di Andrea Monti – Nova-Ilsole24Oredel 27 agosto 2009
“Authentication of forensic DNA samples” è un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Forensic Science International: Genetics” da un gruppo di ricercatori israeliani. Gli autori dichiarano di avere trovato un metodo per creare dei campioni artificiali di DNA (e il sistema per distinguerli da quelli “originali”) e auspicano che la loro metodologia diventi un componente standard delle attività di investigazione per “mantenere l’alta credibilità della DNA evidence nel sistema giudiziario”.
Ma questa scoperta può realmente compromettere i processi (specie penali)? “Siamo sempre nel campo del poliziotto cattivo (o dell’inquinatore di prove) che ha messo del materiale biologico “falso” sulla scena del delitto” – dice Andrea Cocito, ricercatore dell’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano. E in effetti, quella della “prova genetica falsificata” è stata una delle strategie difensive che in USA, nel 1994, consentirono alla difesa di OJ Simpson di mettere in dubbio con successo la rilevanza della prova biologica (Simpson, infatti, non venne condannato per l’omicidio della sua ex moglie grazie all’incuria degli investigatori nella gestione dei campioni biologici, nonostante gli esami del DNA rinvenuto sulla scena del crimine fossero univoci nell’identificarlo). “Se” – continua Cocito – “un campione biologico è stato davvero trovato sulla scena del delitto, se non ce lo ha messo qualcuno ad arte, se non è deteriorato, allora dato un soggetto noto a cui posso fare un prelievo non esistono dubbi ragionevoli sull’esito dell’esame”. Quindi confrontando il campione del sospettato prelevato in condizioni controllate con quello incriminato è possibile verificare la probabilità della loro corrispondenza reciproca.
Il problema, allora, non è tanto l’intrinseca attendibilità scientifica di un elemento di prova basato su analisi genetiche, ma la robustezza della “catena di custodia” cioè la tracciabilità del percorso del campione dalla scena del crimine al processo. E’ evidente che se durante la strada ci sono delle fasi che sfuggono al “tracking” è possibile insinuare il dubbio che il DNA di partenza non sia quello di arrivo. In Italia, la legge 85/09 che istituisce il database nazionale del DNA a fini investigativi ha regolato molto superficialmente questo tema. Manca l’obbligo esplicito di garantire la catena di custodia dei campioni, ma soprattutto manca una norma che vieti l’uso nel processo di materiale biologico mal-trattato.
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