Originariamente pubblicato da Infosec.News
Riccardo Luna da conto su Repubblica.it delle parole di Ursula von der Leyen pronunciate nel discorso di apertura del Web Summit a Lisbona, che segnano la fine di una colossale ipocrisia, quella secondo la quale esisterebbero due mondi, un reale dove (più o meno) si applicano determinate regole e uno “virtuale” dove tutto è lecito.
In realtà non è mai stato così perché è sempre stato possibile applicare norme vigenti a comportamenti veicolati dalla rete. Un “vai a quel paese” rimane tale sia detto “in presenza”, sia “mandato a dire” via messenger. I problemi, semmai, riguardano il modo di fare le indagini, celebrare i processi e applicare le sanzioni. Mentre, tuttavia, nel corso degli anni siamo stati sommersi da un’ondata di norme ridondanti, inutili e mal scritte, poco o nulla è stato fatto per consentire a magistratura e forze dell’ordine di indagare efficacemente e alle vittime di ottenere giustizia. Per rendersene conto basta fare la domanda (scomoda) al Ministro delle giustizia pro tempore sul rapporto fra denunce che coinvolgono reti e computer, archiviazioni disposte per “impossibilità di continuare le indagini” e sentenze di condanna.
Questa dicotomia inesistente, costruita sull’ipocrisia politica del non voler adottare una scelta impopolare (sanzionare chi commette effettivamente le violazioni, cioè gli utenti) ha favorito la percezione di impunità sia da parte delle persone, sia dalle multinazionali tecnologiche che la hanno sfruttata per costruire modelli di business miliardari,
Le parole della Signora von der Leyen, dunque, segnano un giusto ritorno al passato: ognuno deve rispondere di quello che fa, a prescindere dallo strumento che usa. Ma, come detto, perché questo ritorno al passato sia efficace è necessario che cambi radicalmente il modo di gestire la giustizia, consentendo indagini a distanza, potenziando e semplificando gli accordi per la cooperazione (almeno) intracomunitaria, dettando regole chiare per la gestione condivisa della giustizia fra autorità e soggetti privati (non solo nella sicurezza nazionale, infatti, i soggetti privati, dagli ISP alle piattaforme) sono un elemento strutturale dell’attività investigativa.
Certo, è abbastanza difficile che questo possa accadere in un Paese dove la Corte di cassazione continua a sostenere che gli avvocati non possono inviare i propri atti penali via PEC, ma “in via eccezionale” qualche pandetta lo consente, dove le comunicazioni delle cancellerie eseguite (quelle sì) con lo stesso mezzo ma con una tagline che avvisa di non rispondere perché quella mailbox non è controllata, dove la digitalizzazione del processo penale annaspa sull’inefficiente “portale” per il deposito degli atti.
Chi ha provocato tutto questo?
Come sempre, e come insegna la pandemia, quando le responsabilità sono di tanti, nessuno è colpevole. Ma se non è possibile punire (duramente) i soggetti che hanno consentito di mantenere l’amministrazione della giustizia in una condizione borbonica, sarebbe almeno auspicabile che da questo momento “chi può” imponga una sterzata vigorosa e faccia in modo di eliminare una cultura burocratica che non è più accettabile.
Senza questa scelta coraggiosa, almeno in Italia, le parole della Signora von der Leyen subiranno la stessa sorte della famosa canzone di Bob Dylan: blowin’ in the wind.
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