Sui media statunitensi ogni tanto escono articoli – puntualmente ripresi in modo più o meno pedissequo da quelli italiani – sullo “scandalo” dettato dai tentativi delle forze di polizia di ottenere accesso agli iPhone, senza spiegare il perchè a un legittimo potere dello Stato che opera all’interno della legge dovrebbe essere impedito di ottenere le informazioni contenute in uno smartphone.
Ovviamente, non sto sostenendo la legittimità delle richieste di installare backdoor ad uso “law enforcement” o di utilizzare sicurezza debole perché sono scelte sbagliate e troppo pericolose, quantomeno in assenza di un (impossibile) meccanismo giuridico di controllo efficace da parte dei cittadini su possibili abusi. Ma ciò non significa che, “in nome della privacy” si possa mettere in discussione il potere/dovere delle autorità inquirenti e di quelle giudicanti di trovare il modo di ottenere il risultato. In altri termini: non vanno certo vietate le porte blindate e i sistemi di allarme, nello stesso tempo, però, nemmeno si può pensare di vietare alla magistratura di dotarsi di grimaldelli, frese e jammer per rimuovere gli ostacoli (fisici e logici) alle indagini.
Il problema di articoli come quello di Business Insider – e di tutti quelli che acriticamente li riprendono – è più strutturale e riguarda il rapporto fra Stato e Cittadino (le maiuscole sono volute): fino a che punto ci fidiamo della struttura che garantisce la convivenza civile?
E’ chiaro che, in un modello costituzionale liberale, la regola è che lo Stato è “fuori” dalla vita privata delle persone, ma è anche ovvio che in determinati casi lo Stato ha il potere di “entrare” nella nostra vita anche se non è invitato.
Allora, se questo è il punto, chi si scandalizza perchè una forza di polizia ha trovato il modo legale di aggirare un qualche sistema di protezione di uno smartphone dovrebbe dire chiaramente che non si fida delle Istituzioni e, per coerenza, dovrebbe entrare in clandestinità per rovesciare questo “Stato tiranno”.
Se, invece e come sarebbe logico aspettarsi, le Istituzioni vanno credute “fino a prova contraria”, allora il tema diventa quello della possibilità per il cittadino di esercitare un controllo efficace e diffuso sulle attività che invadono i suoi spazi individuali.
Il nostro Codice di procedura penale nasceva esattamente con questo scopo e, nella sua formulazione iniziale, era straordinariamente bilanciato. Anni di giurisprudenza demolitrice e permeata del processo inquisitorio che fino alla fine degli anni ’80 era ancora la regola hanno parzialmente cambiato lo stato delle cose, ma l’idea rimane intatta: potere (dello Stato) e controllo (del cittadino).
In questo dibattito che condiziona direttamente e pesantemente la vita di tutti noi, vittime, colpevoli, giudici e “carnefici di carta” si innestano le strategie di comunicazioni delle aziende ICT, che per vendere qualche gadget elettronico fanno dei diritti individuali e dei doveri dello Stato un filmino pubblicitario “mainstream”.
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