Computer Programming n.ro 67 del 01-03-98
di Andrea Monti
Delle mail che – bontà vostra :) – ricevo con frequenza sempre maggiore, molte contengono richieste di informazioni sulla possibilità di brevettare i programmi…. L’interesse per questo tema assume concretezza sempre maggiore con il passare del tempo, visto che da più parti emergono le insufficienze della normativa vigente.
Come oramai sanno anche le pietre della strada, gli applicativi (e in certi casi anche le basi-dati a partire da quest’anno) sono protetti dalla legge 633-41. Si tratta di una scelta che ha causato più problemi di quanti ne abbia risolti, per via di una insufficienza concettuale del costrutto normativo che – originariamente concepito per le opere d’arte – mal si concilia con la natura “industriale” dei programmi. Tutto ciò ha infatti dato origine all’innesto nel tronco del diritto d’autore di un vero e proprio corpo estraneo.
Un esempio.
Acquisto una videocassetta che contiene la copia autorizzata di un film (con tanto di bollino SIAE ecc. ecc.); in linea di principio trattandosi di un supporto deperibile la cui qualità peggiora ad ogni riproduzione o che potrebbe danneggiarsi per i motivi più disparati, dovrei potermi fare la copia di riserva. Se ho pagato il dovuto e la cassetta diventa inutilizzabile per cause indipendenti dalla mia volontà – infatti – non è giusto riacquistarla e quindi pagare nuovamente per continuare ad esercitare un diritto già acquisito. A questo si aggiunge il fatto che sempre più spesso le videocassette sono realizzate con una tecnologia studiata per peggiorare la qualità delle copie (… per carità, nulla che non si possa bypassare, ma – almeno per i non addetti ai lavori – non è semplicissimo).
Acquisto un software licenziato e sono espressamente invitato dal produttore a realizzare il più in fretta possibile la copia di riserva anzi, secondo la legge, addirittura non mi si può vietare in alcun modo di fare il back-up; per di più se i supporti diventano illeggibili il produttore (pardon, l’autore) me li rispedisce… che dire?
Un’altra prova della difficoltà di costringere nei confini del diritto d’autore il composito insieme di problemi che ruotano attorno allo sviluppo di applicazioni informatiche sta nel constatare che la legge vigente opera un distinguo – circa la paternità dell’opera – fra il programmatore “libero professionista” (o sarebbe meglio chiamarlo “libero artista”?) e quello dipendente.
Nel primo caso non ci sono grossi problemi: chi sviluppa il programma ne è senza alcun dubbio l’autore e il titolare dei diritti morali e patrimoniali.
Quando invece il programma viene realizzato nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente, allora la paternità stessa dell’opera è sottratta al creatore e attribuita direttamente all’azienda, esattamente come accade nel caso di invenzioni industriali (del resto per convincersene basta guardare le domande di brevetto presentate dalle grandi aziende: sono loro a comparire in proprio…).
Per non parlare, poi, di quanto contrasta con il concetto di opera letteraria il fatto di dover prestare servizi di assistenza, manutenzione e upgrading dei programmi, o degli scottanti problemi connessi alla responsabilità per danni derivanti da software difettoso.
Dulcis in fundo gli algoritmi (compressi i diagrammi di flusso) non possono avere nessuna tutela nell’ambito del diritto d’autore.
A questo punto il dubbio circa la bontà della scelta operata dal legislatore comunitario prima e da quello italiano poi comincia – o dovrebbe cominciare – ad insinuarsi con forza sempre maggiore anche nei più granitici sostenitori del copyright approach come strumento per disciplinare il software.
Forse vale la pena di guardare più da vicino il microcosmo delle invenzioni.
Cos’è e come funziona un brevetto
Le invenzioni hanno un regime giuridico differente rispetto alle opera letterarie caratterizzato da regole ispirate a principi in certi casi diametralmente opposti.
Perché un “trovato” (così si dice nel gergo di chi si occupa di queste cose) possa essere considerato un’invenzione deve avere innanzi tutto il carattere della novità. Inoltre deve individuare un metodo per consentire il superamento di un ostacolo che – allo stato dell’arte – non era noto e, cosa fondamentale, deve essere tenuto segreto. Un aspetto da non dimenticare è che il brevetto – a differenza del diritto d’autore – tutela l’idea e non la forma espressiva.
La forma di protezione che la legge accorda alle invenzioni è appunto il brevetto, che è il mezzo attraverso il quale viene conferito a chi si dichiara inventore di un certo prodotto un monopolio temporaneo sulla produzione e sullo sfruttamento.
