

Potrebbe non passare molto tempo prima di vedere anche da noi qualche azione giudiziaria analoga a quella attualmente in piedi per la vicenda dello sviluppo di un player DVD sotto Linux che ha portato uno sviluppatore svedese sotto processo per avere – non sanno bene come – aggirato il sistema CSS (Content Scrambling System) che protegge appunto i DVD. Insomma, siamo di fronte ad una legge nata decrepita e chiaramente non in linea con i reali problemi che la proprietà intellettuale si trova a dover affrontare quando si rapporta con le nuove tecnologie. 
Una legge – è evidente – che interpreta il diritto d’autore in un solo senso, quello della protezione degli interessi di lobby e non anche in favore di chi le opere le crea veramente.

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