Annunciata l’ennesima iterazione della musica dei Beatles che certifica la morte in culla della musica liquida e la sordità degli ascoltatori
di Andrea Monti – Audioreview n. 402
Il 9 novembre 2018 – in occasione del cinquantenario – verrà pubblicata la “nuova edizione” del White Album dei Beatles, originariamente registrato in mono e, per l’occasione remixato sia in stereo sia in surround 5.1 e rimasterizzato. Dal sito ufficiale, thebeatles.com, oltre all’annuncio, nessuna ulteriore informazione tecnica.
Dal punto di vista dell’audiofilo minimamente acculturato, questa notizia è incomprensibile. Dal punto di vista dello studioso del diritto d’autore è la conferma del fatto che il diritto d’autore non ha più alcun rapporto con la creazione della cultura, ma solo con il suo sfruttamento economico.
Dalla lettura delle poche righe del lancio stampa sugli aspetti tecnici del prodotto – e pedissequamente riprese dai mezzi di informazione in Italia – è evidente che la strategia di marketing della discografica sia quella di “strillare” buzzword – parole d’ordine – come “DTS-HD”, “surround 5.1”, “remix” destinate a provocare riflessi condizionati di acquisto nel potenziale cliente, senza metterlo in condizione di capire esattamente cosa gli si stia proponendo.
Qual è il senso del prendere una traccia mono, e moltiplicarla? Cosa aggiunge, in termini di qualità dell’ascolto, una scelta del genere? Per quali impianti e per quali diffusori sono stati rimasterizzati i pezzi?
Messa in questi termini, e senza dubitare della capacità dei professionisti chiamati ad eseguire queste attività tecniche, è abbastanza evidente che il risultato non può che essere molto discutibile dal punto di vista del rigore filologico, ma molto efficace dal punto di vista dell’ascolto con auricolari di varia natura, diffusori da supermercato, o impianti car-stereo “ruffiani”, progettati per esaltare le frequenze di specifici generi musicali.
In altri termini, e mi piacerebbe essere smentito, questa “riedizione” somiglia molto a un tentativo di continuare a mungere la vacca, fino a quando produce latte. Il che ci porta a farci un’altra domanda: perchè, invece di DTS, surround, stereo ecc., non è stata semplicemente pubblicata una versione a 24/96 della registrazione originale?
La risposta, dal mio punto di vista, è abbastanza semplice.
I nastri magnetici che contengono le registrazioni originali (o le loro digitalizzazioni in altissima qualità) hanno ancora valore economico nel momento in cui sono l’unica fonte dalla quale estrarre tracce di qualità inferiore in funzione degli strumenti di riproduzione del momento, piuttosto che dello “stile acustico” in voga (ricordate come “suonavano” i CD degli anni duemila, ai tempi delle loudness war?)
Se fosse disponibile una traccia in 24/96 estratta direttamente dalla registrazione originale, gli audiofili non avrebbero bisogno di altro perché sarebbero in grado di realizzare tutte le versioni qualitativamente inferiori di cui dovessero avere bisogno, da quella per l’auto, a quella per il cellulare, il PC e via discorrendo.
Il che ci porta direttamente alla seconda parte di questo articolo, quella sul ruolo del diritto d’autore, specie alla luce della direttiva sul copyright in corso di emanazione e della quale ho parlato sullo scorso numero.
E’ evidente che il controllo sui “raw” delle registrazioni ha un valore economico che prescinde dal valore culturale dell’opera. Dal punto di vista dell’industria musicale è la prima variabile ad avere maggiore importanza e dunque – con buona pace degli usi liberi garantiti dalla legge sul diritto d’autore – non è accettabile che i contenuti possa essere utilizzati al di fuori dei recinti che loro, i titolari dei diritti, hanno arbitrariamente fissato.
A nessuno interessa veramente dell’autore, della circolazione della cultura o della possibilità di migliorare le persone tramite l’ascolto della musica. L’unica cosa che conta è estrarre da qualche chilometro di nastro magnetico quanto più utile possibile. Ed è questo il risultato che la nuova direttiva sul diritto d’autore garantirà agli sfruttatori dei diritti piuttosto che agli autori.
Attenzione, con questo non voglio sostenere un “esproprio proletario” a danno di editori e discografiche.
Intendo piuttosto rivendicare una applicazione completa della legge sul diritto d’autore nella parte in cui tutela anche gli utenti “paganti”, che hanno diritto ad ascoltare buona musica.
Perchè quella di qualità degradata, come dice l’articolo 70 comma 1bis della legge sul diritto d’autore, è riservata agli usi didattici e scientifici.
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