Esistono vari tipi di brevetto, ma ai fini che ci interessano è sufficiente indicare quello per invenzione (appena descritto), quello per modello di utilità industriale (cioè un procedimento che rende macchine o parti di macchine già esistenti utilizzabili più comodamente) e quello per le topografie dei semi conduttori (cioè la rappresentazione tridimensionale degli strati di cui è composto un semiconduttore).
Il meccanismo di operatività del brevetto è fortemente legato alla territorialità. In altre parole la tutela è attiva soltanto nei paesi cui l’inventore ha esteso la domanda: praticamente se brevetto un’idea in soltanto in Italia non posso impedire che qualcun’altro – in Corea – faccia esattamente la stessa cosa.
Come si ottiene
La procedura per ottenere la brevettazione di un’idea è – schematicamente – la seguente:
1. La ricerca di novità. Serve a sapere (con una certa approssimazione, come vedremo ) se qualcuno ha già brevettato un’idea uguale o analoga alla nostra. Si scempie tramite la consultazione di due banche-dati (quella dei brevetti nazionali e quella dei brevetti comunitari) entrambe accessibili solo nella sede romana dell’UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) che contengono non solo le informazioni sui brevetti italiani, ma anche quelle sulle estensioni richieste da altri paesi (in modo, come ho detto prima, da garantirsi anche in Italia). Ci sono due complicazioni rispetto a questa fase, una di ordine giuridico e l’altra di natura pratica. La prima è che l’ottenimento del brevetto non impedisce il sorgere di controversie promosse da chi afferma di essere il vero inventore del trovato (in altri termini la certificazione non ha nessun valore sostanziale circa la paternità dell’idea) la seconda è che l’aggiornamento delle due banche-dati è abbastanza lento e quindi non è possibile sapere esattamente se è possibile o no brevettare la nostra invenzione. A questo bisogna aggiungere che l’interrogazione di quei data-base non è il massimo dell’user-friendly. L’UIBM si trova a Roma in Via Molise 19, è aperto dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 13 e risponde allo 06-47053054 (tel) e allo 06-47887874 (fax). E’ possibile ottenere le copie della documentazione che interessa, pagando un tassa di 500 lire (in marche da bollo) ogni due pagine, oppure versando l’importo sul cc postale n.35596006 (c’è un ufficio postale di fronte alla sala di consultazione). Le copie autentiche sono in bollo da 20.000 lire ogni quattro pagine più spese di riproduzione. La ricezione delle copie via fax prevede un’aggiunta di 2.000 lire per pagina per l’Italia, 3.000 lire per l’Europa, 9.000 lire per le altre destinazioni.
2. Predisposizione e deposito della richiesta. La domanda di brevettazione è un atto molto articolato e composto da una descrizione tecnica dell’invenzione (con tanto di schemi tecnici) dalle rivendicazioni (cioè ) e dalle estensioni. Può essere predisposta direttamente dall’inventore (che quasi mai si imbarca in un’impresa così ardua), da un avvocato, da un ingegnere o da un mandatario iscritto in un apposito albo. Tutta questa documentazione – manco a dirlo dopo aver speso un bel po’ di soldi in marche da bollo, tasse, balzelli, imposte una tantum (schema 1) viene presentata presso l’Ufficio provinciale marchi e brevetti situato nelle Camere di commercio (schema 2). La domanda è sottoposta per legge ad un periodo di segretezza che dura 18 mesi. Si può rinunciare a questa opzione ma solo parzialmente, perché i primi 90 giorni servono alle autorità militari per verificare se l’invenzione può essere di un qualche interesse. Attenzione, nel caso in cui non si fosse certi se il prodotto rientra nella categoria delle invenzioni o dei modelli industriali, la legge consente di presentare contemporaneamente entrambe le domande. In questo caso gli allegati non devono essere duplicati e devono essere corrisposte solo le tasse stabilite per l’invenzione industriale.
3. La fase di valutazione. Assolte queste “formalità” inizia la parte più lunga della procedura: la domanda verrà esaminata da un’apposita commissione che – se tutto va bene – dopo un paio d’anni vi rilascia l’agognato “pezzo di carta”. Lascio alla vostra fantasia immaginare cosa possa succedere se qualcosa andasse storto…
4. Durata. Ottenuto il brevetto, chiunque intenda produrre un qualcosa basato anche solo parzialmente sulla vostra invenzione deve chiedervi il permesso e – ovviamente – pagare i diritti. Attenzione però, perché la pacchia non dura in eterno: l’invenzione decorso un certo periodo di tempo (20 anni per le invenzioni, 10 per modelli di utilità e topografie di semiconduttori) decorso il quale l’invenzione cade in pubblico dominio.
