La scelta della UE di utilizzare i contatori “smart” per razionare l’energia dimostra che non era difficile prevedere che l’IoT sarebbe stata un elemento centrale nella applicazione delle scelte politiche degli esecutivi di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech
A prescindere dal merito specifico della questione, tuttavia, il tema di portata più generale è che questa scelta segna il primo passo concreto verso un governo tecnologicamente mediato.
Già la famigerata app IO – lanciata ai tempi del Covid – aveva manifestato le prime avvisaglie. Chi, come il sottoscritto, la ha installata non riceve soltanto comunicazioni ufficiali sulle scadenze di tasse e adempimenti, ma anche inviti ad eseguire donazioni (e dunque, potenzialmente, messaggi di altri tipo) non richiesti né autorizzati. A che titolo chi controlla (ma chi è che controlla?) il funzionamento di IO ha assunto una decisione del genere?
Ovviamente la rilevanza della risposta va molto oltre il semplice fatto dell’invio di messaggi non richiesti perché pone il problema che Alan Cooper già evidenziò con larghissimo anticipo in The Inmates are Running the Asylum (tradotto – da me – anche in Italiano ma non più disponibile nel catalogo di Apogeo-Feltrinelli): quello della catena di comando nelle decisioni che coinvolgono l’uso della tecnologia.
Se, tornando al punto, verrà confermato che i contatori “smart” saranno utilizzati come sembrerebbe, la transizione verso un controllo tecnologico della vita di ciascuno di noi sarebbe irreversibile. Una volta fissato un paletto “in nome dell’emergenza” nulla vieta di spostarlo sempre più oltre e, fuor di metafora, di applicare metodo e strumenti anche a situazioni di emergenza dichiarata a tavolino.
Affrontare questo tema con le classiche e stantie categorie della “tutela della privacy” e del “controllo di massa” significherebbe dotarsi di un’arma concettuale spuntata. Per esempio, ci sarebbe da chiedersi che fine hanno fatto gli strenui e zelanti difensori della privacy che durante il picco pandemico hanno contribuito al fallimento del contact-tracing. Se vale lo stesso principio, anche i contatori – e in generale l’IoT – non dovrebbero essere utilizzabili per scopi politici, a prescindere dalla criticità della condizione nella quale si trova il Paese.
Possiamo alimentare il ciclo continuo delle lamentazioni sulla “violazione della privacy”, ma ci sono dei fatti che non possono essere discussi e sui quali è (oramai) inutile discutere.
Il primo è che l’industria tecnologica ha già deciso che IoT deve essere un prodotto di massa. Anche in questo caso, l’esistenza e l’estensione dei diritti individuali non è determinata dal dibattito pubblico ma dalle scelte industriale assunte al di fuori dei confini nazionali. Il secondo è che le persone sono anestetizzate alle conseguenze della vita iperconessa e, anzi, la desiderano. Ci sarebbe da chiedersi il perché di una cosa del genere e interrogarsi sugli effetti del voler vivere a tutti i costi in un film di fantascienza con le macchine che rispondono ai comandi del loro “signore”, ma non è argomento di questo articolo.
Il terzo, è che se uno strumento tecnologico è disponibile, il governo ha il dovere di utilizzarlo per raggiungere i propri obiettivi politici. È gia successo e continua a succedere con i dati di traffico telematico che gli Internet Provider sono costretti a raccogliere ed ammassare sulla base del Codice dei dati personali (si, quello sulla “privacy”) anche se la Corte UE ha dichiarato illegittimo l’obbligo.
Il problema, dunque, non è nel “se” ma nel “come” un esecutivo decide di esercitare il tecnocontrollo e di quali sono i rimedi effettivamente utilizzabili dal cittadino per reagire in caso di abusi istituzionali.
Ancora una volta, l’esperienza del COVID è illuminante. La Corea del Sud e Taiwan hanno utilizzato in modo massiccio le tecnologie di sorveglianza senza per questo provocare derive antidemocratiche. L’Italia, con la questione del rifiuto di rendere pubblici i verbali del “comitato tecnico scientifico” ha dimostrato di avere un concetto “variabile” della nozione di trasparenza. Quindi l’equivalenza “sorveglianza=dittatura” non è sempre vera. Al contrario, il tema
Come ho scritto in COVID-19 and public policy in the digital age : “Se i cittadini sono convinti che il governo gioca rispettando le regole e non cerca scorciatoie nel bilanciare l’interesse pubblico con i diritti individuali, di solito supera il test di responsabilità. La gente sarà più disposta a vivere in una società guidata dalla tecnologia e dai dati. La fiducia nella politica e nei politici è al minimo, e non è facile da stabilire o ricostruire. Mentre c’è del vero nell’aforisma di Verga – al giorno d’oggi per conoscere un uomo bisogna mangiare sette salme di sale – ma sette salme potrebbero non essere sufficienti quando si tratta di fidarsi dei politici.”
Possibly Related Posts:
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?
- Webscraping e Dataset AI: se il fine è di interesse pubblico non c’è violazione di copyright
- Perché Apple ha ritirato la causa contro la società israeliana dietro lo spyware Pegasus?
- Le sanzioni UE ad Apple e Google aprono un altro fronte nella guerra contro Big Tech (e incrinano quello interno)
- La rottura tra Stati e big tech non è mai stata così forte