Ieri ho ricevuto la mia nuova chitarra classica, una Armin Hanika. Ne parlo perché contrariamente all’approccio mainstream del digital marketing, fatto di apparenza vuota e di metodi per stimolare la spinta compulsiva all’acquisto (spesso inutile), tutto si è svolto come “ai vecchi tempi” – o come in realtà dovrebbero andare le cose – a dimostrazione che “un altro marketing online” è possibile di Andrea Monti – Inizialmente pubblicato su Strategikon – un blog di Italian Tech
Ho scoperto il liutaio tramite il canale Youtube di Siccas Guitars, dove musicisti di grandissimo valore suonano le chitarre in commercio con delle esecuzioni di livello concertistico registrate in qualità audio e video professionali. È un uso estremamente intelligente della piattaforma: si regala – letteralmente – dell’ottima musica senza chiedere nulla in cambio, ma nello stesso tempo si attira chi è interessato non solo alla musica ma anche agli strumenti. Certo, una chitarra, come qualsiasi altro strumento, va provato, ma la disponibilità delle registrazioni consente già di farsi un’idea abbastanza precisa delle caratteristiche sonore dei vari strumenti. In parallelo, una richiesta di informazioni al costruttore (che ha risposto rapidamente) ha soddisfatto alcune curiosità tecniche e, alla fine, ho proceduto all’acquisto.
Interagendo con le persone che si stavano occupando di gestire l’ordine ho potuto avere informazioni non solo sui tempi di consegna ma, soprattutto, sulle caratteristiche dello strumento. In particolare, è stato addirittura possibile chiedere la verifica dell’assenza di “wolf tones” (note mute) in aree critiche della tastiera, immancabilmente presenti sulle chitarre classiche e che rappresentano l’incubo di ogni musicista. Non era scontato che lo facessero perché per esempio, noti venditori italiani non pensano nemmeno lontanamente di usare cortesie del genere: ordine ricevuto e pagato, ordine spedito, avanti un altro. In un caso mi è addirittura capitato che il venditore rifiutasse l’esercizio del diritto di recesso per uno strumento palesemente difettoso.
Tutto questo, per tornare al punto, evidentemente non si è consumato in pochi secondi ma in giorni, ed è la dimostrazione che il marketing onine non è fatto per forza di “analytics” e “profilazione” ma di passione per il prodotto e di qualità del servizio.
La strategia di Sicca Guitars è, infatti, abbastanza evidente: costruire la propria reputazione dando prima di chiedere. È un’applicazione di quel Permission Marketing che Seth Godin teorizzò oltre un decennio fa e che è basato sulla priorità della relazione sulla vendita. “Turning stranger into friends” recitava il claim che accompagnava il concetto. Inoltre, se qualcuno si prende la briga di investire tempo e risorse per creare un catalogo di esecuzioni di valore e di renderle liberamente disponibili vuol dire che ha un’idea di impresa che non è semplicemente basata sul muovere scatole il più in fretta possibile, ma che fa anche qualcosa per chi non acquista – e forse non acquisterà mai – uno strumento musicale. È chiaro, infine, che un modello del genere funziona solo se l’intera filiera opera con gli stessi standard di serietà.
Si potrebbe obiettare che un discorso del genere, che ricorda gli albori del marketing online, è un residuo del passato, che quando ci sono milioni di clienti non ci si può perdere in un servizio personalizzato e che il mondo, oggi, è andato in un’altra direzione.
Sarà, però allora mi chiedo perché sistematicamente escono campagne pubblicitarie di prodotti o servizi di largo consumo —e quindi destinati a centinaia di migliaia o miloni di clienti— che promettono al limite dell’ingannevolezza “assistenza personalizzata” e “numeri dedicati” ai quali poi rispondono gli stupidi “assistenti vocali” che sostituiscono i più inutilmente efficienti risponditori basati sul “premi 1, premi 2, premi 3”.
È chiaro che vendere chitarre classiche è un mestiere diverso dal commercializzare un dentifricio, un capo di abbigliamento o un gadget elettronico. Determinati settori merceologici richiedono necessariamente una maggiore rigidità operativa, anche questo – come dimostra il caso di Amazon – non significa avere un servizio clienti di scarsa qualità.
Quello che accade sempre più spesso, invece, è che la rigidità e, spesso, l’arroganza dei grandi operatori vengono praticate anche da chi potrebbe e dovrebbe avere nella gestione della relazione il proprio punto di forza. In parallelo, la propensione all’acquisto è stimolata da quello che nel mio prossimo libro, The Digital Rights Delusion, chiamo il paradosso dell’unicità di gregge, cioè essere convinti di essere “unici” acquistando un prodotto che, in realtà, chiunque altro o quasi (come nello spot dello Chardonnay Cinzano che era “per molti ma non per tutti”) può avere.
La differenza strutturale fra la narrativa corrente sul digital marketing e quella basata su un approccio “umanisitico” e che nella prima l’attenzione è concetrata sugli oggetti e nel secondo su quello che consentono di fare a chi li acquista. Dunque, per tornare alla mia chitarra classica, non è importante che sia un esemplare unico ma che mi consente di ottenere determinati risultati. Guardando il marketing online da questa prospettiva si vede in modo chiaro il cambio radicale indotto nelle (o propriziato dalle) persone: sostituire l’essere con l’avere, e fare delle cose il fine dell’agire.
Anche in questo caso, il ragionamento non è particolarmente nuovo, ma è certamente dimenticato. Forse, dunque, non guasta riproporlo.
Possibly Related Posts:
- Dentro il G-Cans
- Chatbot troppo umani, i rischi che corriamo
- Qual è il significato geopolitico del sistema operativo Huawei Harmony OS Next
- TeamLab Planets: da Tokyo la fuga verso i mondi della mente
- Chi ci protegge dal dossieraggio tecnologico?