5. Cosa può andare storto. Al brevetto possono succedere due cose: in primo luogo può essere dichiarato nullo (se manca dei requisiti richiesti dalla legge, se l’invenzione non è brevettabile, se la descrizione è incompleta o incomprensibile, se la richiesta va oltre ciò che si era chiesto con la domanda, se chi lo ha richiesto non aveva diritto di ottenerlo. Oppure può decadere se non vengono pagate le tasse dovute o se – entro due anni dalla prima licenza obbligatori – non vengono realizzati esemplari del prodotto in numero sufficiente.
6. Il brevetto europeo. C’è anche la possibilità di richiedere il cosiddetto Brevetto Europeo che – come è facile intuire dal nome – consente tramite una sola domanda l’estensione della tutela a 18 paesi europei , solo che in questo caso è l’European Patent Office (cioè l’Ufficio Europeo dei Brevetti) Le domande possono essere depositate presso le sedi in Monaco di Baviera, L’Aja, Berlino oppure presso le sedi nazionali degli Uffici Brevetti nazionali. Si tratta di una procedura molto costosa sia per le tasse, sia per gli inevitabili oneri relativi alle traduzioni della documentazione in varie lingue.
7. La procedura PCT. Esiste un ulteriore livello al quale si può accedere, quello della domanda internazionale di brevetto (PCT) che facilita l’ottenimento della protezione in 89 paesi. L’agevolazione consiste nel fatto che è prevista una procedura unificata per l’esame, la ricerca documentale, per lasciare ai singoli uffici nazionali la sola fase del rilascio del brevetto.
Diritto d’autore vs. Brevetto
Dopo questo lungo – ma necessario – intermezzo, torniamo a noi.
In realtà non c’è una ragione oggettiva che sostenga la scelta compiuta a favore del diritto d’autore, tant’è che in altri paesi – Giappone, Stati Uniti – la brevettabilità dei prodotti è perfettamente lecita e ammissibile. In Italia ci sono studi teorici che esprimono qualche perplessità su questa situazione pur non spingendosi esplicitamente a criticare lo stato di fatto.
Quali sono i motivi che spingerebbero a preferire la tutela brevettuale a quella della legge sul diritto d’autore?
Ovviamente la risposta non è semplicissima però la si può schematizzare più o meno come segue.
Se da un lato il ricorso al diritto d’autore consente allo sviluppatore di godere dei classici diritti patrimoniali associati alle opere letterarie (riproduzione, distribuzione ecc.ecc.) dall’altro implica la possibilità di proteggere la sola forma espressiva di un software e non le idee sottostanti. In particolare non ricevono tutela elementi – come i diagrammi di flusso o gli algoritmi – inesistenti nelle opere letterarie “vere” ma fondamentali ed ineliminabili in un programma.
Fatto sta che per la legge italiana un programma in quanto tale – equiparato a metodi matematici o algoritmi- non può essere brevettato… e allora?
La soluzione dell’Ufficio Europeo dei Brevetti
La risposta sta nell’inciso “in quanto tale”. Se è vero che non si può brevettare un programma, è altrettanto vero – questo afferma l’Ufficio Europeo dei Brevetti – che non ci sono motivi per negare la tutela brevettuale ad un’invenzione composta anche da un software. In altri termini, il brevetto è concedibile se un algoritmo è – a prescindere dall’importanza nel processo – un mero componente dell’invenzione. Via libera alla brevettabilità del software? No, o per lo meno non ancora; ciò che fa la differenza è che l’invenzione nella quale è incorporato un programma produca modificazioni nella realtà esterna. Scrivono Laurence Tellier-Loniewski e Alain Bensoussan sul numero di ottobre/novembre 1996 di IP Worldwide:
The standard employed by the EPO to assess whether or not a software-related invention is patentable is to determine whether or not the invention produces a technical or a physical effect. An invention that brings a technical contribution to existing technology will qualify as a patentable invention, even if related to software technology. Thus, software that implements the operating functions of a computer or a calculator, or programs that deal with physical data can receive patent protection.
Attenzione, però, perché tutto questo discorso non fa venir meno – ai fini dell’ottenimento del brevetto – la necessità di possedere i requisiti di cui si è detto in precedenza (novità, superamento di una difficoltà tecnica ecc. ecc.)
Conclusioni
Dunque qualcosa comincia a cambiare. Ci sono spazi sempre più ampi – a condizione di farsi carico di spese in alcuni casi rilevanti – per trasformare un programma in invenzione… Meglio di niente, certo, ma la preoccupazione è che a qualcuno venga in mente – vista la natura giuridica ambigua attribuita al software – di concepire un sistema giuridico ibrido composto dalla normativa sul diritto d’autore e da quella sulle invenzioni.
Va bene che l’ingegneria genetica in questi ultimi tempi è parecchio di moda, ma forse sarebbe il caso di evitare certi “fenomeni”.
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