Un articolo pubblicato da The Economist si inserisce autorevolmente nel filone di chi sostiene la “monetarizzazione” dei dati personali ripetendo mantra immaginifici (ma rozzamente vuoti) come “i dati sono il nuovo oro” oppure “i dati sono il nuovo petrolio”.
Esplicito il sottotitolo:
We Need to Own Our Data as a Human Right?—?And Be Compensated for It
Benchè semplice da comunicare e ancora più semplice da capire per chi cerca a tutti i costi di monetizzare qualsiasi cosa (dai produttori di elettronica, ai fornitori di servizi, ai “visionari” in cerca di consulenze e visibilità anche accademica) la questione del valore dei dati è molto più complessa e non si riduce alla miserabile questione del “quanti centesimi vale un account di posta elettronica”.
Ne ho parlato estesamente in Protecting Personal Information, un libro che uscirà fra qualche mese, scritto insieme al prof. Raymond Wacks, e da quelle pagine riporto una considerazione tanto banale quanto non percepita: i diritti fondamentali non sono in vendita. Ridurli, come fanno (ma solo da ultimo) The Economist e tutti gli altri “esperti” di “privacy” significa negare in radice la natura di questo diritto.
Non più dunque, un diritto fondamentale della persona, ma uno dei tanti oggetti (passatemi il gioco di parole) oggetto di compravendita.
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